Mi pare difficile che, in astratto, qualcuno possa sostenere che le concessioni di suolo pubblico, a qualsiasi attività destinate, anche al commercio ambulante, possano essere a tempo indeterminato, considerato che un bene pubblico non può essere permanentemente destinato a soddisfare uno specifico interesse privato (altrimenti tanto vale vendere tale bene e renderlo privato a tutti gli effetti) né sottratto definitivamente ad altre successive ipotetiche e diverse destinazioni di pubblico interesse. Una concessione a tempo indeterminato, ovvero anche una concessione soggetta ad un numero indeterminato di successivi rinnovi automatici che comunque riservano permanentemente la disponibilità del bene al primo concessionario, certamente non appare rispondente a tale elementare criterio.

Una soluzione di buon senso

La soluzione di buon senso adottata per il commercio su area pubblica nell’intesa definita fra Stato, Regioni e Comuni ai sensi delle norme nazionali di attuazione della direttiva servizi, appare quindi uno sforzo coerente, pur se certamente migliorabile, di collegare la durata della concessione a un ragionevole periodo di tempo che consenta di conseguire un ritorno economico sufficiente a recuperare gli investimenti materiali e immateriali effettuati per avviare l’attività. Occorre, infatti, considerare che tali investimenti possono essere di entità e rilevanza molto differenziate, a seconda che si tratti di vendere prodotti non alimentari o alimentari deperibili, di utilizzare solo semplici strutture mobili giornalmente montate nell’area assegnata ovvero di attrezzare e utilizzare un posteggio fisso già predisposto dall’amministrazione, ovvero ancora di realizzarlo da parte del concessionario, oppure di utilizzare una piazzola con un automezzo attrezzato (esempio tipico, il camion bar), che costituisce certamente un investimento notevole, ma che può essere agevolmente riutilizzato anche in altri mercati o in forma itinerante.

Parimenti mi pare difficile che, in astratto e almeno quando si tratti di mercati (o di posteggi isolati) di nuova istituzione, in presenza di una pluralità di potenziali concorrenti e di un’oggettiva limitazione dei posteggi assegnabili, la scelta del concessionario non debba avvenire con una procedura di selezione pubblica e trasparente, sulla base di criteri oggettivi e non discriminatori.

Il problema dei criteri di rinnovo delle concessioni si pone quindi quando, come avviene certamente in modo più frequente, si tratta di assegnare posteggi in un mercato già esistente in cui vi siano operatori che, pur avendo avuto già un tempo ragionevole per recuperare il loro investimento iniziale, abbiano comunque un’aspettativa legittima o comunque un’esigenza di continuità della propria attività e di mantenimento del reddito connesso alla stessa.

Soluzioni transitorie e soluzioni a regime

Tale aspettativa di continuità dell’attività deriva soprattutto dalle norme previgenti, che prevedevano un quasi automatico rinnovo della concessione e una sostanziale stabilità della “rendita” che poteva derivarne in caso di cessione del titolo o affidamento in gestione dell’attività o, per contro, la necessità di recupero economico anche della spesa sostenuta per subentrare nel titolo concessorio in tale diverso quadro normativo. Anche una rendita, infatti, non può essere brutalmente azzerata con innovazioni che, pur giuste, devono essere anche sostenibili.

La connessa esigenza di continuità del proprio lavoro e del proprio reddito può inoltre risultare meritevole di tutela sociale. Quest’ultimo aspetto, in realtà, si presenta molto complesso, in quanto l’esigenza di continuità lavorativa e reddituale e l’eventuale interesse pubblico sociale a sostenere tale esigenza sono innanzitutto differenziati in funzione della posizione reddituale degli interessati e dal peso che l’attività in questione ha rispetto alla salvaguardia di tale reddito: non è infatti la stessa cosa se si rischia di perdere l’unico posteggio su cui si svolge in tutte le giornate lavorative tale attività di impresa, oppure solo uno dei plurimi posteggi in cui contestualmente o in giornate diverse si svolge tale attività. Inoltre tali esigenze sociali possono presentarsi non solo per il concessionario uscente, ma anche, e forse in qualche caso ancor di più, per l’eventuale ulteriore piccolo imprenditore cui il titolare della concessione abbia contrattualmente affidato l’effettivo esercizio di tale attività di commercio su area pubblica, nonché per i lavoratori dipendenti (a seconda dei casi, del concessionario o del gestore) che siano eventualmente impiegati in tale attività e che potrebbero per mille diversi motivi avere difficoltà a trovare rapidamente una nuova e diversa occupazione.

