(già pubblicato sulla rivista Mondoperaio di settembre 2023)

Il titolo provocatorio di quest’articolo (la ‘Cassa’ fu istituita nel 1950) serve anche come giustificazione delle numerose imprecisioni che vi sono contenute. Si tratta di imprecisioni dovute alla fallacia dei ricordi, che vengono trascurate nell’elaborazione di una memoria che fa capo ad esperienze svolte e a conoscenze maturate in un periodo connotato da un desiderio di ‘ricostruzione’, che permaneva negli anni successivi al Secondo dopoguerra ed era legato alla conoscenza diretta di un territorio e di una società che mal si collegava a strutture più aggiornate quali quelle dell’Italia centro-settentrionale. Qui si parla di quanto la Cassa trovò e determinò al suo sorgere e di quanto si sviluppò nel ventennio successivo. Si trattava di un intervento ‘straordinario e aggiuntivo’. Straordinario per superare le difficoltà burocratiche e organizzative che impedivano la celere realizzazione di opere necessarie per equiparare le regioni meridionali alle altre regioni italiane. Aggiuntivo poiché non venivano interrotti o sostituiti i procedimenti, le politiche e le opere deliberate con gli altri interventi dello stato. La Cassa, gli enti collegati, in primis il Formez, non trovarono un ‘deserto’ culturale. Permanevano tradizioni e costumi riferiti a culture superate, piuttosto che arretrate.

Gli studi e le esperienze di Ernesto De Martino ce ne hanno date numerose documentazioni e testimonianze. La cosiddetta ‘civiltà contadina’, presente e diffusa, sollecitava romantiche celebrazioni ma, di fatto, i suoi cultori rallentavano le propensioni allo sviluppo ancorché saltuariamente presenti. La civiltà contadina rilevava la presenza di forze autoctone che ispiravano un nuovo meridionalismo. Tuttavia, ad essa si legavano anche coloro che vedevano prevalentemente nella riforma agraria, anche con atteggiamenti ambivalenti, lo sviluppo del Mezzogiorno. Il Mezzogiorno veniva descritto in termini contraddittori, generalizzando condizioni sociali, economiche e naturali. Fu descritto erroneamente come una ‘ferace terra’. Una regione di briganti. Una diffusa povertà simboleggiata spesso dai ‘sassi’ di Matera. Il Mezzogiorno aveva dato alla storia e alla cultura un’infinità di esempi e di sostegni sia nell’esperienza risorgimentale, sia nella letteratura, sia nelle scienze legate agli studi e agli interventi, anche spesso conseguenti ad eventi naturali tragici: valga per tutti il terremoto di Messina del 1908. Fermenti culturali e propensioni allo sviluppo erano diffusi nel Mezzogiorno e legati alle indicazioni politiche e culturali di autori e di protagonisti, da Guido Dorso a Carlo Levi, per citare due massimi riferimenti. Nel Mezzogiorno si formavano e si elaboravano forme di cultura significative. C’erano fermenti culturali importanti ancorché scollegati tra di loro, ancor prima che l’azione pubblica straordinaria sviluppasse il suo impegno. La Cassa operava dal 1950 ma solo con la Legge Colombo del 57/58, tesa a coinvolgere il sistema produttivo italiano nella crescita del Mezzogiorno, iniziò una politica di industrializzazione che tuttavia trovava già i suoi insediamenti significativi. La Olivetti di Pozzuoli fu inaugurata nel 1955. L’Italsider di Taranto era funzionante già nel 1965. La prima conciliava i meccanismi industriali e il welfare aziendale – innovativi nel Mezzogiorno – di fronte a uno dei golfi più belli del mondo. Il secondo si presentava come un pennacchio di fumo sgorgante da una torre con strisce bianche e rosse che si ergeva lontana, su una prospettiva verde di ulivi che brillavano con le foglie al sole: era l’acciaio tra gli ulivi. C’erano i Sassi di Matera. Erano il retaggio di un insediamento secolare che non aspirava ancora a una sua modernizzazione: l’esperienza de La Martella, progettata da Olivetti, strideva nella sua modernità con i costumi ancora ‘inamovibili’ della ‘civiltà contadina’. A Matera stessa intellettuali di avanguardia come i fratelli Sacco, l’architetto Marcello Fabbri, e altri, sviluppavano temi che avevano tenuto sommersi durante il fascismo. Gli studi sulle Chiese Rupestri impegnavano giovani ricercatori volontari nella loro scoperta e nella loro valorizzazione con il Circolo della Scaletta.

