In un’epoca dove la vita diventa sempre più frenetica; dove la parte di mondo che più ci riguarda cammina veloce mentre noi ci stiamo fermando (lo dicono i dati statistici, economici, finanziari, del lavoro e della cultura); dove la governance politica nazionale vive un momento difficilissimo, senza più possibilità di sbagliare; dove tecnologia è sinonimo di innovazione, velocità e riduzione dei costi, ma spesso quando si abbina al fisco produce effetti totalmente contrari, ci troviamo, a brevissimo, ad affrontare un cambiamento epocale che sconvolgerà (o quasi) la gestione contabile della stragrande maggioranza delle partite Iva italiane (quel tessuto produttivo fatto di mini/micro imprese e tante ditte individuali che ogni tanto chiamiamo “popolo delle partite Iva” o “Made in italy” o altro) che versa ogni anno, nelle casse dello stato, miliardi di euro in tassazioni, imposte e gabelle varie, la fatturazione elettronica, o E-Fattura che dir si voglia tra privati in ambito nazionale.
L’1 gennaio 2019 entrerà in vigore in Italia la tanto decantata e derogata fatturazione elettronica per tutte le Partite iva (o almeno per quelle che resteranno visti i tempi bui che attraversa il nostro Paese). Quindi la gestione della fatturazione si allineerà ai formati previsti dalla Norma Europea e dalla Direttiva 2014/55/UE che in ogni caso dall’aprile 2019 diventerà obbligatoria per tutte le Pubbliche Amministrazioni europee. Si comprende molto facilmente la motivazione del governo di evitare inutili ed ulteriori proroghe alla sua applicazione.
Prima di approfondire le problematiche relative all’applicazione della E-fattura nella vita quotidiana di imprese e professionisti, vanno però analizzati e compresi anche i motivi della sua introduzione.
Il principale è quello della riduzione del tax gap iva, ovvero l’evasione dell’imposta sul valore aggiunto, serissimo problema che riguarda l’intera comunità europea e di cui l’Italia è tristemente protagonista con circa 35 miliardi di buco nel recupero dell’imposta. Sulla base degli ultimi dati pubblicati dall’Unione Europea, l’evasione IVA all’interno della comunità è impressionante, ben 151,5 miliardi di imposta evasa, quasi il 12% di quella complessivamente incassata ed il gap italiano incide per un addirittura il 23% del totale.
Appare chiaro che una soluzione va necessariamente trovata e molto si punta proprio sulla fatturazione elettronica che aiuterebbe non solo a ridurre il tax gap iva nel suo complesso grazie alla “tracciabilità” di tutte le operazioni ma renderebbe anche più veloce la riscossione del tributo vista la disponibilità immediata dei dati relativi alle operazioni stesse. Ma a che prezzo però? I problemi infatti sono molti, da quelli puramente economici a quelli prettamente pratici.
Primo tra tutti è quello relativo ai costi: molte piccole medie imprese infatti dovranno dotarsi di software per gestire la fatturazione o abbonarsi a portali online che forniscono il servizio, in poche parole nuovi oneri da sostenere che si sommano ai già moltissimi relativi agli vari obblighi fiscali, burocratici e contabili e con l’ulteriore rischio che i molti contribuenti meno informatizzati saranno costretti a esternalizzare completamente la fatturazione pagando professionisti o agenzie di servizi e sostenendo costi enormi.
Ulteriore problematica di non poco conto è quella prettamente pratica, che impatterà nella vita lavorativa di tutti i giorni delle imprese e dei suoi clienti poiché la fattura elettronica prevede procedure di inserimento dati più lunghe e complesse rispetto ad una classica fattura e occorre necessariamente un supporto informatico per produrla. In poche parole, tutti gli operatori si dovranno dotare di uno strumento informatico valido ed in molti casi, per non perdere efficienza nella velocità di servizio della clientela, anche di personale dedicato unicamente al processo di produzione della E-Fattura, con ulteriori ingenti costi da sostenere.
