Migliorare il rapporto con i propri cittadini è compito e desiderio di ogni amministrazione locale. Le dimensioni di un territorio spesso non facilitano l’interlocuzione con chi si deve amministrare, molte istanze dei cittadini non riescono a raggiungere i livelli di governo corretti e molte politiche o iniziative di buona amministrazione non trovano i giusti canali di comunicazione con i loro destinatari. Queste difficoltà riguardano soprattutto i grossi agglomerati urbani, pur se anche i piccoli paesi o le zone rurali vivono un grosso scollamento con le proprie amministrazioni, in mancanza spesso di soggetti intermedi che rappresentino e portino avanti i loro interessi.
Tra le tante chiavi di lettura individuate dagli addetti ai lavori per ridisegnare il rapporto tra
cittadini e amministrazioni, alla ricerca di soluzioni per rendere più vivibili e accoglienti gli spazi e l’organizzazione delle nostre città e dei nostri territori, utilizzare lo sguardo delle donne può dare un contributo importante per una più concreta progettualità. D’altra parte le donne, come ci racconta anche un libro di recente pubblicazione di Elena Granata
“Il senso delle donne per la città,” edito da Il Mulino, sono state raramente protagoniste nella costruzione e nell’organizzazione degli spazi nelle città e quasi sempre escluse dalla progettazione urbanistica, dalla direzione dei cantieri, dall’ arredo urbano, dalla nascita di nuovi quartieri. Alle donne è stata lasciata la cura dello spazio privato, dove nei secoli si è espressa la loro creatività e la capacità di tenere insieme affetti, benessere e confort della propria famiglia. Ma questo ha consentito loro di inventare zone di prossimità, luoghi di benessere, di allungare lo sguardo sulle relazioni e gli spazi, fisici, ma anche simbolici e virtuali, dove si costruiscono le reti, i saperi, le abilità, si tramandano le tradizioni, si compongono le diversità e si crescono le generazioni future.
Tanti sono gli ambiti in cui un’amministrazione, che si vuole impegnare in politiche inclusive e innovative, può migliorare la vivibilità dei propri cittadini e accelerare i processi di cambiamento, partendo dallo sguardo delle donne. Il primo è quello del lavoro, costruendo percorsi per l’occupazione femminile, che tolgano le donne dalla dipendenza economica e dall’invisibilità, favorendo la nuova imprenditorialità femminile in quei settori più vitali e più rispondenti a ciascuna identità territoriale e dove da sempre le donne hanno espresso i loro saperi. Penso al turismo, all’enogastronomia, all’agricoltura biologica, all’artigianato, ma anche a tutto il mondo dei servizi e della cura alle persone, dove già le donne spendono tempo e fatica senza alcun riconoscimento, né giuridico né economico. Lo stesso lavoro può essere ripensato in un’ottica più intelligente e flessibile, mettendo in discussione i tradizionali vincoli legati al luogo e all’orario di lavoro, in un’ottica di condivisione e
conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, che non è un problema solo femminile, ma di cui da sempre le donne si sono fatte carico da sole.
L’effetto più immediato e visibile di una nuova e diversa programmazione dei tempi di lavoro sulla città è sicuramente il contributo alla decongestione del traffico urbano, al risparmio energetico, a un utilizzo più razionale ed economico degli spazi lavorativi, ma questo cambiamento porta in sé ben altri benefici perché favorisce di conseguenza una rivoluzione culturale nelle relazioni familiari e un superamento della cultura tradizionale e patriarcale che è alla base di tanti episodi di violenza sulle donne ancora di tragica attualità.
Sul tema del contrasto alla violenza che certo merita politiche più efficaci e meno
propagandistiche soprattutto da parte del nostro governo, con impiego di risorse economiche e impegno corale di tutte le istituzioni, anche gli enti territoriali di prossimità, come i Comuni, possono efficacemente impegnarsi di più, rispondendo a un bisogno non solo di protezione delle donne e spesso anche dei loro figli, ma innescando ulteriori processi virtuosi. A partire dall’’attivazione di sportelli di ascolto, di luoghi privilegiati di conservazione e promozione dei saperi femminili (quali per esempio biblioteche di genere) di centri di aggregazione per la trasmissione di conoscenze, di informazioni, di orientamento sulle opportunità, di apprendimento di abilità e competenze, (sportelli delle pari opportunità), fino alla creazione, in ogni quartiere, di Centri antiviolenza o di case rifugio dove offrire gratuitamente sostegno e supporto alle donne vittime o minacciate di violenza e ai propri figli. Ciò attraverso l’individuazione e la gestione di spazi e beni pubblici da sottrare al degrado e all’incuria, attraverso processi virtuosi di cogestione e/o affidamento ad associazioni che già operano nel territorio.
Sul tema della sicurezza e della prevenzione alla violenza, i Comuni possono costruire le loro politiche favorendo l’accessibilità delle donne ai luoghi della città, attraverso un miglioramento delle condizioni di vivibilità degli spazi urbani degradati, un’illuminazione più diffusa nelle strade, un potenziamento dei trasporti nelle ore serali e notturne, la rimozione di cartelli pubblicitari nei loro territori lesivi dell’immagine e della rappresentazione femminile. La lotta agli stereotipi di genere e culturali, che è un processo lento e che vede il coinvolgimento di tutti gli enti impegnati nella formazione e nell’educazione può e deve cominciare dalla prima infanzia e nell’organizzazione e nella gestione delle politiche educative e sociali in cui i Comuni sono impegnati, l’educazione al rispetto, all’affettività, alla gentilezza, all’utilizzo di un linguaggio non sessista e l’attivazione di programmi che mettano al centro i valori, della diversità dell’accoglienza, della solidarietà costituiscono un prerequisito indispensabile per crescere bambine e bambini futuri e migliori cittadine e cittadini delle nostre città.
Tutte le proposte di cui fin qui abbiamo parlato, insieme a tante altre, fanno parte di un Manifesto nato a Matera nel 2019 dalla progettualità degli Stati generali delle donne, coordinamento permanente nato per dare voce alle donne nei diversi territori italiani, che traccia Le linee guide da consegnare ai Comuni per ridisegnare le città con lo sguardo delle donne. L’obiettivo è anche quello di costruire una rete nazionale che unisca sulle buone pratiche grandi città e piccoli comuni su concrete progettualità. Per tali ragioni L’ANCI, condividendo le tematiche di tale iniziativa, invita i Comuni ad aderire al progetto Città delle donne, postando sul proprio sito tutta la documentazione necessaria.
Molti Comuni hanno già aderito, adottando una delibera specifica e di recente la città di Roma all’unanimità ha approvato in assemblea capitolina la delibera che adotta le Linee guida: Le Città delle donne-Stati generali delle donne, proponendosi come prima capitale Europea ad assumere questa iniziativa.