Legge di bilancio, un sì a scatola chiusa

La recente legge di bilancio è stata ancora una volta approvata con voto di fiducia sulla base di un maxiemendamento che ha affastellato in un unico articolo centinaia e centinaia di commi eterogenei (molti dei quali del tutto estranei al contenuto tipico di una legge di bilancio) e ha reso impossibile ogni serio approfondimento in sede parlamentare. Si tratta di uno “sport”, già  praticato in precedenza, che in questa occasione raggiunge il suo massimo con la totale sottrazione a ogni discussione parlamentare, dal momento che la maggior parte dei contenuti sostanziali di tale fondamentale legge, compresa la drastica rideterminazione dei saldi e del livello del disavanzo con un tardivo riallineamento ai vincoli europei, sono contenuti proprio in tale maxiemendamento presentato a pochi giorni dal termine in cui la legge doveva essere approvata da entrambi i rami del Parlamento per non dar luogo a un improponibile esercizio provvisorio.

Commercio su area pubblica, l’insostenibile leggerezza delle norme a carattere ordinamentale

Al di là di questa generale premessa, vorrei richiamare l’attenzione su una delle tante norme di dettaglio incluse in tale coacervo di disposizioni approvate dalla maggioranza parlamentare quasi “inconsapevolmente” (e comunque a “scatola chiusa”) e tentare un sintetico approfondimento settoriale che evidenzi, però, anche vizi generali di un certo modo di operare e consenta di esplicitare qualche critica di merito, a carattere anche esemplificativo, e che renda più evidenti le ragioni sostanziali delle critiche di metodo.

Mi riferisco al comma 686 (sic!) dell’articolo 1 di tale legge di bilancio (legge 30 dicembre 2018, n. 145), che contiene norme in materia di commercio su area pubblica: norme a carattere ordinamentale e del tutto prive di effetti finanziari, quindi totalmente estranee al contenuto necessario della legge di bilancio.

Fino a qui siamo ancora sul tema del metodo e a sottolineare la scorrettezza di imporre in tale contesto il voto senza discussione di una miniriforma di settore. La giustificazione della tardiva presentazione del maxiemendamento è stata individuata maldestramente dai vertici dei partiti di governo nelle lungaggini della trattativa con l’Europa e non nel velleitario tentativo iniziale di scardinare le regole europee e nella successiva incapacità di concordare rapidamente, a livello nazionale, una soluzione di compromesso accettabile per allineare i conti alla tardiva accondiscendenza successiva. Ma se tale giustificazione dell’inaccettabile strozzatura del dibattito parlamentare non regge in generale, tanto meno può essere utilizzata per norme come quella relativa al commercio su area pubblica (e per le molte altre norme settoriali e particolari incluse nella manovra) che non sono state oggetto di alcuna trattativa europea, non corrispondono ad alcuna richiesta della Commissione europea (anzi vanno nel caso specifico in diretto contrasto con prescrizioni europee) e sono state quindi incluse nella manovra finanziaria solo per ragioni di ricerca del consenso di gruppi di interesse e corporazioni e per comprimere e superare anche le possibili divergenze di opinioni e posizioni in merito all’interno della stessa maggioranza.

Tra integrazione e abusivismo, il commercio ambulante in Italia

Il tema di quello che un tempo si chiamava senza troppe distinzioni commercio “ambulante” non è un tema marginale: parliamo di circa 195 mila piccole imprese, operanti in modo itinerante o con posto fisso in concessione nei mercati e nelle fiere. Si tratta tuttora prevalentemente di imprese individuali, senza o con pochi dipendenti. Con più o meno metà dei titolari (e molti dipendenti) che sono stranieri, è certamente uno dei settori che più contribuiscono ad offrire concrete opportunità di integrazione agli immigrati extracomunitari, che purtroppo però sono molto presenti anche nel rilevante abusivismo che caratterizza tale forma di commercio.

