Mentre la stampa locale elogia l’Unesco per l’alto numero di siti presenti in Veneto, ben nove con l’ultimo di Padova, a Venezia si alza la critica sulla minaccia di declassare la città (decisione sospesa fino al 2023) che ha provocato il decreto di blocco al passaggio delle navi «bianche» davanti a San Marco.

Si può sostenere, e con buone ragioni (come fa Paolo Baratta nel bel libro «Il Giardino e l’Arsenale»), che l’Unesco guardi a Venezia con un approccio tutto conservativo della struttura ambientale e monumentale e sottovaluti la componente vitale della città, il suo essere «un organismo vivente complesso» alimentato da un indispensabile tessuto economico e sociale.  Ma nella partita mondiale che Venezia gioca ogni giorno, l’Unesco è un attore influente e di sicuro interesse per l’economia veneta e italiana.

Accogliamo allora l’invito di Paolo Costa («Corriere del Veneto» del 30 luglio) a non snobbare l’appuntamento del 2023 ed affrontare per tempo il dibattito internazionale costruendo, noi, il progetto per la Venezia del XXI secolo che risponda al doppio problema della salvaguardia e dello sviluppo, vero nodo irrisolto della Venezia contemporanea.

Ogni giorno, in ordine sparso, associazioni, enti, fondazioni, circoli, categorie economiche, singole personalità e opinione pubblica mondiale dicono la loro sul futuro della città. Da ultima la nascente fondazione per Venezia capitale mondiale della sostenibilità, che riunisce le maggiori Istituzioni cittadine e importanti aziende pubbliche e private. Ma serve una regia. Il Comune, cui spetterebbe il compito, si attarda in sterili, divisive polemiche. Non va oltre il quotidiano, mentre il Sindaco è ormai assorbito dal suo progetto politico nazionale («parlante» il suo silenzio sull’ultimo provvedimento del governo). La Regione si è sempre sostanzialmente disinteressata di Venezia. E il governo Draghi, pur con tutte le competenze, risente delle spinte contrapposte della sua anomala maggioranza.

Al contempo, e paradossalmente, c’è persino un eccesso di governance. La quantità di poteri istituzionali che su Venezia interagiscono, nominati da Roma, è davvero eccessiva: ben sette commissari, e inoltre l’Agenzia per la laguna (da nominare), il Magistrato alle acque (chiamiamolo pure così!), il Presidente del Porto e la Sovraintendenza. Tutti decisori che hanno un peso determinante per la città. Aggiungiamoci poi gli «influencer», come l’Unesco appunto, o Italia nostra…

Bisogna semplificare e riunificare e i veneziani e chi li rappresenta (bene o male è un altro discorso) devono poter pesare di più. Ma sbaglia Brugnaro quando rivendica tutto per sé. Venezia è un patrimonio nazionale, e non solo, ed è bene che il governo se ne occupi direttamente e costantemente. Nei mesi scorsi, la chiassosa polemica del sindaco sulla Agenzia per la laguna (che il Ministro Brunetta ora vuole riformare) ha prodotto solo immobilismo. Perché l’obiettivo non può essere ritoccare un singolo istituto, quanto definire un quadro organico di governo. 

Strategia e governance, dunque.

Disponiamo in realtà di un buon punto di partenza: la legge speciale per Venezia. Si è spesso parlato, in questi anni, di aggiornarla e in Parlamento sono depositati vari progetti. Ma, alla prova dei fatti e nonostante sia passato molto tempo, il suo impianto originale è ancora efficace, perché l’equilibrio tra salvaguardia e sviluppo è il suo punto di forza (basta rileggere l’articolo 1), mentre la straordinaria unità della politica veneziana di allora oggi non è più disponibile.

Bisogna, dunque, cambiare passo, produrre un progetto coerente che tenga insieme tutela e crescita, disegnare una governance inclusiva, ma in grado di decidere. E spetta a noi veneziani imprimere un nuovo impulso. Le istituzioni, le forze politiche, le categorie economiche, i media devono uscire dallo stallo e lavorare insieme al futuro dell’intero territorio della «grande Venezia».

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