“Come verrà giudicato Facebook dalla storia? Può essere considerato un acceleratore della distruzione della nostra società?” Cinque, lunghissimi secondi sono intercorsi tra questa domanda e la risposta di Mark Zuckerberg, CEO e padre della nota piattaforma social, intervistato nel programma Axios on HBO. Cinque secondi di esitazione prima di affermare: “Ho un po’ più di fiducia nella democrazia, spero non sia mal riposta”. E poi: “Quello che facciamo, e credo faccia anche il resto di Internet in generale, è dare più potere alle persone. Facebook dà alle persone più voce per condividere le loro esperienze”.

Una risposta per certi versi eversiva e insufficiente, ma per molti commentatori la risposta (quella vera) sono stati proprio quei secondi di silenzio, spontanei ed emblematici. Ora, aldilà di interpretazioni più o meno tendenziose, l’intervista al patron del colosso del web riaccende il dibattito sul ruolo che i social hanno nella società attuale e sull’intrinseco potere plasmante.
Nella fattispecie, neanche a dirlo, oggetto dell’intervista a Zuckerberg, le accuse alla sua creatura di veicolare e diffondere fake news e pensieri estremisti, nonché di promuovere contenuti di parte. Il caso delle elezioni presidenziali americane è solo l’ultimo, in termini di tempo, ad essere nel mirino della critica. Il social network, infatti, è stato ritenuto particolarmente ‘conservatore’ nella campagna per la corsa alla Casa Bianca. Così come nei mesi dell’era Covid-19 difficilmente si sarebbe potuto vedere di più in termini di bufale, testimonianza che la disinformazione non conosce etica, anzi, si ciba proprio di quelle tematiche che più sono capaci di intaccare e condizionare la sfera emozionale, salute compresa.

Qui occorre fare un passo ulteriore. Da tempo, ormai, Facebook ha dichiarato guerra alle fake news (che di certo non hanno smesso di esistere e circolare con tutte le conseguenze del caso), comprese quelle relative al Covid. Bene, ammesso e non concesso quanto dichiarato dalla società, qui si apre un’altra questione che, se da un lato riguarda la caratteristica fondante il social network e dinamiche democratiche ben più alte di un algoritmo, corre lungo un confine sottilissimo strizzando inevitabilmente l’occhio alla disinformazione e alla diffusione di contenuti falsi, molto spesso ad uso strumentale.
Il caso emblematico è proprio quello dei post no-vax circolati in questi mesi. Ed è lo stesso Zuckerberg a portare la questione come esempio: infatti, come si diceva, se da un lato la piattaforma si impegna a rimuovere contenuti falsi, dall’altro lato è lo stesso CEO ad esprimere tutta la sua difficoltà nel tracciare una linea netta tra giusto e sbagliato. Nella stessa intervista, Zuckerberg a tal proposito ha detto che “se qualcuno vuole condividere un caso in cui il vaccino abbia fatto del male o se qualcuno abbia voglia di raccontare di essere preoccupato per il vaccino, è difficile dal mio punto di vista dire che questi pensieri non debbano essere espressi”.

Insomma, l’eterna questione tra libertà di pensiero/parola e (innocente?) disinformazione. Il problema è che visto il potere e il ruolo che un social come Facebook ricopre nella nostra società, è chiaro che non può essere quella avanzata dal CEO una risposta degna e responsabile. Così come, se non peggio, può bastare la candida difesa dell’algoritmo che Zuckerberg ha messo in scena durante l’intervista. Incalzato sul funzionamento del sistema, ha risposto che “l’algoritmo non va alla ricerca di cose che possano provocare rabbia nelle persone. Non è così che funziona il nostro sistema. L’algoritmo mostra solo cose che ritiene significative. Non è chiara neanche a me la dinamica ed è questo il brutto. Posso solo dire che le storie che coinvolgono di più gli utenti sono le stesse di cui si parla quel giorno, sono le storie ‘in tendenza’, non hanno per forza un colore politico”. Dunque, se il social network pullula di post pieni di odio c’è un motivo: “Basta guardare il nostro Paese in questo momento, le persone sono esasperate, a volte anche per ottime ragioni. Abbiamo dei problemi reali”, ha affermato il CEO. E poi ancora, Zuckerberg ha negato che Facebook faccia da cassa di risonanza per i contenuti di destra e ha chiarito anche il perché spesso i post di stampo conservatore siano quelli con più engagement. “Le persone commentano, mettono like, interagiscono, ma penso che sia importante fare una distinzione tra questo e cosa vedono e leggono sulla nostra piattaforma”.

La verità è che in assenza di regole ben definite, chiare (a tutti!) è inevitabile che realtà divenute ormai strutturali nella nostra società, ben consce del potere assunto, potranno continuare ad essere al servizio di chi a cuore non ha di certo i concetti di etica e di libertà di pensiero. Con conseguenze cruciali dal punto di vista sociale, psicologico, di decision making, di agenda. Sì, probabilmente anche fungendo da acceleratore della distruzione della società stessa.

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