Come ti aggiro la Bolkestein: esclusione del commercio ambulante dai settori di applicazione della direttiva UE

Il citato comma 686 interviene in tale materia apportando tre modifiche al decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, con cui fu a suo tempo recepita la direttiva europea sui servizi nel mercato interno (direttiva 2006/123/CE, ovvero la cosiddetta direttiva “Bolkestein”, dal nome dell’allora Commissario europeo alla concorrenza). Considerati i tempi di estremamente ristretti di approvazione e definizione di tali modifiche è estremamente improbabile che qualcuno si sia “ricordato” di ottemperare all’obbligo per gli Stati membri, previsto dall’articolo 39, paragrafo 5, e dall’articolo 44, paragrafo 2, della medesima direttiva, di preventiva comunicazione alla Commissione europea delle disposizioni di diritto nazionale che modificano requisiti di accesso alle attività di servizi e comunque di tutte le disposizioni adottate nella materia disciplinata da tale direttiva.

Con la lettera a) di tale comma 686 si dispone l’inclusione del “commercio al dettaglio su area pubblica” fra i settori elencati all’articolo 7 del decreto legislativo n. 59/2010 come esclusi dall’applicazione di tale decreto di recepimento e, quindi, esclusi dall’applicazione della predetta direttiva. Ma la direttiva servizi disciplina tassativamente al suo articolo 2 i settori esclusi dalla sua applicazione e non offre agli Stati membri dell’Unione europea opzioni di diversa e più articolata disciplina a tale riguardo; per cui, considerata anche la mancata comunicazione preventiva di tale modifica normativa, è più che concreto il rischio che tale espressa e generalizzata esclusione introdotta nell’ordinamento italiano determini l’avvio di una procedura di infrazione al riguardo da parte della Commissione europea.

Inoltre, l’esclusione totale dall’applicazione della direttiva e del decreto di recepimento, andando probabilmente ben oltre l’obiettivo degli stessi soggetti interessati che hanno sollecitato tale modifica normativa (volti piuttosto a garantire un automatico periodico rinnovo delle concessioni dei posteggi nei mercati ai soggetti che ne sono già titolari, contro i principi europei di sottoposizione del rinnovo delle concessioni a gara pubblica e contro la possibilità di accesso all’attività anche per le società di capitali) rischiano di essere interpretate come volte a escludere il settore del commercio su area pubblica anche da tutte le altre innovazioni e semplificazioni (ad esempio dei requisiti morali e professionali) previste in generale per il commercio al dettaglio nel predetto quadro normativo. In fin dei conti questa parte della nuova disposizione si presenta come un’ingenua, eccessiva e fuorviante adesione alla semplificazione contenuta nello slogan “no Bolkestein”, che ha caratterizzato le ricorrenti manifestazioni di piazza del settore, senza neppure la fatica di capire (e tradure in una disposizione normativa sensata) quale fosse la richiesta sostanziale riassunta in tale slogan e quale fosse l’effettivo disagio che tale protesta poteva forse esprimere, pur fra spinte corporative e confusi interessi di parte.

Come ti aggiro la Bolkestein: no alle gare per l’assegnazione delle concessioni

Con la lettera b) del medesimo comma 686 si va invece incontro al contenuto sostanziale essenziale di tale richiesta della “piazza”, ma anche in questo caso in modo “assoluto”, eccessivo e tecnicamente ultroneo o incongruente. Tale lettera infatti, nonostante la già disposta esclusione totale dell’applicazione di tutti gli articoli del decreto legislativo in questione, prevede l’esclusione specifica del commercio su area pubblica dall’applicazione dell’articolo 16 di tale decreto. La concessione delle aree pubbliche in cui si svolge tale forma di commercio risulta in tal modo ancora più espressamente esclusa dal ricorso, ivi previsto, ad una “procedura di selezione tra i candidati potenziali” con “la predeterminazione e la pubblicazione, nelle forme previste dai propri ordinamenti, dei criteri e delle modalità atti ad assicurarne l’imparzialità, cui le stesse devono attenersi”.


