Il Sistema Previdenziale italiano ha dimostrato una buona tenuta, ma solo fino al 31 dicembre del 2019. Secondo i dati emersi dell’Ottavo Rapporto di Itinerari Previdenziali, infatti, al 31/12/2019 il nostro sistema previdenziale poteva dirsi in discreto stato di salute. Tuttavia, “è molto probabile – sostiene il Presidente Alberto Brambilla – che il mix di anticipi pensionistici introdotto dalla legge di Bilancio per il 2019, sgravi contributivi e crisi pandemica abbia prodotto già per l’anno appena concluso risultati negativi, che perdureranno almeno fino al 2023″.

Ma andiamo con ordine. Gli aspetti più interessanti che emergono dal report riguardano il numero di pensionati nel nostro Paese, il numero dei lavoratori attivi e contribuenti, il rapporto tra occupati e pensionati.

Riguardo la prima questione, i dati ci dicono che dopo un trend positivo iniziato nel 2009 e proseguito fino al 2018 in modo costante per effetto delle ultime riforme previdenziali (che hanno innalzato gradualmente requisiti anagrafici e contributivi) il numero di pensionati italiani risale fino a 16.035.165 unità. Un incremento comunque inferiore a quanto ci si aspettasse a seguito dell’entrata in vigore di Quota 100, in parte motivabile con la contestuale e numericamente significativa cancellazione di molte pensioni erogate in giovane età, con effetti positivi sul sistema.  All’1/1/2020 risultavano ancora circa 502mila prestazioni in pagamento dal 1980 o ancora prima, con un decremento di ben 150mila pensioni rispetto all’anno precedente. Tornando al numero di pensionati, nel 2019 se ne rilevano 30.662 in più rispetto al 2018, con una variazione percentuale tendenziale positiva dello 0,19%: nonostante degli oltre 16 milioni di pensionati italiani il 51,9% sia di genere femminile, le donne pensionate diminuiscono rispetto alla rilevazione precedente di 34.133 unità, mentre gli uomini aumentano di 64.795.

Gli occupati aumentano anche nel 2019 toccando quota 23.376.000 (erano circa 70mila in più nel mese di luglio), con un tasso di occupazione totale a fine anno pari al 59,1%, un tasso di occupazione femminile al 50,1% e quello degli over 50 vicino al 61%. Tutti dati in miglioramento rispetto agli anni precedenti. Crescono però a 259,65 milioni (+20%) le ore di cassa integrazione autorizzate, principalmente a causa della contrazione occupazionale dell’ultimo trimestre 2019, mentre il “monte ore lavorato” dei dipendenti resta ancora inferiore del 5% rispetto al 2008, così come le ore lavorate nell’anno per addetto.

Infine, per quanto riguarda il rapporto tra occupati e pensionati, malgrado l’impatto delle misure di anticipo pensionistico introdotte dalla Legge di Bilancio per il 2019 e l’incremento dei pensionati, regge e addirittura migliora il rapporto tra occupati e pensionati, che nel 2019 tocca quota 1,4578, contro l’1,4521 del 2018. Un valore, fondamentale per la tenuta di un sistema pensionistico a ripartizione come quello italiano, che non solo rappresenta il miglior risultato di sempre ma che è anche molto prossimo a quell’1,5 già indicato nei precedenti Rapporti come soglia necessaria per la stabilità di medio lungo termine del sistema.

Dati che, nel complesso, certificano la buona tenuta del sistema. Ma, come si accennava in apertura, solo fino al 31 dicembre 2019: ancora tutto da valutare sarà, infatti, l’impatto della pandemia da nuovo coronavirus.

Cosa significa? Semplice: tra gli effetti indiretti della crisi pandemica ci sarà un aumento della propensione al pensionamento anticipato degli italiani, i quali potrebbero cioè finire col ricorrere a Quota 100 e provvedimenti correlati come ad una sorta di ammortizzatore sociale. In particolare, il documento stima che nel 2020 il numero di pensionati possa aumentare di circa 100mila unità e crescere anche nei mesi successivi, deteriorando per qualche anno il rapporto attivi/pensionati.

Allo stesso modo, mentre le entrate contributive risentiranno delle difficoltà occupazionali, la spesa pensionistica sconterà l’incremento dovuto alla pandemia, toccando livelli persino superiori a quelli della crisi del 2008: per il disavanzo Inps, al netto dei trasferimenti del bilancio dello Stato, l’ipotesi per il biennio 2020-2021 è un aumento fino a 33 miliardi, per poi rientrare su livelli più fisiologici a partire dal 2023. “Se sul fronte previdenziale si rende auspicabile non ricorrere ad altre forme di anticipo estemporanee, sfruttando la scadenza di Quota 100 per una vera e più equa revisione della normativa Fornero – ha sottolineato Brambilla -, dall’altra parte l’esecutivo ha già in mano strumenti e misure necessarie per contrastare gli effetti dello sblocco dei licenziamenti e dell’esaurimento della cassa integrazione covid. Servono però interventi veloci e di qualità, che agiscano su almeno due leve: innanzitutto, il piano vaccini che, ancor più se unito a una massiccia campagna tamponi e alla disponibilità di terapie efficaci, potrebbe rimettere in moto l’economia una volta raggiunta l’immunizzazione di almeno il 65% della popolazione e, non meno importante, l’impiego delle risorse europee e l’avvio della sblocca cantieri con la nomina urgente dei commissari. Basterebbe il dispiegamento dei fondi esistenti in tre anni per recuperare totalmente l’occupazione persa per colpa della pandemia”.

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