Nel primo giorno da presidente degli Stati Uniti, Joe Biden ha firmato 17 ordini esecutivi, segnando la prima, profonda, differenza con Trump su due temi strategici: politica ambientale e sanità. Tra gli altri, il neoeletto presidente degli Stati Uniti ha, infatti, firmato il reintegro degli Stati Uniti nell’accordo di Parigi sul clima – da cui l’amministrazione Trump era uscita ufficialmente il 4 novembre 2020 – e nell’Organizzazione mondiale della sanità.

Del resto, Biden si è presentato alle urne con un piano per una rivoluzione energetica pulita e di giustizia ambientale, prima di tutto nell’interesse della salute nazionale e nel contempo per l’ambiente, che contiene indicazioni precise, a partire dall’impegno di investire 1700 miliardi di dollari in infrastrutture verdi.

La sua agenda climatica intende portare il Paese verso la riduzione dell’uso di combustibili fossili, quali petrolio e carbone, ed il finanziamento delle rinnovabili. Il piano Biden mira a garantire che gli Stati Uniti raggiungano un’economia a energia pulita al 100% ed emissioni nette pari a zero entro il 2050. Biden promette oltre 2.000 miliardi di dollari distribuiti sui quattro anni del suo mandato per finanziare la crescita verde. Come anche l’Unione Europea si appresta a fare attraverso la Renovation Wave, Biden punta a migliorare l’efficienza energetica di 4 milioni di edifici e ad introdurre una regolamentazione che spinga verso l’efficientamento e la resilienza energetica delle nuove abitazioni.

Clima e ambiente: per Biden, prima di tutto, una questione interna

Gli Stati Uniti da alcuni anni stanno sperimentando gli esiti di politiche “negazioniste” sui cambiamenti climatici, che hanno sottovalutato rischi e possibili scenari. Si continua a costruire lungo le coste, dal New Jersey alla Florida, e a stabilirsi nei deserti del Sud-Ovest. Previsioni scientifiche dicono che gli americani si troveranno presto di fronte a una grande trasformazione.

Negli Stati Uniti, circa 162 milioni di persone (quasi una su due) dovranno affrontare un peggioramento delle condizioni ambientali: temperature più alte e scarsità di acqua. Se le emissioni carboniche dovessero continuare a crescere, entro il 2070 almeno quattro milioni di americani potrebbero trovarsi a risiedere in luoghi inadatti alla vita umana. I costi necessari a contrastare le nuove condizioni climatiche già ora sono in crescita: la Florida ha già dichiarato di non avere le risorse per la difesa di alcune aree dall’innalzamento del mare, nel contempo, il programma federale d’assicurazione contro le inondazioni ha cominciato a richiedere che parte dei fondi siano investiti in progetti di contrasto alle minacce climatiche.

Uno studio pubblicato nel 2018 sul Journal of the Association of Environmental and Resource Economists stima che nei prossimi 45 anni un americano su dodici si sposterà dalla metà meridionale del Paese verso gli Stati montani dell’Ovest e verso il Nord per ragioni climatiche. Quest’imponente migrazione interna accentuerà le diseguaglianze economiche; causerà una veloce urbanizzazione in città male attrezzate a ricevere tali spostamenti; infliggerà pesanti perdite alle regioni costiere, rurali e meridionali, spingendo al collasso intere comunità. Il processo è già iniziato nelle campagne della Louisiana e della Georgia costiera, dove le comunità a basso reddito, nere e indigene, già vittime di cattive condizioni di salute e povertà estrema, sono alle prese con il cambiamento climatico.

Trump e l’abbraccio mortale con le lobby dell’energia

L’amministrazione Trump, nell’abbraccio mortale con le lobby dei produttori di energia, aveva definito le limitazioni create dalla tutela dell’ambiente come “gravose normative”. Biden in uno dei suoi primi tweet ha dichiarato che in 77 giorni dal suo insediamento invertirà di 360 gradi la rotta della posizione americana sulle politiche ambientali.

Trump ha lasciato a Biden un mucchio di macerie: tagli al bilancio, ridimensionamento delle Agenzie ambientali, disdetta degli accordi internazionali, promesse e favori all’industria “grey”, disincentivi alle imprese verdi. L’amministrazione repubblicana negli ultimi quattro anni ha smantellato le principali politiche climatiche, annullando regole e leggi federali a tutela di ecosistemi e biodiversità: 84 sono state messe fuori gioco e 20 inserite nel processo che le avrebbe portate a diventarlo. La spesa americana per stimoli verdi all’economia – sotto l’amministrazione Trump – vale l’1,1% del budget federale contro il 18,8% dell’Europa. Un notevole gap da recuperare se si vuole correre in parallelo.

