Intervento a “FACCIAMO PACE”, incontro nazionale degli Enti locali per la pace e i diritti umani (Roma, 22 febbraio 2024). 

“La pace e la cura sono nelle nostre mani. Come un artigiano plasma la sua materia cercando di dare una forma alla sua creazione, anche noi oggi siamo chiamati a pensare, ma anche ad agire con gesti concreti, per ri-costruire una coscienza, una cultura ed una politica di pace che si esprima attraverso la cura degli altri, dell’umanità e del pianeta ”. (Marina Baretta)

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Ringrazio il coordinamento degli Enti locali per la Pace e i diritti umani: Silvana Amati, Flavio Lotti, Andrea Ferrari, per averci convocati, qui, oggi, a partecipare a questa giornata di pace.

Una giornata nella quale siamo chiamati a testimoniare, tutti insieme, il nostro desiderio, il nostro bisogno, la nostra volontà di pace. Per questo, questo incontro assume, per tutti noi, un significato di carattere generale, per il difficile momento che attraversiamo; di carattere particolare per il senso  di comunità che lo caratterizza; e, per me, e anche di questo ringrazio, anche personale.

Abbiamo ragionato molto, soprattutto con Flavio, in questo anno e mezzo da quando non c’è più Marina, mia sorella, attorno a queste sue parole che sono state anche oggi evocate; intorno al  concetto, al senso, di questa bella, semplice, efficace espressione: “artigiani di pace”! La importanza, la  necessità, di essere, sempre, ma ancor di più oggi, artigiani di pace.

Ma anche della difficoltà di praticarlo. Come è difficile essere costruttori di pace oggi, viviamo un tempo che mette a dura prova la speranza! La guerra, le guerre, tutte, ma in particolare quelle attorno a noi, incombono minacciose come da tempo non conoscevamo.

Generazione fortunata la mia, la nostra! Siamo cresciuti e abbiamo vissuto, almeno in questa parte di mondo, in uno spazio storico che ha consentito ad una intera generazione di condividere un tempo di… non oso dire pace; ma, certamente, di “non guerra”; come quasi mai era accaduto nelle epoche passate. Un tempo di convivenza tutto sommato pacifica; di relazioni che sono andate via via schiudendosi.

Anche per questo abbiamo una maggiore responsabilità e siamo ancora più obbligati ad essere operatori di pace; artigiani di pace. Responsabilità soprattutto verso le nuove generazioni, i giovani, che temono di non avere lo stesso privilegio che è toccato a noi e che hanno, invece, il diritto di godere della pace.

Non sono stupito del diritto a difendersi da parte degli oppressi e degli aggrediti e dal fatto che li si aiuti, sia col sostegno politico, che materialmente. Lo condivido. Ma, sono stupito e scandalizzato che non si eserciti con la stessa determinazione una decisa e visibile azione per fermare le guerre e formare la pace. Azione diplomatica, politica, economica.

Il punto è che nonostante gli appelli, l’unanime linguaggio a favore della pace, manca una vera, collettiva, diffusa, tensione morale verso la pace. Oltre le dichiarazioni, oltre i formalismi.

Il Sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, si è detto, poco fa, nel suo intervento, preoccupato, giustamente preoccupato, per lo strisciante affermarsi di una nuova cultura della guerra. Una assuefazione a vivere la presenza delle guerre e di pensare che sia accettabile che la soluzione dei problemi stia nei conflitti.

Dobbiamo reagire a questo stato di cose; ribellarci alla colpevole timidezza, al torpore incomprensibile che si insinua anche tra noi. Dario Nardella ci ha testimoniato quanto sia arduo, controverso, ma anche fertile questo cammino. Dobbiamo scuotere le coscienze dei governanti innanzi tutto e dei popoli…ma anche le nostre! Per questo sono esterrefatto che manchino parole nette contro l’abuso del diritto a difendersi.

Certo la guerra militare, con le sue morti fisiche, ormai soprattutto di civili, con le sue distruzioni materiali, ci appare in tutta la sua violenza. Ma non dimentichiamoci di un’altra guerra quotidiana che ci turba, ci coinvolge: quella economico sociale.

L’esasperato bisogno di crescita, non per sfamare chi ha fame, ma per riempire i granai di chi è già sazio, è tutto giocato sul dominio, sul controllo, non tanto di uno specifico territorio geografico, tendenzialmente confinante come avviene nei conflitti militari, ma del territorio globale delle materie prime, alimentari, tecnologiche.

Un conflitto, una vera e propria guerra subdola, quotidiana, strisciante e dirompente al tempo stesso, che coinvolge le grandi potenze e sfrutta e sacrifica i piccoli paesi e i popoli, particolarmente i più poveri.

L’esito di questa guerra provoca instabilità, miseria, migrazione… morti. Il suo prodotto principale è la disuguaglianza; che cresce esageratamente in un mondo che, con le risorse di cui dispone,  potrebbe davvero sconfiggerla.

In questo mondo inquieto dobbiamo interrogarci sui nostri limiti e sulle nostre possibilità. Cosa vuol dire essere, oggi, artigiani di pace? Come adoperarsi per riuscirci? Penso che dobbiamo agire su tre prospettive.