L’università di Portici, diretta da Manlio Rossi Doria, era all’avanguardia negli studi e nelle ricerche sull’agricoltura. Rocco Mazzarone e Gilberto Marselli, incontrando i giovani funzionari della Cassa e del Formez, li mettevano a contatto materiale con la cultura di Rocco Scotellaro, conosciuta solo sui suoi libri di romanzi, di poesie e di racconti pieni di pathos e di denunce, anche anarcoidi, sull’assenza dello Stato. La Cassa – fortemente voluta da De Gasperi, insieme alla legge stralcio per la riforma dell’agricoltura – non nacque per incanto La Fiera del Levante di Bari mostrava la visione di una economia protesa alla crescita ma era anche fucina – con il suo ufficio stampa/studi – di culture e professionalità intelligenti e preparate. Le case editrici – Laterza, ma anche Lacaita e altre – erano all’avanguardia nella produzione di opere e testi di rilievo internazionale.

A Napoli Francesco Compagna spronava la politica nazionale con la rivista Nord e Sud, sottolineando la necessità di una visione europea per qualunque intervento teso allo sviluppo. In Sicilia Danilo Dolci, con le sue proteste ma anche con la sua capacità costruttiva, consentiva la realizzazione di opere importanti e di affrancamento delle popolazioni locali. Ce ne parlavano, al Cepas di Guido Calogero, Lorenzo Barbera e Goffredo Fofi. In Sicilia l’industria petrolifera nazionale, con gli insediamenti di Gela e di Ragusa, guidava una tensione autoctona allo sviluppo. In Abruzzo, dopo la tragedia di Marcinelle, Paolo Volponi, Angela Zucconi e Italo Insolera erano impegnati con un progetto dell’Ocse nello sviluppo della zona ‘e’, coincidente nella carta geografica con la congiunzione di Abruzzo e Molise, ancora considerate un’unica regione. In Sardegna l’Etfas aveva iniziato un’opera di modernizzazione dell’economia agricola. Tutti episodi allora scollegati tra di loro ma tuttavia intesi dai dirigenti e dai tecnici della Cassa e del Formez come momenti fondativi per uno sviluppo. C’erano dei grossi nei, ovviamente. In Sicilia, Danilo Dolci denunciava lo spreco, in particolare di opere non ultimate e abbandonate e il contrasto con  un conservatorismo locale, anche fuori legge. A Pozzuoli, Ottiero Ottieri, con Donnarumma all’assalto, denunciava le politiche clientelari per le assunzioni. Le organizzazioni criminali trovavano nuovi modi di intervento e di oppressione nonché di condizionamenti di iniziative economiche e sociali adeguandosi ai processi di modernizzazione.

Manlio Rossi Doria metteva in guardia sugli investimenti che non distinguevano la produttività se indistintamente applicati ‘all’osso e alla polpa’ del territorio meridionale, richiamando l’avvertimento di Giustino Fortunato sulla millanteria delle ‘ferace terra’ che, appunto, non era ferace per la varietà del territorio e delle zone climatiche. Sicuramente ristagnava nel Mezzogiorno una struttura amministrativa disorganizzata oltre a una carenza di infrastrutture che vennero affrontate inizialmente con interventi massicci nell’agricoltura e, in seguito, dal 1958 con incentivi e politiche di sviluppo industriale. L’intervento della Cassa negli anni ‘50, teso alla valorizzazione dell’agricoltura e soprattutto alla costruzione di importanti infrastrutture, determinò o fu concomitante al passaggio numeroso di operai dalle qualifiche di braccianti agricoli a quelli di operai dell’industria. Non era un passaggio di poco conto poiché l’industria – che consisteva allora in industria delle costruzioni edili – concedeva un’assistenza sociale e previdenziale, ancorché modesta, che l’agricoltura non concedeva. In questa ogni forma di assistenza era ‘concessa’ solo se si superava un certo numero di giornate lavorative, necessariamente limitate oltre che dalla disoccupazione, dai lavori stagionali e dalle condizioni climatiche.

