L’antica e nota locuzione romana “Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur” (mentre a Roma discutono, Sagunto è espugnata) ben si addice alle cronache di questi giorni.
Mentre le nostre democrazie occidentali sono tutte impegnate in importanti consultazioni elettorali, le guerre nel mondo continuano, si allargano, divengono più efferate.
Certamente questo non significa sottovalutare o, ancor peggio, svalutare la grande e fondamentale valenza democratica del momento elettorale, il valore assoluto del voto libero dei cittadini per la formazione di governi democratici. Significa, semmai, interrogarsi sul ruolo che le democrazie possono e debbono giocare per riuscire a costruire un mondo più giusto è più pacifico. Significa domandarsi se la democrazia può prosperare senza la pace. Significa chiedersi a che serve la democrazia se non è capace di divenire portatrice di pace, di dialogo, di rispetto reciproco, di ascolto degli altri.

Oggi, nel mondo, secondo l’Uppsala Data Conflict Program, ci sono più di 100 conflitti armati in corso ma se si considerano anche le guerre asimmetriche, condotte da gruppi armati organizzati, il drammatico conto sale a 187 guerre: ecco perché Papa Francesco continua a denunciare un conflitto mondiale “a pezzi”. Il Global Humanitarian Overwiew ci dice che le persone bisognose di aiuti umanitari nel mondo sono più di 300 milioni e, di questi, solo 180,5 milioni possono essere raggiunti dagli aiuti umanitari internazionali.
Ci sono guerre più conosciute e vicine a noi come quella tra Russia e Ucraina o quella tra Israele e i palestinesi. Guerre tremende, senza esclusione di colpi, senza sensi di colpa, senza umanità, guerre in cui sono i civili, le donne, i bambini a pagare, sotto i nostri occhi, il prezzo più alto.

E ci sono pure guerre meno conosciute, addirittura nascoste, che ci appaiono distanti, ininfluenti rispetto alla nostra quotidianità. Conflitti devastanti come quello in Etiopia, quello in Myanmar, o quelli in Siria, in Afghanistan, in Yemen, in Nigeria, nel Maghreb e nel Sahel, in Sudan, in Colombia, ecc… Penso ad un conflitto anomalo come quello del Messico contro i cartelli della droga. Nella sola Africa sono più di 20 le guerre in corso che stanno procurando oltre che feroci massacri di popolazioni inermi (si stimano circa 50.000 vittime), anche migrazioni di massa di dimensioni bibliche (sono decine di milioni i profughi) in territori dove le carestie e la siccità sono una costante.

Bisogna dunque interrogarsi su come le nostre democrazie possano/debbano assumersi responsabilità politiche, economiche, diplomatiche, militari, umanitarie in grado di offrire alternative alle guerre e ai massacri. Possiamo continuare a rimanere inerti, come se tutto questo non ci riguarda? Possiamo continuare a pensare di non avere alcuna responsabilità di fronte a queste tragedie? Qui ed ora è il compito della politica!

Così torniamo alle nostre elezioni. È sotto gli occhi di tutti la diversità di approccio tra le politiche di destra e quelle di sinistra (è l’io contro il noi). Di fronte alle tragedie del mondo, ma anche di fronte ai problemi quotidiani, alle difficoltà degli stessi cittadini dei nostri Paesi, la destra offre una risposta identitaria, nazionalistica, protezionistica, individualistica; alimenta le paure e le difficoltà della gente proponendogli di rifugiarsi tutti (?) dentro il castello assediato. La sinistra, al contrario, ha nelle sue corde, nei suoi sentimenti profondi, il solidarismo, il pensiero globale, il multipolarismo, la cultura della pace e del dialogo in contrapposizione a quella della guerra, il riconoscimento e il rispetto degli altri e delle loro diversità (religiose, razziali, culturali, di genere), il ruolo determinante delle istituzioni internazionali; tuttavia fatica a tradurre tutto ciò in politiche concrete e riconoscibili.

Proprio partendo da queste considerazioni penso che queste ultime tornate elettorali, pur nella contraddittorietà dei risultati, possano essere determinanti perché si sono giocate in larga parte su alcune questioni di fondo: sovranità europea o pulsioni nazionalistiche, diritto internazionale o sopraffazione del più forte, antifascismo o neo-fascismo, solidarietà o respingimento delle diversità. La vittoria in Italia del PD alle Europee, del Labour in UK e del fronte anti-lepenista in Francia, hanno tutte il segno di questa rinnovata consapevolezza e responsabilità e ci danno nuovamente la speranza che il mondo possa cambiare in meglio.

Certo all’orizzonte ravvicinato ci sono le elezioni americane e non c’è dubbio che l’esito elettorale degli USA, la più grande ed importante democrazia del pianeta sarà decisivo per il mondo intero. Incrociamo le dita!

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