Uno spettro si aggira per l’Europa. Lo diceva Marx nel 1948 parlando del comunismo e della paura che questa ideologia incuteva alle potenze europee per il suo contenuto rivoluzionario e destabilizzante. Utilizzo queste famose parole di Marx perché, alla vigilia del prossimo appuntamento elettorale europeo, temo fortemente che oggi in Europa soffi un vento oscurantista per le donne, in un’Europa che in questi anni, pur con tutte le sue debolezze e fragilità, è sempre comunque stata dalla parte delle donne e che, ora, rischia di segnare una battuta d’arresto nel processo di avanzamento dei diritti delle donne e della difesa delle loro libertà.

Un segnale è arrivato in questi giorni a seguito dell’approvazione di una direttiva sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica, attesa da anni, in applicazione della Convenzione di Istanbul adottata nel 2011. La direttiva approvata, vincolante per tutti gli Stati membri, configura come reato in tutta l’Unione Europa le mutilazioni genitali femminili, i matrimoni forzati, la condivisione non consensuale di immagini intime, lo stalking on line, le molestie on line, l’istigazione alla violenza e all’odio on line, ma non il reato di stupro e le molestie sessuali sui luoghi di lavoro. Voglio brevemente ricordare come La Convenzione di Istanbul adottata nel 2011 è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne, che affronta questo tema da diverse prospettive, tra cui quello della  violenza domestica, in maniera completa ed esaustiva e che, benché il Consiglio d’Europa dal 2017 l’avesse già adottata, necessitava di una norma europea, quale una direttiva, per fornire ai paesi aderenti un quadro coerente e omogeneo per la sua applicazione.

La proposta da parte della Commissione europea è cominciata l’8 marzo 2022 e il testo,
perfettamente aderente allo spirito della Convenzione di Istanbul, prevedeva all’art.5 tra i
comportamenti da criminalizzare anche lo stupro, individuabile come reato per l’assenza di
consenso e le molestie sessuali sui luoghi di lavoro. Ma nel Consiglio composto, come sappiamo, dai rappresentanti dei governi membri dell’Unione Europea, non si è trovato l’accordo su questa formulazione e il testo è passato emendato dalla formulazione iniziale.
Tutto ciò è avvenuto sostanzialmente per l’opposizione di alcuni paesi, quali Ungheria, Repubblica Ceca, Bulgaria, Slovacchia, Lettonia e Lituania, gli stessi che non hanno mai ratificato la Convenzione di Istanbul ma anche grazie al voto di altri paesi, tra i quali la Francia e la Germania, che hanno opposto motivi tecnici, ritenendo la materia individuata nell’art. 5 di non competenza dell’Unione Europea. Di fatto il primo atto legislativo dell’Unione Europea sul tema della violenza, importante per garantire in tutta l’Unione che i responsabili dei reati di violenza siano puniti severamente e che le donne ricevano tutto il sostegno di cui hanno bisogno, nasce svuotato di un contenuto fondamentale, in spregio a tutte le donne che hanno subito violenza e che sono state dimenticate e mortificate da politiche oscurantiste, lontano dallo spirito fondativo dell’Unione.

Il tema del consenso della vittima come elemento determinante del reato di violenza è uno dei punti qualificanti della Convenzione di Istanbul, ripreso anche del Comitato delle Nazioni Unite che su questo punto si è già espresso proprio nei confronti del nostro paese, intimando una modifica legislativa del reato di stupro, che garantisse la centralità del consenso della vittima. Assumere a livello europeo una definizione univoca del reato di stupro avrebbe non solo imposto a tutte le legislazioni nazionali, che ancora non lo hanno fatto, di prevedere la mancanza di consenso quale elemento fondamentale del reato di stupro, ma anche dato l’avvio a un passaggio culturale importante che sposta dalle vittime di violenza agli autori del reato il carico dei processi nelle aule dei tribunali. Dal testo della direttiva è stato anche eliminato il reato di molestia sessuale sul luogo di lavoro, rinviando alle singole legislazioni nazionali le misure adeguate su questa tematica, “ove queste ultime costituiscano reato ai sensi del diritto nazionale”. Dunque anche su questo punto un’occasione mancata o un compromesso al ribasso per una direttiva che poteva essere un momento rivoluzionario nella promozione dei diritti delle donne. Abbiamo avuto la dimostrazione con questo atto di come la politica europea debba fare i conti con la spinta conservatrice e patriarcale dei governi europei di destra, che passano sopra ai diritti umani e delle donne in particolare, indifferenti alle voci e alle proteste che sono venute dalle associazioni femminili, dai sindacati e dai centri antiviolenza.

Bisogna dare atto alla vice Presidente del Parlamento europeo Pina Picierno e a tutta la delegazione del Pd di avere fino all’ultimo e in ogni modo tentato di riportare in Parlamento la discussione in merito allo stralcio dell’art.5 dalla direttiva, ma il nostro governo, nonostante il nostro paese avesse già approvato la Convenzione di Istanbul dal lontano 2013, non si è opposto alla nuova formulazione in seno al Consiglio e non ha minimamente speso il suo potere negoziale nei confronti di altri paesi o governi amici, derubricando tale questione tra quelle non fondamentali. Anche alla luce di questi episodi, il voto delle donne alle elezioni europee assume un’importanza fondamentale perché quello che ci sembrava ormai conquistato e raggiunto, rischia con un tratto di penna di essere cancellato e ci tocca ricominciare di nuovo.

(Foto di Vonecia Carswell su Unsplash)

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