Un chiaro esempio di come la procedura sia complessa e lunga, è arrivato proprio da coloro che si sono già interfacciati per primi con la fattura elettronica B2B, ovvero i distributori di benzina, che dal primo luglio di quest’anno hanno dovuto non solo erogare il servizio, ma mettersi poi al pc, fare la fattura ed inviarla al sistema dedicato dell’agenzia delle entrate (c.d. SDI), con file di attesa e correlati danni economici. Per non parlare poi del non trascurabile problema di chi volesse fare un rifornimento di carburante notturno self service che si troverebbe nell’assurda situazione di non poter ottenere la fattura elettronica e sarebbe dunque danneggiato dalla mancata possibilità di detrarre l’iva per mancanza del documento. Conferma di quanto detto è proprio l’enorme lavoro che in questi giorni sta facendo dell’Agenzia delle Entrate per risolvere questi problemi pratici con soluzioni per ora dubbie ed in bozza, come l’utilizzo di app con codici QR, che taglierebbero però nuovamente fuori i meno informatizzati.
Insomma è chiaro che ci troviamo davanti l’ennesimo caso in cui il costo dell’evasione viene traslato dalla Stato sulla collettività con altri oneri ed adempimenti divenuti ora insopportabili e vera palla al piede per un rilancio dell’economia ed il cui totale snellimento è forse più importante dello stesso recupero del tax gap iva.
Come da ormai troppo tempo accade nel nostro Paese, la patologica esistenza dell‘evasione tributaria presuppone la ricorrente denuncia ai media (amplificandone la portata del problema che pure esiste), per poi propinare la cura che, come d’abitudine, è da un lato la sempre maggiore invasività del Fisco nella vita privata dei comuni cittadini e nelle scelte economiche delle imprese, dall’altro la progressiva accelerazione tecnologica della macchina fiscale nel rapporto Fisco/Contribuente.
Tuttavia, a mio parere (di cittadino, prima ancora che di tecnico), se l’obiettivo da perseguire è quello della lotta all’evasione, gli strumenti dissuasori dovrebbero essere ben altri. Immaginiamo a titolo esemplificativo: la riduzione significativa della pressione tributaria complessiva (a partire dall’IRAP), lo sfoltimento e la razionalizzazione della normativa fiscale, i controlli nel comparto del pubblico impiego e dei percettori di prestazioni temporanee dall’INPS (spesso con doppio lavoro in esenzione contributiva e fiscale e con danno alle imprese). Ricette molto semplici quanto di difficile realizzazione, perché presupporrebbero una drastica ristrutturazione della spesa pubblica corrente, mettendo in tal modo a rischio l’imprescindibile consenso elettorale.
Non siamo più in condizione di credere alle false promesse del burocrate o del politico di turno che, già nel lontano 1998, con l’abbandono delle dichiarazioni dei redditi cartacee, andava sostenendo in pompa magna che l’evasione tributaria sarebbe dovuta essere se non debellata almeno drasticamente ridimensionata. Poi, negli anni, abbiamo assistito ad ulteriori interventi invasivi come le limitazioni alla circolazione del contante, il redditometro (strumento peraltro già di fatto abbandonato), le limitazioni alle compensazioni, i visti di conformità, gli studi di settore, lo split-payment, il reverse-charge, le comunicazioni polivalenti, per giungere al clamoroso flop del recente spesometro (con tutto ciò che abbiamo potuto sperimentare, dalla palese violazione della privacy al blocco della piattaforma durante l’inoltro, fino alle proroghe necessitate a go-go, etc. etc).
La progressiva e sistematica informatizzazione (sempre più spinta ed onerosa per contribuenti e commercialisti) non sia stata sufficiente a risolvere l’annoso problema dell’evasione tributaria che, anzi, sembra essere aumentata negli anni, particolarmente nel settore delle imposte indirette (incremento complessivo stimato in oltre il 10% di imposte evase dal 2010 al 2014 secondo una recente Relazione di studio).
La moltiplicazione delle casistiche a basso indice di pericolosità fiscale, la crescente complessità del sistema tributario, la messa a disposizione dell’Agenzia delle Entrate (A.d.E.) di numerose e possenti banche dati (implementate soprattutto dai Commercialisti italiani) e di dichiarativi già disponibili in tempo reale per potere facilitare accessi, ispezioni e verifiche, non sono stati minimamente sufficienti per contrastare efficacemente il problema enunciato.