Sono parimenti disapplicati i criteri previsti per tali procedure dal medesimo articolo 16 ed in particolare la previsione secondo cui “il titolo è rilasciato per una durata limitata e non può essere rinnovato automaticamente, né possono essere accordati vantaggi al prestatore uscente”. Anche in questo specifico caso si va ben oltre la richiesta, in quanto l’esclusione della regola di concessione con procedura di selezione trasparente finisce per valere non solo in fase di rinnovo delle concessioni di posteggi in aree mercatali già esistenti, ma anche nella concessione di posteggi in eventuali aree mercatali di nuova istituzione, dove i prestatori uscenti non esistono ed il problema della loro eventuale migliore tutela non si pone affatto.

Naturalmente anche in questo caso vale la considerazione che l’articolo 16 del decreto legislativo n. 59/2010 è norma nazionale che riproduce quasi testualmente e doverosamente recepisce l’articolo 12 della direttiva servizi e, pertanto, non può essere liberamente derogato dagli Stati membri nell’uno o nell’altro settore.

Come ti aggiro la Bolkestein: la restrizione delle forme societarie ammesse

Infine con la lettera c) del medesimo comma 686 si dispone l’abrogazione dell’articolo 70 del decreto legislativo 59/2010, che conteneva specifiche innovazioni riferite proprio al commercio al dettaglio su area pubblica in applicazione della direttiva servizi. In particolare tale articolo 70 prevedeva che l’attività in questione poteva essere esercitata oltre che da imprese individuali e società di persone, anche da società di capitali e società cooperative (in ossequio al divieto europeo di immotivata imposizione di un determinato statuto giuridico), rimodulava i relativi meccanismi autorizzativi e programmatori e, soprattutto, prevedeva che “con intesa in sede di Conferenza unificata, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, anche in deroga al disposto di cui all’articolo 16 (…), sono individuati, senza discriminazioni basate sulla forma giuridica dell’impresa, i criteri per il rilascio e il rinnovo della concessione dei posteggi per l’esercizio del commercio su aree pubbliche e le disposizioni transitorie da applicare, con le decorrenze previste, anche alle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto ed a quelle prorogate durante il periodo intercorrente fino all’applicazione di tali disposizioni transitorie”. Si tenga conto che tale previsione è stata a suo tempo concretamente attuata (l’intesa è stata adottata il 5 luglio 2012 dalla Conferenza Unificata Stato- Regioni- e Autonomie locali, e poi pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 4 aprile 2013, n.79) ed ha bene o male regolato fino ad oggi il settore, quantomeno per i nuovi mercati, avendo per il resto disposto una generalizzata proroga delle concessioni esistenti il cui termine è stato poi ulteriormente prorogato da successivi interventi legislativi.

Paradossalmente quest’ultima abrogazione elimina quindi la fonte dell’unico provvedimento che, pur migliorabile, aveva tentato di affrontare il tema sociale della tutela dell’attività delle piccole imprese operanti in tale settore, con limitate e transitorie deroghe (compatibili con il diritto europeo) al divieto di attribuire vantaggi al prestatore uscente in occasione dei rinnovi della concessione, nonché di evitare il per ora astratto rischio di progressiva monopolizzazione del settore da parte di grandi imprese, attraverso la limitazione dei posteggi che possono essere concessi al medesimo operatore in ogni singola area mercatale. Più probabilmente tale abrogazione non fa venir meno totalmente tale “intesa”, che ha comunque come sua base giuridica la generale disposizione in materia contenuta nel decreto legislativo n. 131 del 2003, ma sicuramente ne travolge le parti in cui la stessa derogava parzialmente appunto alla direttiva servizi sulla base di una legittimazione attribuita specificamente dal citato e ora abrogato articolo 70.

