Il contributo che segue fa parte di una raccolta di articoli a cura di Lucio Lamberti, docente presso l’Università Telematica San Raffaele, dal titolo “Crisi sanitaria, crisi economica e crisi finanziaria. Le nuove torri gemelle”. Leggi anche gli altri contributi, “Le nuove Torri Gemelle e le crisi globali“, “Dalla crisi sanitaria alla crisi economica: le tre fasi percettive della pandemia“.

 

Non deve sorprendere che banche centrali siano state le prime a intervenire. Ad oggi, tutte insieme, abbiano messo in campo stimoli monetari pari a circa il 10% del Pil mondiale. Molto più di quanto non fecero nel 2008-2009, quando si “limitarono” al 6,5% del Pil. Inoltre gli USA hanno abbassato a zero i tassi di interesse. Manovre altrettanto incisive sono state realizzate praticamente dappertutto.

Siamo condannati a vivere quindi in un mondo di paradossi finanziari, con tassi di interesse a zero o negativi. In Europa i tassi dei depositi sono negativi ormai dal 2015. A fine marzo le attività a minor rischio avevano rendimenti negativi fino a 30 anni. Questo non è vero solo per i titoli governativi. Anche i titoli delle imprese con rating migliore (AAA) hanno rendimenti negativi fino a 10 anni. La discesa è stata costante negli ultimi tre anni.

Rispetto alla crisi del 2008, il ri-aggiustamento delle autorità politiche passerà anche e soprattutto dalla leva fiscale. Le misure annunciate fino al 30 marzo prevedono spese per quasi il 10% del PIL. Si pensi ad esempio alle misure fiscali varate dagli USA che mettono in campo 2 trilioni di dollari.

Si tratta di interventi a pioggia che non riguardano questa volta solo le imprese, ma anche i singoli privati.

Troppo presto per vedere la fine. Le ipotesi binarie sul breve e gli effetti di lungo termine

Siamo alla fine? Troppo presto e troppi dati incerti. La crisi medica sarà risolta, grazie all’impegno ormai globale di intelligenze, tecnologie, risorse. Per la prima volta si sperimenta un vero fronte unico medico verso il nemico comune.

Per gli impatti economici, sociali e finanziari della crisi gli scenari sono aperti e sempre più binari: il dilemma è tra una lunga recessione, con due driver depressivi concomitanti (domanda e offerta) e con impatti sociali e forse politici devastanti, e una recessione acuta ma di corta durata, con un lungo periodo di ricostruzione a “v”.

Le variabili in campo sono sostanzialmente due: la durata della pandemia senza medicinali o vaccini, e la capacità dei governi di trasformare la crisi in una nuova ripartenza, con visione e progetto futuro. I paesi occidentali, Europa in testa, rischiano di restare intrappolati nella crisi, prigionieri dello scontento sociale, indeboliti nelle certezze e nella ricchezza, fragili politicamente, se non ritrovano mobilità sociale, investimento nel futuro, valori e programmazione del futuro.

La Cina è destinata a consolidare nella crisi il ruolo globale. E con essa la nuova Asia, giovane, scolarizzata e ormai leader nella tecnologia e capace di programmare a lungo termine il proprio sviluppo.

Per salvare le economie le politiche tradizionali saranno costrette a impegnare ancora di più le risorse future, e a inondare di liquidità a tassi negativi il sistema. Un sistema finanziario e una economia del debito malate dunque, in cui solo una forte spinta verso l’economia reale, con investimenti, sburocratizzazione e visione, può dare una speranza di uscita.

Per l’Europa il passo è ancora più difficile. Non è più tempo per compromessi. Il disegno incompiuto non può restare solo economico, perché i rischi di deflagrazione sarebbero davvero troppo grandi e l’effetto della pandemia sarebbe la sua condanna alla ininfluenza e alla instabilità permanente.

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