La mia Cisl comincia con lui.

Mi aveva colpito la sua voce, la sua cadenza, la sua passione in un filmato alla fine degli anni settanta. Forse era la manifestazione di Reggio Calabria. Mi dissi che quando fossi entrato nel mondo del lavoro il suo sindacato sarebbe stato anche il mio.

Quando lasciò la segreteria della Cisl gli scrissi contrariato: “ma come -gli chiesi- io sono appena entrato, mi sono innamorato del tuo progetto, ho difeso l’accordo di S.Valentino e quella soggettività politica del sindacato che tu teorizzavi ed ora te vai”?

Mi rispose con una tenerezza inusuale, lui piuttosto ruvido all’apparenza, spiegandomi la necessità di guardare sempre avanti senza rimpianti, che lui passava ma il sindacato rimaneva.

Del resto ricordavo quel primo maggio dopo una manifestazione a Bologna, quando venne a visitare la nostra cooperativa agricola. Ricordo l’appello a Bergamaschi perché curasse quella realtà sociale e la sua animata discussione con Pippo Morelli sulla tessera sindacale di Nino Andreatta. Pippo non voleva accettarla perché il Ministro era troppo liberista, Pierre invece sì. “La tessera è sacra” diceva, maltrattando l’incolpevole toscano “e la Cisl è aperta a tutti”.

E ricordo quella manifestazione a Bologna sull’accordo separato con il governo, la sua tolleranza nei modi e la sua fermezza sui contenuti con la sparuta minoranza di Tiboni e poi… proprio quel giorno la preoccupazione di tanti per le prime avvisaglie di una salute cagionevole.

Carniti, un leader d’altri tempi capace di indicare una direzione

Oggi, ere geologiche lontane da quel tempo e da quegli uomini, si discute molto sulla personalizzazione della politica, sul ruolo dei leader, sulle classi dirigenti, sulle più raffinate modalità di comunicazione… eppure quando penso ad un capo, a una persona che guida un’organizzazione, che si assume la responsabilità di indicare una direzione, penso a Carniti. Penso alla sua capacità di ascoltare, di farti sentire dentro un progetto collettivo, di trasmettere la passione di un cammino, alla sua carismatica capacità di dare un senso al lavoro e alla “missione” di rappresentanza. Una capacità sempre rara ma oggi introvabile. Una capacità che sapeva coinvolgere e attrarre le intelligenze della società, (basti pensare a Tarantelli e ai tanti intellettuali allora coinvolti) e sapeva circondarsi non di fedeli esecutori ma di uomini e donne capaci e perché no critici. Non ha mai amato il conformismo, la banalità dei luoghi comuni. Lui operaio autodidatta ha saputo calamitare nel sindacato, prima nella Fim e poi nella Cisl autorevoli studiosi che trovavano in quel piccolo grande uomo un ascolto intelligente e critico e la possibilità di sperimentare intuizioni e soluzioni che solo una grande organizzazione di massa poteva realizzare. Ciascuno strumentale all’altro ma nessuno strumentalizzato. Carniti non chiedeva idolatrie ma idee. Idee da calare nella realtà dura e aspra della vita dei lavoratori per migliorare la loro condizione, per contrastare una deriva che vedeva il lavoro condannato alla residualità da una finanza sempre più invasiva. Da sempre socialista e cattolico nel sindacato cosiddetto bianco, non ha mai confuso le sue fedi con il suo agire da sindacalista custodendo con lucido e freddo raziocinio l’autonomia dell’organizzazione, accompagnandola nel rispetto delle pluralità. E ha saputo condurla in modo unitario nonostante le dolorose lacerazioni. Un uomo capace di rompere schemi, capace di brusche accelerazioni, di innovazioni, di scontri. Mi disse una volta “il problema non è il conflitto, ma la voglia e la capacità di comporlo”, da qui le tante polemiche con una parte della sinistra “contrista” straordinaria nella protesta e vana nella proposta.

Un uomo dunque anche di scontro, per tanti aspetti apparentemente ruvido, lontano anni luce dai nostri tempi di salotti e talk show, ma anche un uomo di composizione, di cucitura, per questo segretario generale della Cisl tutta, mai di una sola fazione.

Di lui mi resta l’immagine dell’ultima volta in cui ci siamo visti al parcheggio di Villa Borghese. Con un carissimo amico e collega ce lo trovammo di fronte. Il tempo impietoso lo aveva reso ancora più piccolo ed esile, ma gli occhi in quel viso scavato, mantenevano la stessa indelebile passione di un tempo. Non era tipo da giudizi sommari e non amava parlare dei suoi successori né dare voti all’attività sindacale del momento. Nel salutarci tenacemente insistemmo per un consiglio. Sorrise di un sorriso largo e paterno dicendo “ i sindacalisti devono stare più in fabbrica che in televisione”

E se questo non è un leader…

 

L’autore è Segretario ConfArtigianato Bologna, già docente a contratto presso UniBo

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here