Al di là delle predette abrogazioni espresse, il citato comma 686 dell’articolo 1 della legge di bilancio 2019 ha quasi certamente inoltre un effetto abrogativo implicito sul comma 1181 (ancora una volta una disposizione articolata in migliaia di illeggibili commi) dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2017, n. 205, con cui, per iniziativa del precedente Governo si disponeva che “le amministrazioni interessate prevedono, anche in deroga a quanto disposto dall’articolo 16 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, specifiche modalità di assegnazione per coloro che, nell’ultimo biennio, hanno direttamente utilizzato le concessioni quale unica o prevalente fonte di reddito per sé e per il proprio nucleo familiare”. Il medesimo comma prevedeva, infatti, che tale risultato fosse conseguito “con intesa sancita in sede di Conferenza unificata” e mediante conseguente “integrazione dei criteri previsti dall’intesa 5 luglio 2012 (…) sancita in attuazione dell’articolo 70, comma 5, del citato decreto legislativo n. 59 del 2010, stabilendo altresì, ai fini della garanzia della concorrenza nel settore, il numero massimo di posteggi complessivamente assegnabili ad un medesimo soggetto giuridico, sia nella medesima area sia in diverse aree, mercatali e non mercatali”. È appena il caso di sottolineare al riguardo come anche il precedente Governo, alla ricerca del consenso e nel tentativo di dare comunque una risposta alla “piazza”, aveva, sia pure in modo meno dirompente e appena un po’ più razionale, introdotto proprio in tale legge di bilancio per il 2018 disposizioni “urgenti” in materia di commercio su area pubblica.

La nuova disposizione non ha invece effetto abrogativo sulla proroga al 31 dicembre 2020 delle concessioni in essere contenuta nel comma 1180 del medesimo articolo della legge di bilancio per il 2018, o almeno questa è l’interpretazione più auspicabile per evitare un immediato salto nel vuoto.

Commercio ambulante, ritorno all’incertezza?

Ma il principale problema che secondo me consegue a tale frettoloso nuovo intervento legislativo è costituito dal non aver tenuto conto che la disapplicazione ed abrogazione delle norme oggi vigenti, che già in generale non sempre fa rivivere le norme precedenti (come forse auspicavano coloro che hanno predisposto tale confuso testo), in questo caso avrà un effetto maggiormente incerto: infatti l’abrogazione di un intervento statale che trovava la sua legittimazione nelle competenze statali in materia di concorrenza e di uniformità dei diritti civili, non fa automaticamente rivivere le precedenti norme statali in materia di commercio ambulante contenute nel decreto legislativo 114 del 1998. Tali precedenti disposizioni, infatti, ai sensi dell’art. 1, comma 2, della legge 5 giugno 2003, n. 131, hanno comunque carattere recessivo e potrebbero riprendere vigore solo nell’ipotetico ed improbabile caso che le Regioni non abbiano nel frattempo legiferato nella medesima materia e limitatamente alle relative circoscrizioni territoriali. Infatti, nel frattempo, con la riforma del Titolo V della Costituzione (legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), la competenza in materia di commercio è totalmente passata alle regioni e la norma statale abrogativa non incide sulla legislazione regionale nel frattempo consolidatasi e che in molti casi ha riprodotto i contenuti del decreto legislativo 59/2010 e della successiva citata intesa.

Il comma inserito in legge di bilancio, quindi, non consegue neppure il suo obiettivo di tutela (sociale o corporativa) del settore contro le regole della concorrenza, ma ottiene solo l’effetto di aprire un periodo di totale incertezza, frammentazione e confusione normativa in un settore importante e delicato.


E con questo possono dirsi per ora concluse le mie critiche, prevalentemente giuridiche e formali, all’attuale intervento normativo in argomento (la pars destruens del mio contributo di riflessione), non senza però rinviare ad un ulteriore contributo qualche prospettazione più organica e razionale di possibili vie di uscita che rispondano ai reali problemi del settore ed alle sue esigenze sostanziali di un assetto trasparente ed equilibrato (perché serve sempre una pars costruens).

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