Dopo tre anni, con lo svolgimento finalmente completo dell’anno scolastico, si è tornati agli esami di maturità nella loro integralità tradizionale, riacquisendo anche una credibile funzione di segnale dell’andamento del sistema scolastico in Italia. E sono ancora tornate, più che nel passato precovid, brucianti le polemiche per il divario nelle votazioni conclusive che appaiono migliori e di tutto vantaggio nelle regioni meridionali rispetto alle settentrionali. Questo esito, però, ribalta quello delle prove Invalsi, somministrate dal Ministero della Pubblica Istruzione, ed ora anche del Merito, durante l’anno scolastico, in cui le regioni del sud risultano invece meno brillanti. E si discetta fra la loro più sicura credibilità.

I giornali del Nord, specialmente quelli di orientamento politico di destra, non hanno digerito bene il divario, che è stato avvertito quasi come uno scacco che venisse a sconvolgere uno schema consolidato e convalidato di diffusa e permanente superiorità nordica per natura e per diritto. Hanno pertanto qualificato il vantaggio del sud non come il genuino prodotto di migliore performance, ma come il frutto sfatto del lassismo meridionale. E a riprova di questa accusa hanno tirato in ballo appunto le prove Invalsi, come garanzia della misura sicura e oggettiva del merito, in cui i risultati delle scuole del nord sono in genere migliori di quelli del sud. Ed essendo le prove Invalsi strutturate con risposte obbligate, sarebbero refrattarie alla relatività giudicatrice dei commissari scolastici. Mentre le prove conclusive della maturità sono sottoposte alla variabile dei giudizi soggettivi, liberi e non strutturati, dei commissari d’esame, con l’aggravante che oramai da anni essi non sono più distribuiti su scala nazionale, ma in ambito territoriale e, pertanto, i docenti del sud hanno esaminato i candidati del sud, ed è evidente la caduta nel lassismo della manica larga.

Non si può negare che esista questa anomalia della divaricazione, almeno apparente, ma le critiche di certi giornali del nord appaiono francamente invalidate da passionalità e presunzione, e pertanto più di pancia che di cervello. Non sarebbe concepibile, né concretamente, e neppure secondo una corretta docimologia scolastica, pretendere una assoluta omogeneità nazionale, come neppure sarebbe saggio non investigare le ragioni della discrasia dei risultati tra le regioni italiane. Purché non si parta da un quasi assodato ed intangibile diritto del nord ad essere sempre superiore, come traspare dai commenti che da lì provengono, e peggio di una propensione a trovare comunque elementi di criminalizzazione per eventuali eventi di superiorità del sud, per discreditarli. Intanto occorre riflettere sulla diversa conformazione delle prove, da cui discendono livelli differenti di valutazione tra i test codificati dell’Invalsi e la discorsività dell’esame di maturità, soprattutto nel tema e nel colloquio. E’ probabile che la strutturazione codificata delle prove dell’Invalsi vada incontro maggiormente a una mentalità del Nord più orientata alla realtà bene organizzata, vissuta quotidianamente, e forse anche con riflessi didattici e apprenditivi di maggiore rigidità, che entri in sintonia con le prove strutturate dell’Invalsi, rispetto agli studenti del Sud, che vivono una realtà certamente meno organizzata, a volte approssimativa ed imprevedibile, diversa da quella del nord. E così il sud meno tecnologizzato instillerebbe nella mentalità dei suoi ragazzi una visione meno rigida e più articolata e discorsiva, che troverebbe nell’occasione dell’esame di maturità, soprattutto nel tema e nel dialogo, una più agevole contiguità di pensiero e di espressione.