Non paghi dell’esperienza (fallimentare) passata, con l’introduzione della fatturazione elettronica B2B vogliamo continuare nella stessa direzione? Vogliamo mettere a repentaglio il lavoro di migliaia di Commercialisti italiani con i loro collaboratori (dipendenti e praticanti) oltre a tutto l’”indotto” (case di software ed editoria professionale in primis) in questo periodo di lunga crisi economica? Ma veramente ci sono ancora benpensanti che credono che con la fatturazione elettronica massiva B2B si risolverà la gran parte dei problemi (di carattere pubblicistico) e saremmo più liberi di pensare ai reali interessi delle imprese riducendone i costi?
Cercando di sgomberare il campo da equivoci o da informazioni incomplete, proverò a dare alcune delucidazioni.
- Innanzitutto si gioca sulle parole. Fatturazione elettronica tra privati non significa, come potrebbe comunemente interpretarsi, fatturazione elettronica anche ai privati cittadini (campo dove, in effetti, si annida un’ampia fascia di evasione), bensì significa fatturazione tra soggetti IVA non pubblici, nei confronti dei quali vige il principio di neutralità dell’imposta.
- Perché sul tema della tecnologia fiscale dobbiamo sempre essere i campioni (cioè i primi) in Europa? L’obbligo di fatturazione elettronica estesa a tutti i soggetti IVA non risulta esserci, al momento, in nessun paese europeo, anche per incompatibilità con la normativa comunitaria, che troppo spesso viene usata come una clava contro i professionisti italiani; difatti l’articolo 218 della Direttiva CEE 2006/112/Ce considera su un piano di assoluta parità la fattura cartacea e quella elettronica e non consente agli stati membri di imporre ai soggetti passivi l’una o l’altra tipologia. Solo ora l’attuale Ministro delle Finanze ha chiesto alla Commissione Europea una deroga ai sensi dell’articolo 395 della predetta Direttiva.
- La fatturazione elettronica, tenuto anche conto delle difficoltà e dei costi di emissione e di conservazione del documento, non risolverà il problema dell’evasione, anzi, è certo, conoscendo il tessuto sociale ed imprenditoriale italiano, lo aggraverà. Ciò in considerazione del fatto che viste le menzionate difficoltà di emissione (e dei costi correlati alla conservazione), molti piccoli contribuenti se prima, seppure a volte obtorto collo, rilasciavano il documento cartaceo, domani con il formato elettronico potrebbero non pensarci proprio ad emettere fatture in questo complesso e costoso formato intangibile.
- Alla luce dell’esperienza maturata finora nell’ambito della Fatturazione Elettronica resa obbligatoria nei confronti della P.A. si avrà inoltre che, in ogni caso, i soggetti coinvolti sarebbero costretti nella migliore delle ipotesi a ribaltare sul cessionario o sul committente i maggiori costi diretti ed indiretti relativi all’emissione ed alla conservazione del singolo documento (ciò a meno che la P.A. se ne faccia interamente carico mettendo gratuitamente a disposizione i propri server ed esonerando i contribuenti da ulteriori oneri e responsabilità, sia sotto il profilo probatorio che relativamente all’eventuale perdita dei dati).
- Resta inoltre impregiudicato il fatto che tale sistema di fatturazione terrà ancora più alla larga gli evasori totali e non eviterà in alcun modo le sottofatturazioni.
- Fermo restando quanto sopra specificato sub 4, in considerazione degli attuali dispositivi messi finora a disposizione dall’Agenzia delle Entrate (vedi sistema SDI), di fatto farraginosi, insidiosi, lenti e con manuali enciclopedici da studiare, il contribuente si troverà comunque costretto ad utilizzare servizi esterni di gestione della fatturazione (con ulteriore aggravio di costi).
- Viste le gravi criticità e difficoltà (di ogni tipo), riscontrate nella trasmissione dello spesometro, vogliamo continuare sulla strada della tecnologia perseguendo il sogno dell’agenda digitale? Quanto meno ci sia consentito osservare che i tempi forse non sono ancora maturi (basti pensare al processo didigitalizzazione delle P.A. dove ancora esistono comuni piccoli con problemi di connessione di rete.