La prima può apparire ovvia, ma è, invece, la discriminante tra la cultura e la non cultura di pace. Dobbiamo ricostruire, declinare e affermare una visione integrale, unitaria, della vita, che superi la frantumazione, la separazione, la autonomia, tra i diversi ambiti del nostro vissuto.

La Pace è libertà, diritti, giustizia sociale: E la libertà è pace, diritti e giustizia sociale. E la giustizia sociale è pace, libertà e diritti; e cosi via. Non si perseguono separatamente, una alla volta. E, oggi, si innesta in questa visione unitaria il clima. Sappiamo, dai tempi della Populorum Progressio di Paolo VI, che il nome della pace è giustizia: Ma oggi sappiamo con Francesco, a partire dalla Laudato si’, che la cura (ecco l’altro termine, che Flavio Lotti ha richiamato, da affiancare ad artigiani!) della “casa comune” comprende pienamente l’ambiente, il creato. Un salto di qualità, un passo in avanti che qualifica la nostra umanità. Una unica visione, dunque, è lo scenario da accogliere in noi, nel nostro impegno e da proporre a tutti.

La seconda prospettiva è la dimensione politica – nel senso più ampio e profondo del termine – del nostro agire. Abbiamo bisogno che questa azione per la Pace intesa non in sé stessa, ma come presupposto, collante… garante, direi, di un mondo nuovo, come lo abbiamo individuato nella sua unitarietà, sia promossa e governata da autorevoli istituzioni. L’assenza a livello globale di Istituzioni di tale forza e respiro è uno dei principali problemi contemporanei. La stessa Onu, di cui apprezziamo lo sforzo attuale per la pace e per disegnare un futuro migliore, risente di una debolezza intrinseca difficile da superare a breve. Eppure quello sovranazionale è l’orizzonte.
Ma, allora, per non restare inerti, mentre non rinunciamo a perseguire questo obiettivo generale, scegliamo almeno un terreno più abbordabile per noi. L’Europa è questo spazio. Tra meno di 4 mesi avremo già discusso dei risultati di queste importantissime elezioni europee che si terranno l’8 e il 9 Giugno. La posta in gioco è ampia, proprio per la fase che stiamo attraversando. Le discriminanti sono chiare e vanno oltre gli schieramenti politici tradizionali. Se prevalessero i nazionalismi, ahimè crescenti; le incertezze sulla inesorabilità di un destino comune, il futuro dell’Europa; il futuro della pace ne risulterebbe compromesso. Al contrario, l’Europa, per la sua Storia, per la sua cultura, per il suo modello sociale, può fare molto per la pace. E non solo! A partire dai due conflitti che la riguardano da vicino: quello a Nord Est, russo ucraino e quello a Sud, israelo palestinese.
Anche l’Italia, dentro l’Europa, può fare molto; per la sua cultura, per la sua posizione particolare; soprattutto nella guerra che lambisce il Mediterraneo il nostro paese deve avere più coraggio. Spetta anche a noi provocare questa assunzione di responsabilità.

Infine, la terza prospettiva è quella personale, diretta di ciascuno di noi; che riguarda il nostro essere ed il nostro agire, come individui, persone e come comunità. Ecco, allora, l’importanza del territorio, di cui ci ha parlato Ferrari. Il territorio, il Comune… i Comuni,  sono il luogo del nostro quotidiano. Li, davvero, il nostro artigianato di pace si sviluppa appieno. Come persone, innanzitutto, siamo chiamati ad operare una conversione soggettiva; adoperarci per un sistema di relazioni accoglienti e solidali.

Ma è soprattutto come amministratori che dobbiamo allargare il nostro orizzonte, creando interlocuzioni e reti. Spetta a noi coinvolgere la società civile, le diverse Istituzioni ed Associazioni locali, offrire luoghi ed occasioni, moltiplicare i contatti.

Ma è ormai necessario che questo lavoro si diffonda e che lo diffondiamo noi, tutti insieme. Ecco che, allora, potremo proporci di organizzare un viaggio della Pace tra le nostre città. Realizziamo un giro d’Italia della Pace. Una lampada, uguale a quella che stamattina è stata giustamente donata al Sindaco di Roma, la città che può, a buon titolo, essere considerata la prima tappa di questo itinerario, sia il l’emblema di questo viaggio Comune; un po’ come la fiaccola olimpica è, per sua natura, simbolo di pace. Spetta al coordinamento, se accoglie questa proposta, stabilire l’itinerario e le città; io qui do la disponibilità di Napoli ad essere una tappa di questo giro d’Italia della Pace.

Ma c’è un punto, concludendo, che nel nostro agire, deve assumere una prioritaria centralità e il territorio è il luogo più indicato per esercitarlo. E’ l’educazione alla pace. Per contrapporre alla cultura del conflitto, dello scontro, della guerra, la cultura della pace, dobbiamo seminarla, farla crescere, coltivarla. E, questo, è un processo che parte dalle scuole, ma che riguarda tutti.

Penso che dobbiamo ampliare il concetto: come le grandi tradizioni artigiane erano sostenute ed alimentate dalle scuole, dall’apprendimento, cosi noi dobbiamo operare. Per avere cura degli altri e del creato, dobbiamo essere artigiani ed educatori di Pace. Se agiremo in tal senso, se anche da questa giornata emerge uno spirito nuovo, allora possiamo tornare a sperare.

 

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