#Futuroallavoro è con questo slogan che Cgil, Cisl e Uil si ritroveranno sabato 9 febbraio in Piazza San Giovanni, a Roma, per manifestare contro le misure economiche adottate dal Governo giallo-verde e a sostegno della piattaforma unitaria con la quale le tre sigle confederali chiedevano interventi a sostegno “interventi concreti per lavoratori e pensionati, per i giovani, per lo sviluppo, la crescita e i diritti sociali”.

“È importante questa ritrovata fase di unità del sindacato – spiega Annamaria Furlan, Segretario generale della Cisl – che è scaturita dall’elaborazione di una piattaforma comune. In quel documento, abbiamo riportato in maniera davvero completa le nostre proposte per far ripartire il Paese. Dobbiamo rafforzare questo percorso”.

È un buon segnale per il sindacato italiano… qual è il ruolo che vede per i sindacati nell’attuale situazione economica e sociale, non solo italiana?

Siamo molto grati al Presidente della Repubblica Mattarella per aver ricordato, nel suo messaggio di fine anno, i veri bisogni del Paese e la necessità del confronto con le parti sociali. Nei momenti difficili della vita economica e sociale del nostro Paese, i corpi intermedi si sono rivelati indispensabili per la coesione sociale e per rappresentare le istanze di tutte le persone, a partire dai soggetti più deboli ed emarginati. Le democrazie complesse hanno bisogno del consenso e della partecipazione dei corpi intermedi per garantire la mediazione sociale. Questa è la strada anche per ridare slancio e nuova linfa al progetto di integrazione politica dell’Europa, oggi purtroppo in grave crisi. Il dialogo sociale, la condivisione degli obiettivi, la concertazione sono gli strumenti utili per combattere la solitudine delle persone, l’ondata di sfiducia nelle istituzioni e nella politica. Bisogna ripartire dalla ricerca di una maggiore coesione sociale, come ci ha ricordato Mattarella, e come scriveva anche la Carta Costituzionale, riconoscendo in maniera “ordinaria” (e non a corrente alternata) il ruolo dei corpi intermedi, indispensabili per mediare il rapporto tra individuo e istituzioni. Fu così esattamente vent’anni fa (il primo gennaio 1999) con la scelta di appoggiare l’ingresso dell’Italia nell’Euro che, come sottolineava spesso il premio Nobel Modigliani, avvenne grazie agli accordi di concertazione e alla scelta del sindacato, della Cisl soprattutto, di sostenere la politica dei redditi. Purtroppo, anche il Governo Conte, così come avevano fatto in verità altri esecutivi negli ultimi anni, ha pensato di essere autosufficiente, puntando sulla disintermediazione, sul rapporto diretto tra stato e cittadino. Prima della votazione della legge di bilancio avevamo proposto le nostre priorità al Presidente del consiglio, ma non si è voluto far partire il confronto sulla base della nostra piattaforma unitaria. Anzi la legge di bilancio si è caratterizzata con scelte economiche molto diverse e discutibili, tutto il contrario di quello di cui il paese ha bisogno: investimenti pubblici in infrastrutture, innovazione, ricerca, Impresa 4.0, formazione, scuola. Bisogna cambiare queste scelte del Governo e aprire un confronto serio sulle vere priorità del Paese.

Qualcuno ha provato a tacciare questa manifestazione di fini politici, lei hai spiegato ai suoi iscritti che non è così. Perché avete deciso di scendere in piazza?

Noi andremo in piazza esclusivamente per finalità sindacali. Non vogliamo far cadere i governi… ma bisogna che il Governo celermente la smetta di buttare via anni di sacrifici degli italiani e delle italiane e ritorni a fare una politica economica a favore della crescita e dello sviluppo. Questo diremo questo sabato nella nostra Manifestazione sindacale. Vogliamo presentare insieme a lavoratori, pensionati e a tanti giovani, che spero siano presenti in piazza, quella che è la piattaforma che avevamo presentato al Presidente del Consiglio Conte, ahinoi, del tutto inascoltati. Questo Paese ha innanzitutto il tema della crescita e del lavoro da affrontare e questa manovra finanziaria blocca le infrastrutture, taglia le risorse per gli investimenti centrali e locali, taglia le ore di formazione di alternanza scuola-lavoro, taglia le risorse sulle innovazioni per Impresa 4.0: cioè fa esattamente il contrario di quello di cui ci sarebbe esattamente bisogno. Questo diremo sabato: il Governo Conte deve cambiare la sua linea economica.


Eppure il reddito di cittadinanza è una risposta a quella parte d’Italia più debole, quali sono le vostre perplessità?

Il reddito di cittadinanza è certamente una risposta alla povertà, ma può essere efficace se si creano anche le condizioni per creare posti di lavoro. Questo sarà molto difficile visto che tale misura non è stata accompagnata, nella Legge di bilancio, da adeguati investimenti per la crescita e, in particolare, dallo sblocco dei cantieri e delle infrastrutture. Il Reddito di cittadinanza potrà incrementare certamente i consumi, ma rischia poi di incrementare forme di assistenzialismo soprattutto nei settori più a margine e nei territori disagiati. È giusto il potenziamento dei Centri per l’Impiego, che devono finalmente diventare lo strumento per offrire sostegno a tutte le persone in cerca di occupazione, non soltanto a chi è al di sotto di certe soglie Isee. Ma siamo perplessi sull’inserimento dei “navigator” con nuovi contratti di collaborazione, che andranno, paradossalmente, ad ampliare il bacino dei precari già presenti nei Centri. I posti di lavoro dipendono dagli investimenti, dallo sblocco dei cantieri, da una politica fiscale e contributiva funzionale allo sviluppo, dalla ripresa dei consumi, dal sostegno ai redditi di lavoratori e pensionati.