- Il combinato disposto: fatturazione elettronica/dichiarativi precompilati dall’A.d.E. metterà in seria difficoltà il 90% dei Commercialisti italiani che si vedranno costretti a riorganizzare drasticamente l’attività dei propri studi (da esperti nella tenuta della contabilità a compilatori di fatture c/o terzi), perdendo una storica fonte di reddito. Espropriati di una delle principali funzioni, potrebbero sì riorientarsi ed inventarsi ulteriori profili professionali, ma gli spazi non ci saranno per tutti, oltre a considerare il fatto che i dipendenti degli studi dovrebbero essere in larga parte licenziati; in base a questa nuova configurazione organizzativa, i commercialisti (per conto dei contribuenti) dovranno infatti limitarsi a trasmettere all’A.d.E. le fatture elettroniche e l’A.d.E. stessa invierà la dichiarazione precompilata al contribuente con funzioni di consulenza (come già annunciato con comunicato ufficiale dell’AdE), provocando un drastico effetto di spiazzamento (o sostituzione) dei Commercialisti italiani dall’esercizio di un’importante e diffusa funzione. Ritengo che non si possano rovesciare ruoli ed attribuzioni frutto di decenni di competenze, di formazione, di investimenti, nonché di percorsi di studio strutturati e costituzionalmente riconosciuti e tutelati.
- Il ruolo del Commercialista sarà ancora più svilito (ed improprio) perché con le annunciate dichiarazioni precompilate inviate dall’A.d.E. alle imprese e conseguenti alla Fatturazione Elettronica, saranno chiamati a rettificare le stesse (perché con tutta probabilità errate od incomplete) assumendo responsabilità che non competono più loro (è un film già visto e denunciato con i 730 precompilati).
- Quello della Fatturazione Elettronica è l’ennesimo provvedimento burocratico che spaventa le imprese, soprattutto quelle meno strutturate, perché invasivo e limitativo della libertà d’impresa così come chiaramente disposto dall’articolo 41 della nostra Costituzione.
- Con la trasmissione telematica delle fatture elettroniche rigo per rigo, intravediamo anche dei macroscopici problemi di privacy (cosa già accaduta con lo spesometro e pochi giorni fa denunciata proprio dallo stesso garante della privacy), con possibili profili di violazione del segreto industriale.
Si cerca inoltre di far passare il concetto che fatturazione elettronica equivale a semplificazione. Se così fosse non si comprende il motivo per cui renderla obbligatoria: se di vera semplificazione si trattasse, un imprenditore opterebbe per la stessa senza se e senza ma. In questa sede si evidenzia come sia stata capziosa la possibilità finora offerta dal D.Lgs. 127/2015 di optare dal 2017 per la fatturazione elettronica, vincolandone la scelta per 5 anni. Se l’opzione fosse stata per un solo anno avremmo infatti, ed a breve, avuto modo di verificare in modo empirico quanti di coloro che finora hanno già optato per tale modalità di fatturazione (che probabilmente, in assenza di un vincolo così stringente, sarebbero stati in numero ben maggiore) vorranno confermare la loro scelta anche per il prossimo anno.
Diversi anni fa, il medico di famiglia rischiava di essere estromesso da una funzione burocratica quale quella del rilascio delle ricette. La Categoria fece sentire la propria importanza sociale e l’idea venne accantonata verosimilmente per sempre.
Al limite, se si fosse così sicuri che tale gravoso adempimento della Fatturazione Elettronica possa davvero semplificare la vita di certe aziende più grandi, strutturate o evolute basterebbe:
- renderne effettivamente opzionale (e magari incentivata) l’adozione
- limitarne l’obbligatorietà a quelle aziende che superano una certa soglia dimensionale (ad esempio richiamare gli stessi limiti dell’articolo 2435-bis del C.C.), perché rendere obbligatoria la fatturazione elettronica anche ai piccoli artigiani ed imprenditori, sarebbe veramente una follia burocratica che metterebbe moltissimi operatori in gravi difficoltà. Ed anche lo Stato potrebbe trovarsi a gestire a nostro avviso una caduta del gettito tributario per i motivi sopra esposti.
Insomma, se è pur vero che non si può fermare l’acqua che scende dalla montagna, tuttavia è possibile orientarne il corso