Ai fini della tutela delle generiche aspettative di continuità dell’attività, appaiono normalmente sufficienti norme transitorie quali quelle contenute nella già citata intesa che, fra proroga iniziale delle concessioni in essere e punteggio prioritario attribuito al concessionario uscente in occasione del primo rinnovo, garantivano agli interessati un tempo sufficientemente lungo per ammortizzare il danno connesso all’innovazione normativa e per assumere tempestivamente iniziative di riorganizzazione della propria attività. Se ora successive proroghe e incaute modifiche, hanno determinato nuove aspettative più o meno giustificate e così in parte vanificato le precedenti norme transitorie, si tratta al più di rinnovare tali disposizioni e prorogarle nuovamente, purché in un quadro di maggiore certezza delle prospettive.

Ai fini della tutela di esigenze sociali, invece, è ragionevole pensare che la sostanziale garanzia transitoria di rinnovo della concessione solo in sede di prima applicazione non sia sufficiente, mentre il più limitato meccanismo di punteggi premiali dell’esperienza comunque previsto dalla citata intesa anche per i rinnovi successivi possa risultare, al tempo stesso, eccessivamente limitativo della concorrenza, quando non vi siano esigenze sociali da tutelare, e troppo incerto e quindi insufficiente a tutelarle, quando tali esigenze sociali siano invece presenti e rilevanti.

In tal senso appare interessante, anche se non priva di problematiche da risolvere, la norma che era stata introdotta in occasione della proroga delle concessioni inserita dal precedente Governo nella legge di bilancio per il 2018 e secondo cui i criteri di concessione previsti nell’intesa attuativa della Bolkestein avrebbero dovuto essere integrati con “specifiche modalità di assegnazione per coloro che, nell’ultimo biennio, hanno direttamente utilizzato le concessioni quale unica o prevalente fonte di reddito per sé e per il proprio nucleo famigliare”.

L’esercizio in forma societaria

Ulteriore tema specifico, ma non marginale, è quello dello svolgimento dell’attività di commercio su suolo pubblico da parte delle società cooperative e di capitali.

La soluzione di totale esclusione affermata indirettamente nella recente norma inserita in legge di bilancio crea più problemi di quanti ne risolve, perché preclude totalmente il ricorso a forme societarie che possono essere utili soluzioni organizzative anche per le piccole imprese (si pensi alla Srl semplificate o alle piccole società cooperative) senza peraltro impedire forme di “occupazione monopolistica” da parte di imprese individuali o società di persone che, in astratto, possono assumere anche dimensioni economiche rilevanti o assumere tali dimensioni attraverso meccanismi di intesa o collegamento fra di loro (purtroppo, talora, anche in forme improprie e criminali).

Tuttavia può convenirsi che la soluzione ipotizzata nella precedente intesa attuativa (la cui specifica fonte è stata pure abrogata con tale recente innovazione normativa), se pure aveva il merito di rispondere più direttamente e legittimamente ad un’esigenza antimonopolistica nella misura in cui limitava il numero dei posteggi che una stessa impresa (sia essa o meno societaria) poteva acquisire in concessione in un medesimo mercato, richieda una migliore precisazione ed articolazione, anche con riferimento alle imprese collegate fra loro ed ai posteggi anche isolati che interessino una medesima area commerciale.

La necessità di norme di semplice applicazione

Possiamo concludere queste considerazioni di dettaglio ribadendo innanzitutto la necessità che nuovi eventuali interventi normativi in materia siano preceduti da una più attenta analisi dell’attuale situazione normativa e fattuale del settore e, soprattutto, da una più chiara individuazione degli obiettivi prioritari e a regime da conseguire, che consentirà poi certamente una migliore definizione anche sul piano tecnico delle soluzioni più idonee.

Nella valutazione di tale idoneità, tuttavia, non va sottovalutata la necessaria semplicità delle soluzioni individuate e delle conseguenti procedure sia per gli interessati che per le amministrazioni che dovranno attuarle.

Bisognerebbe limitare le innovazioni normative a quelle veramente necessarie, e, in particolare per le selezioni finalizzate all’individuazione dei concessionari, individuare criteri il più possibile oggettivi e di applicazione non eccessivamente complessa, oltre a mantenere spazi di flessibilità nelle individuazione delle procedure e dei criteri più adatti in ogni specifico caso.

A titolo meramente esemplificativo, potrebbe in alcuni casi concreti essere utile un’indagine preliminare all’avvio della stessa procedura di selezione (con acquisizione di manifestazioni di interesse non vincolanti) perché, se non ci sono richieste di concessione in conflitto fra di loro o se i casi di richieste concorrenti sono limitati, potrebbe essere controproducente adottare un bando troppo complesso che imponga a tutti i partecipanti di documentare elementi di merito che poi risulterebbero comunque irrilevanti.

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