Dal 1992 ad oggi sono stati assassinati 1354 giornalisti nel mondo, 16 solo nel 2019. Criminalità organizzata, guerre e terrorismo sono le principali cause di morte per gli operatori dell’informazione. Sotto accusa anche i governi illiberali, i quali non esitano a incarcerare, torturare e uccidere, esercitando nel contempo forme di sorveglianza e di censura. Anche le mancate indagini giudiziarie e i frequenti depistaggi rappresentano una grave minaccia, così come le campagne denigratorie messe in atto dalle autorità nei confronti dei giornalisti che hanno osato criticarle. Attualmente vi sono 234 giornalisti imprigionati nel mondo e 64 risultano dispersi.

Ultima nella classifica del Word Press Freedom Index è il Turkmenistan, dove il governo del presidente Berdymukhammedov controlla tutti i media. Nel 2018, le Nazioni Unite hanno riconosciuto la responsabilità dello stato turkmeno per la morte della giornalista Ogulsapar Muradova, detenuta dal 2006, a seguito di maltrattamenti avvenuti in carcere.

Anche la Corea del Nord, con il regime totalitario del dittatore Kim-Joung-un, è uno dei Paesi più censurati al mondo. Nel settembre 2017, un tribunale nordcoreano ha condannato a morte in contumacia due giornalisti sudcoreani, Hyo-rim e Yang Ji-ho, per “aver insultato la dignità del Paese”.

Una fra le più grandi prigioni mondiali per gli operatori dell’informazione è la Cina, con 69 giornalisti imprigionati. L’attivista Liu Xiaobo, scrittore, docente e premio Nobel per la pace, e Yang Tongyan, blogger dissidente, sono morti nel 2017 a causa di tumori, non adeguatamente curati, mentre erano detenuti. La censura cinese si è estesa anche su Taiwan e su Hong Kong dove, nel corso delle recenti proteste, una giornalista indonesiana ha perso la vista a un occhio, colpita da un proiettile di gomma.

Ad essere considerato uno dei Paesi più letali per i giornalisti è poi la Siria. Qui almeno 10 giornalisti sono stati uccisi dal 2018, cinque di loro mentre si trovavano nelle carceri di Bashar al-Assad. Sequestri e omicidi rappresentano una minaccia costante, come nel caso del rapimento, avvenuto nel 2012, del giornalista statunitense James Foley e del britannico Jhon Cantle da parte del sedicente Stato Islamico.

Chi è accusato di insultare la religione o il re, in Arabia Saudita, può essere detenuto senza processo e sottoposto a punizioni barbare come la fustigazione. I giornalisti continuano ad essere in pericolo di vita anche quando decidono di fuggire: nell’ottobre del 2018 Jamal Khashoggi, da tempo in esilio negli Stati Uniti, è stato ucciso mentre si trovava nell’ambasciata saudita a Istanbul.

In Turchia, a seguito del fallito colpo di Stato del luglio 2016, il presidente Erdogan ha dichiarato lo stato di emergenza, permettendo alle autorità di chiudere numerosi giornali e di arrestare giornalisti come Ahmet Altan, condannato all’ergastolo nel 2018. Nel corso dei recenti bombardamenti turchi contro la popolazione curda, almeno due giornalisti sono stati uccisi.

Secondo l’Organizzazione per la protezione dei giornalisti (CPJ), la Russia è fra i Paesi più pericolosi per gli operatori dell’informazione ed il peggiore per quanto riguarda la risoluzione degli omicidi. Qui, nel 2006, viene assassinata la giornalista Anna Politkovskaja, famosa in tutto il mondo per i suoi reportage dalla Cecenia, nei quali condannava i militari russi per il mancato rispetto dei diritti umani e si opponeva al governo di Putin.

Preoccupante la situazione anche nell’isola europea di Malta: nel 2017 la giornalista investigativa Daphne Galizia muore nell’esplosione della sua auto, sulla quale è stata messa una bomba. Galizia, prima di essere uccisa, si stava occupando dei Panama Papers, i documenti che hanno svelato l’esistenza di una rete mondiale di società offshore.

In Italia, superati i difficili anni di piombo e del terrorismo, dove ad essere feriti a colpi di arma da fuoco sono stati numerosi giornalisti, come Indro Montanelli, sino all’uccisione nel ’77 di Carlo Casalegno e, nell’80, di Walter Tobagi, particolarmente grave continua ad essere la presenza sul territorio di associazioni criminali, responsabili nel corso degli anni della morte di 10 giornalisti: Cosimo Cristina; Mauro De Mauro; Giovanni Spampinato; Peppino Impastato; Mario Francese; Mino Pecorelli; Giuseppe Fava; Giancarlo Siani; Mauro Rostagno; Beppe Alfano. Numerosi anche i giornalisti italiani deceduti in scenari di guerra: Almerigo Grilz; Guido Puletti; Marco Lucchetta; Ilaria Alpi; Marcello Palmisano; Antonio Russo; Maria Grazia Cutuli; Enzo Baldoni; Raffaele Ciriello; Vittorio Arrigoni.

Oggi in Italia vivono sotto scorta 22 giornalisti e moltissimi altri temono per la propria vita. Sotto protezione perché minacciati dalla criminalità organizzata sono, tra gli altri, lo scrittore Roberto Saviano, il vicedirettore dell’“Espresso” Lirio Abbate, la cronista di «la Repubblica» Federica Angeli, Michele Albanese del «Quotidiano del Sud», il vicedirettore dell’AGI Paolo Borrometi.

Ma la vocazione del giornalista non sarà mai affievolita dalle minacce e dai soprusi: per ogni giornalista ammazzato, per ogni vita spezzata, si leverà ancora più in alto la voce di chi ne raccoglierà il testimone, e dalle colonne dei giornali, ogni giorno e in ogni parte del mondo i giornalisti continueranno incessantemente ad esercitare il proprio diritto di indagare e denunciare, di seguire la verità e di far emergere la giustizia. Nessuno potrà mai fermarli.

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