Se tale ipotesi fosse approfondita e documentata potrebbe costituire un interessante argomento di analisi, intorno non solo al sistema scolastico, ed alle sue procedure docimologiche, ma anche intorno alla costituzione diversificata di mentalità e schemi di giudizio e di argomentazione, già nei nostri ragazzi, tra le diverse realtà sociali e scolastiche della nostra penisola. Oltre a questa indagine, andrebbe anche verificata l’incidenza della scuola e della sua didattica e dei suoi giudizi sugli studenti nelle diverse realtà italiane che si connettono con le possibilità di vita offerte dal territorio. Per un ragazzo del nord, che ha prospettive non difficili, forse perfino scontate e sicure, di inserimento nel mondo del lavoro, la scuola ha meno pregnanza rispetto agli studenti del sud, che vedono nel sistema scolastico l’unica chance che può trarre dal suo territorio per prepararsi alla vita, perfino disperata nella dimensione stanziale, e pertanto esposta alla ricerca di mercati esteri più esigenti. Il bisogno. quindi, di capire il mondo è più pungente in chi vive nella difficoltà, come i ragazzi del sud, rispetto a chi ha una tranquilla garanzia di prospettiva. Si può attribuire ai ragazzi del sud una maggiore pensosità di futuro e dunque di impegno e sforzo di comprensione ed elaborazione, effettuato con l’aiuto della scuola, unica risorsa offerta dal suo territorio.

Ed anche il contesto quotidiano della vita di uno studente del nord è ben diverso da quello del suo coetaneo del sud. La maggiore ricchezza spinge lo studente del nord a più numerose piacevoli distrazioni, rispetto al suo coetaneo del sud, forse anche nello stesso periodo dell’esame, quando il ragazzo del sud è sospinto anche dalla premura affettuosa, ma pungolante, dei genitori, ad impegnarsi fino allo spasimo, accreditando l’esito scolastico di essere spinta di riscatto professionale ed economico per il loro figlio. Si tratta, dunque, di concepire ipotesi di indagini su un fenomeno, la differenza del livello dei giudizi di maturità. che oramai si ripete da un certo numero di anni e che in qualche modo sorprende e perfino forse irrita. Un giornale serio del nord, pur sorpreso e irritato, non passa, tuttavia, superficialmente ad accampare spettri di lassismo o di piaggeria e di altro peggio, ma cerca lucidamente ipotesi e ragioni più intrinseche al fenomeno, che è molto interessante proprio perché smarcante.

Del resto, nella prospettiva di un impegno governativo che ha inserito nella titolazione del Ministero dell’Istruzione anche il ‘merito’, non è male riflettere, come aveva fatto don Lorenzo Milani, prima che sul dovere dell’alunno di conseguire il massimo profitto, su quello della istituzione scolastica di realizzare le condizioni per poterlo conseguire, sorretto dall’arte pedagogica e didattica della scuola. Al sud la scuola, nella mediocrità del sistema produttivo, è ancora un’istituzione di grande attenzione e prestigio sociale, che la scuola del nord deve forse conquistarsi nella concorrenza di tante altre agenzie efficaci del territorio. Occorre non opporsi, o peggio rimuovere l’anomalia, non minacciare interventi ispettivi già per criminalizzare, prima di avere seriamente riflettuto e investigato sul fenomeno e le cause connesse. Occorre attivare una prospettiva positiva di riflessione e di indagine sull’intero universo della scuola italiana nel suo rapporto con la società che lo genera, e non nella facile soluzione di un greve e sterile autoritarismo.

E ripenso all’infelice enunciazione del Ministro dell’Istruzione e del Merito che le umiliazioni fanno bene ai ragazzi, con la speranza che non sia per tale motivo che la scuola del nord emetta voti più bassi; perché non v’è dubbio che una scuola benevolente e rispettosa ottenga migliori risultati e sia da preferire ad una scuola umiliante ed afflittiva, che è stata teorizzata a livello di dottrina pedagogica e didattica solo in contesti disperati e in situazioni politiche estreme della società e del suo sistema scolastico, come in quello di Anton S. Makarenko (1888-1939).

Intanto, da buoni sportivi congratuliamoci, con i reiterati migliori risultati della maturità 2023 delle scuole del sud, rinviando al prossimo anno una rinnovata gara esaltante e benefica tra le regioni d’Italia, con reciproco rispetto… come usa la pratica sportiva.

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