Da quest’esodo, dal cosiddetto settore primario a quello secondario, derivò anche la massiccia emigrazione dal Sud al Nord. La Cassa – fortemente voluta da De Gasperi, insieme alla legge stralcio per la riforma dell’agricoltura – non nacque per incanto. Con la sua istituzione si metteva un punto a un dibattito intenso che si era sviluppato nel dopoguerra. Un dibattito che riprendeva i temi del meridionalismo pre-fascista e indulgeva molto sulle preferenze da scegliere tra interventi tecnico-economici e impostazioni politiche generali. La cultura della programmazione non abbracciava ancora gli interventi ipotizzati come un tutto e le interazioni tra obiettivi e strumenti. L’esperienza del Piano Vanoni si concretizzò solamente nel 1955 e non poteva essere di esempio. Gli altri piani erano settoriali (il piano case di Fanfani) o indicazioni di singoli interventi sganciati da una visione unitaria (il Piano del lavoro). ‘La Forma dei Piani’, teorizzata da Olivetti, rimaneva nell’ambito delle lezioni accademiche. Le indicazioni di pianificazione urbanistica della legge del ’42 non sembra fossero prese in considerazione. Le teorie di politica economica che suggerivano pianificazioni – da Timbergen a Myrdal, illustrate all’Università da Federico Caffè – non costituivano una base culturale e scientifica per i legislatori di allora. C’era sì una cultura della programmazione ma non della pianificazione. La Svimez suggeriva politiche e indicava criteri e strumenti utili a una valutazione ma assorbiti tardivamente nell’opera di governo.

Nel Corso Svimez di Claudio Napoleoni noi giovani economisti apprendevamo da Rosestein Rodan i modi e gli effetti dell’industrializzazione. Francesco Indovina svolgeva le prime ricerche sull’imprenditorialità che poi ripresi al Censis e al Cnite, in particolare con l’approccio olistico nella gaming simulation. Giuseppe De Rita, insieme ad Ada Collidà e Manin Carabba, indicava dubbioso la fine del meridionalismo mentre si inventava il Censis. Il Progetto ’80, disegnato da Antonio Giolitti, Giorgio Ruffolo e Manin Carabba aveva come meta, appunto, gli anni ‘80 e fu redatto nel 1969/70. Rossi Doria, intanto, insisteva per una formazione della classe dirigente meridionale e Pasquale Saraceno riteneva  necessaria una visione politica complessiva di tutta l’azione per il Mezzogiorno, legata almeno alla politica nazionale. Achille Ardigò a me e Piero Bassetti disse, in una breve riflessione, che la politica meridionalista avrebbe dovuto essere una ‘costruzione di senso’, pena la sua caducità. Forse non veniva chiamato così l’impegno etico, politico e professionale di tutti coloro impegnati nello sviluppo del Mezzogiorno, fin dal Dopoguerra, attraverso la costruzione e la gestione di opere e servizi. Le migliori intelligenze meridionali si fondevano con professionisti e tecnici delle varie amministrazioni pubbliche e delle imprese.

Un impegno progettuale e realizzativo motivato da grandi prospettive, ritenute allora possibili e maggiormente realizzabili proprio per la sintesi di cultura e lavoro Ci fu un momento in cui si intendeva chiudere la Cassa e trasferire i suoi professionisti e tecnici nelle strutture ‘ordinarie’ dello Stato. Si trattava di un numero notevole di tecnici e professionisti qualificati con notevoli esperienze sul campo. L’esperienza del Formez, con particolare riferimento agli anni ’60 – e con le presidenze di Martinoli, Marongiu e Zoppi –,
promuoveva e realizzava una formazione di dirigenti pubblici tessendo una rete di esperienze amministrative e di collaborazioni, prima che fossero istituite le Regioni.

I 90 Centri di Servizi Culturali che il Formez promosse e realizzò costituiscono tuttora l’unico esempio in Italia di una ampia politica di diffusione della cultura che si affiancava allora alla recente e faticosa unificazione delle scuole medie. Peraltro, la caratterizzazione dei CSC come servizi pubblici, costituiva un paradigma per ogni insediamento amministrativo. L’enfasi di questa prosa vuol riproporre un clima che allora pervadeva l’azione pubblica e motivava i protagonisti. Vuole anche contrastare una sorta di cancel culture che si ripresenta su processi sociali ed economici passati che, ad onta di sviluppi e di risultati contrari ai propositi iniziali, avevano una intensa caratterizzazione creativa e, con gli strumenti dell’epoca, di grande portata tecnica e professionale. Un impegno progettuale e realizzativo motivato da grandi prospettive, ritenute allora possibili e maggiormente realizzabili proprio per la sintesi di cultura e lavoro che in esse si esprimeva.

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