Intervista a Luigi Sbarra, segretario generale aggiunto Cisl nazionale.

Aumento dello spread, stallo della crescita e della produzione industriale, scetticismo delle agenzie di rating. Torna un rischio Italia?
Oggi l’Italia è una nazione praticamente ferma, con un Pil maglia nera in Europa, un’occupazione che cresce quasi solo nella fascia del lavoro povero. Si aggiungono una capacità industriale in netta sofferenza e divari sociali e geografici in aumento. L’andamento è preoccupante, anche in un contesto internazionale di generale risacca. Tuttavia non parlerei di un “caso Italia”: il nostro resta un grande Paese, un pilastro indispensabile dell’economica mondiale e dell’architettura europea, dotato di immense risorse e di tutte le energie necessarie alla ripartenza. Certo, bisogna cambiare rotta alla politica economica e concertare riforme che facciano ripartire buona occupazione, produttività, sviluppo. Sono l’instabilità e l’incertezza che agitano i mercati: per superarle serve concordia, sobrietà e capacità di sintesi verso il bene comune.

Il dialogo tra governo e forze sociali per la legge di bilancio era già in corso, quali le priorità individuate?
Abbiamo richiamato le priorità della nostra Piattaforma unitaria, evidenziando l’urgenza di un piano straordinario di investimenti rivolti alla ripartenza e alla riqualificazione dell’occupazione, del sistema produttivo e del tessuto sociale. Occorre fare leva su infrastrutture, reti sociali e digitali, manutenzione del territorio, che va rilanciata a partire dal Mezzogiorno. Rivendichiamo il potenziamento delle leve della formazione, dell’innovazione, della ricerca e l’estensione della golden rule europea ad ognuna di queste voci. E’ necessario, direi urgente, sbloccare i concorsi nel pubblico impiego, a partire dalla sanità, e una riforma fiscale che sgravi i redditi medi e popolari da lavoro e da pensione. Ci sono 160 tavoli di crisi e 250mila lavoratori a rischio a cui dare risposte, e una politica industriale da rimettere sui binari di una giusta transizione all’economia digitale. Ancora: bisogna valorizzare il ruolo della contrattazione, rispettare i rinnovi pubblici, detassare gli aumenti salariali e combattere i contratti pirata, estendendo quelli leader per ogni settore. C’è da realizzare una vera riforma delle pensioni, che dia un futuro ai giovani e risponda ai bisogni delle donne, riconoscendo la specificità dei lavori più disagiati. Bisogna, infine, riqualificare i servizi socio-assistenziali e il sostegno alla non autosufficienza.

Una delle conseguenze dell’incertezza politica potrebbe essere l’aumento dell’Iva. Perché ritenete questa misura così dannosa? 
L’aumento dell’Iva è il primo rischio da scongiurare, uno schiaffo all’equità e una zavorra che allontanerebbe dalla ripresa. Sarebbe il più ingiusto dei balzelli, un incremento lineare che colpirebbe indistintamente tutti, forti e deboli, allo stesso modo. Incidendo però, in proporzione, molto di più sulle fasce sofferenti, sulle famiglie numerose e monoreddito, sui consumi essenziali di chi già fatica ad arrivare a fine mese. Insomma, proprio sulle realtà che oggi dobbiamo sostenere anche con una rimodulazione del peso fiscale. Ce lo impone un principio di giustizia sociale, ma anche un criterio economico. La domanda interna e la produzione ripartono dal basso, riscattando le fasce più disagiate, che sono quelle a maggiore propensione al consumo.

Prima il passaggio in Parlamento, poi la parola tornerà al Presidente della Repubblica Mattarella. Qual è il ruolo che le forze sociali e sindacali possono svolgere in questo momento?
La crisi è complessa, ma siamo fiduciosi nella grande saggezza e nell’equilibrio istituzionale del Presidente Mattarella. Nostro compito, in vista della Manovra, è tenere dritto il timone sulle questioni di contenuto. Capitoli su cui abbiamo registrato ampia convergenza da parte di tutte le maggiori forze politiche, e che ora vogliamo vedere trasformati in progetti concreti e condivisi. C’è un Progetto-Italia da disegnare insieme, un percorso comune da intraprendere per colmare le disuguaglianze, rimettere al centro il protagonismo del lavoro nella produzione della ricchezza, innalzare il livello dei servizi e del benessere sociale nelle nostre comunità. La via è quella di un Patto sociale per lo sviluppo e l’integrazione che ci orienti su innovazioni partecipate e ci dia, anche in Europa, quel potere negoziale indispensabile per uscire dall’isolamento e superare la logica del cieco rigorismo.

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