Rientrare nell’accordo di Parigi è il primo passo. Alcune inversioni di marcia, relative a regole concluse sotto il mandato di Trump, tuttavia, potrebbero rivelarsi più difficili da compiere. L’abrogazione di determinate leggi – come ad esempio l’Affordable Clean Energy e gli Standard sulle emissioni dei veicoli – avranno bisogno di un processo normativo più lungo, che influenzerà i livelli di emissione di anidride carbonica del settore dei trasporti e dell’industria americana.

I prossimi passi di Biden

Sul piano delle scelte di merito, la decisione più importante riguarderà le trivelle. Secondo l’Associated press, Biden potrebbe firmare una moratoria per bloccare le nuove concessioni di esplorazione e sfruttamento di idrocarburi (petrolio e gas) in tutte le aree sotto responsabilità federale degli Stati Uniti, sia onshore che offshore. Una misura attesa, dopo che il giorno stesso dell’insediamento Biden aveva annunciato un primo stop di 60 giorni. La moratoria dovrebbe restare in vigore fintantoché il team del presidente e le agenzie di riferimento avranno ultimato di rivedere gli studi dell’impatto su clima e ambiente del comparto oil e gas. Sembra al riguardo che le compagnie petrolifere non si siano volute accaparrare velocemente le concessioni: le ultime aste sono andate pressoché deserte, in parte per gli alti costi di esercizio risultati disallineati rispetto a quello del petrolio (molto più basso), in parte perché l’agenda di Biden ha scoraggiato l’impresa.

Il pacchetto di misure annunciato è molto nutrito e comprende una misura altrettanto importante, che è orientata a tutelare la biodiversità. Biden emanerà un provvedimento, valido per tutte le agenzie federali, di predisporre un piano di tutela che conservi gli ecosistemi su almeno il 30% delle terre e delle acque di pertinenza degli Stati Uniti nei prossimi 10 anni (fonte: Rinnovabili.it). L’efficacia della misura dipenderà in maniera preponderante da come verrà redatta la direttiva: biodiversità e resilienza degli ecosistemi, infatti, tendono a diminuire molto se le aree protette sono spezzettate in piccole zone non comunicanti.

Oltre a ciò, Biden presenterà anche un memorandum che eleva il cambiamento climatico a priorità rilevante per la sicurezza nazionale.

Infine, il capitolo sulla giustizia ambientale, tema molto caro all’ala più radicale del partito democratico, incardinato nel programma originario di Biden, in campagna elettorale, da Sanders e Ocasio-Cortez. Il presidente istituirà un ufficio presso la Casa Bianca specificamente preposto a questioni di giustizia ambientale. Il suo compito sarà quello di monitorare eventuali impatti sulle comunità a basso reddito e sulle minoranze. Queste fasce di popolazione, infatti, tendono a essere colpite in modo sproporzionato dall’inquinamento atmosferico e delle acque, oltre a essere penalizzate nel caso in cui la scelta di dove posizionare siti sensibili come discariche o inceneritori li riguardasse direttamente.

Altra mossa di Biden è quella che segna la fine dell’odissea del gigantesco oleodotto Keystone XL, che sembra sia sua intenzione bloccare. Lungo più di 2mila km, la pipeline doveva collegare i giacimenti di sabbie bituminose dell’Alberta (tar sands, tra gli idrocarburi più inquinanti che esistano.) in Canada, con i terminal per l’esportazione situati sul golfo del Messico. La parte canadese è già stata costruita, i lavori su suolo americano sono molto più indietro nella tabella di marcia. Anche per questo motivo, l’opera è nel mirino degli attivisti per il clima da 12 anni. L’Alberta, dal canto suo, ha minacciato di trascinare in tribunale il governo degli Stati Uniti per la cancellazione dell’opera.

Altri provvedimenti legati al clima

Biden ha ordinato alle agenzie federali di avviare una revisione generale di alcuni degli standard che hanno impatti sul clima. Tra questi, ad esempio, quello sui limiti di emissioni. Un altro ordine esecutivo firmato in questi giorni dà come indirizzo alle agenzie federali quello di considerare l’impatto sul clima, sulle comunità svantaggiate e sulle generazioni future in qualsiasi azione normativa che influisca sulle emissioni di combustibili fossili.

I rapporti internazionali

Di pari passo alla revisione della strategia interna, Biden sta affrontando il nodo delle relazioni internazionali, decisive per le politiche di contrasto ai cambiamenti climatici che sono di natura globale. L’amministrazione Biden ha già annunciato il ritorno al multilateralismo, con l’obiettivo di riportare gli Usa al centro della diplomazia verde globale, accanto alla Cina e all’Europa. Un asse Usa-Europa sull’applicazione degli Accordi di Parigi potrebbe essere decisivo per orientare le decisioni mondiali. Forse sarà difficile recuperare il ritardo accumulato dalla politica isolazionista trumpiana, ma consentirà di rimettere sul tavolo le carte di una strategia più efficace.

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