I dati economici diffusi nell’ultima settimana parlano di un Paese in recessione tecnica e di un’occupazione sempre più a termine, come si inverte questa tendenza?

Anche noi siamo preoccupati che dopo circa due anni siamo tornati ai segno meno: meno produzione industriale, meno ricchezza, meno Pil. È ovvio che ci stiamo incamminando verso un percorso che in realtà porta indietro l’economia. Non credo proprio che, con questi dati, avremo un anno bellissimo o un miracolo economico. Con il Pil a crescita zero, anche l’aumento dell’occupazione sarà ugualmente zero. Secondo le stime congiunturali del nostro ufficio studi, il tasso di disoccupazione potrebbe crescere dal 10,6 medio del 2018 all’11,1 nel 2019 e all’11,4 nel 2020, tornando praticamente ai livelli della seconda metà del 2015. Le persone in cerca di occupazione aumenterebbero di circa 150 mila unità già quest’anno. Il lavoro continua a essere la prima emergenza sociale del Paese. Non è un piccolo scostamento che oggi può risolvere il problema, considerato poi che abbiamo avuto in questi anni un aumento costante del lavoro precario e instabile. Occorre una politica economica che favorisca gli investimenti pubblici e privati, rendendo più vantaggiosa l’assunzione a tempo indeterminato. Ecco perché c’è bisogno di un tavolo di confronto serio con il Governo. Il lavoro non si crea introducendo nuove norme com’è accaduto con il decreto dignità, che sta provocando non pochi problemi. Tante realtà produttive hanno cominciato a non rinnovare i contratti a tempo determinato. Molte aziende preferiscono licenziare e assumere nuove persone. Una tendenza che colpisce soprattutto le fasce del lavoro debole e scarsamente qualificato, che invece andrebbe difeso e tutelato.

Il no alle grandi opere è un altro punto critico di questa stagione politica, che sta creando tensioni anche nel Governo…

C’è un legame profondo tra la crescita del Paese e gli investimenti in infrastrutture materiali e immateriali, in innovazione, ricerca, formazione. Bloccare la Tav o le altre opere pubbliche significa diffondere l’idea di un Italia che si chiude al mondo, non rispetta gli impegni, rinuncia alle sfide della competitività nel mercato globale. L’alta velocità, così come il passaggio da gomma a ferro o ai corridoi del mare sono una sfida fondamentale per un Paese che muove ancora il 90% delle merci con un inquinante e costoso trasporto su Tir. La connessione con i grandi corridoi europei è parte indissolubile del rilancio delle nostre aziende manifatturiere, e non solo, e per rompere l’isolamento delle aree interne. Le infrastrutture servono al Paese per ridurre quel costo aggiuntivo che limita la nostra capacità competitiva. Vale per la Torino-Lione, vale per il Terzo valico e la Gronda, per il Brennero, per la Napoli-Bari, per la Sassari Olbia o la Siracusa-Gela, vale per decongestionare nodi ferroviari fondamentali come Firenze o per potenziare la nostra capacità di guardare al Mediterraneo, vale per la Ionica e per il potenziamento della linea Adriatica. Vale per la realizzazione di quanto previsto dai contratti di programma di Ferrovie o di Anas, gli unici miliardi di euro veri messi a disposizione per gli investimenti. Ecco perché le vicende della Tav o delle trivelle in Puglia sono emblematiche soprattutto per il segnale che stiamo lanciando agli investitori stranieri che ancora producono in Italia o avrebbero intenzione di farlo. Stare al Governo significa, in primo luogo, fare gli interessi generali del paese e valutare con rispetto e senso di responsabilità anche le decisioni che sono state prese dagli Esecutivi precedenti. Mandare la palla in tribuna è solo un alibi per continuare ad alimentare un clima permanente da campagna elettorale, che non serve al Paese e ai cittadini.

Landini ha parlato nel suo discorso di insediamento della necessità di un sindacato unitario e di strada, ricalcando quando detto da lei in precedenza. È questa la strada per recuperare quei giovani e quei lavoratori che si sono allontanati dal sindacato?

Al congresso della Cgil, abbiamo detto con chiarezza che l’unità si costruisce dal basso, stando in mezzo alla nostra gente, dando voce ai nostri dodici milioni di iscritti, spiegando soprattutto ai giovani l’importanza di salvaguardare e rilanciare il ruolo del sindacato nel nostro paese. Sia chiaro: il sindacato deve esercitare il suo ruolo in autonomia, con una visione responsabile e comune del futuro del Paese, che purtroppo in questo momento il Governo giallo-verde non ha espresso. Siamo alla vigilia di importanti elezioni europee e credo che il mondo del lavoro non può stare a guardare, ma anzi farebbe bene a dire come intende cambiare l’Europa, come finalmente pensa di realizzare quell’Europa del lavoro, della dignità della persona, dell’occupazione dei giovani, degli investimenti pubblici, della accoglienza, della solidarietà e dell’inclusione sociale. Spero che la campagna elettorale si occupi di come rilanciare queste questioni che stanno a cuore alla gente.

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