La legge di bilancio varata dal governo si muove su una doppia difficoltà: da un lato reperire risorse; dall’altro fare nozze coi fichi secchi. La maggior parte delle coperture (quasi 16 miliardi) sono in deficit. Approvandolo la maggioranza parlamentare si è assunta una pesante responsabilità. Innanzi tutto perché questo peggioramento dei conti pubblici, in presenza del rilevante aumento dei tassi, incrementa pesantemente il servizio al debito e apre a rischi speculativi, come si è visto con l’immediato innalzamento dello spread. Tanto più che non serve a fronteggiare, come prevede la regola dello scostamento, eventi straordinari, ma per finanziare un atto, sì importante, ma di ordinaria amministrazione, quale è la legge di bilancio. Gli uffici parlamentari hanno messo in guardia il Governo dai rischi di questo modo di procedere.

In secondo luogo perché non è la stessa cosa se col deficit si finanzia la sanità – sulla quale, peraltro, i 3 mld previsti non recuperano in rapporto al Pil – oppure il ponte di Messina.
Con l’aggravante che era chiaro a tutti che questi soldi non bastavano. Ce ne sono, infatti, voluti altri 8, per confezionare una finanziaria… minimalista. Il loro difficoltoso reperimento è al di sotto delle propagandate spending review e tax expenditur. Il taglio della spesa si è dimostrato, come era prevedibile, più suggestivo che reale; sia perché far risparmiare alcuni ministeri è come far passare il cammello dalla famosa cruna; sia perché il cammello è già così magro che un ulteriore smagrimento lo metterebbe in ginocchio. È il rischio che si corre coi Comuni che sono i più esposti nell’offrire servizi irrinunciabili ai cittadini, mentre devono fronteggiare un ingente incremento della spesa per l’energia e i prezzi degli appalti.
Manca la volontà politica di riformare la giungla delle deduzioni e detrazioni fiscali,(sulla quale, in verità, non si è cimentato nemmeno il centro sinistra), che valgono più di qualche punto di Pil. Il Governo si è limitato ad una sforbiciata di circa 250 euro per i redditi sopra i 50 mila euro; che finiscono per annullare, per quella fascia, il vantaggio derivante dalla riduzione Irpef a 3 aliquote – con buona pace della Fiat tax (che resta quella di prima) – varata, per 4 miliardi, con un decreto a parte. Sicché, dato il poco tempo e i pochi margini, la scelta è caduta sulla comoda via delle accise sui tabacchi.

Ne è venuta fuori una legge di bilancio modesta, più che prudente; che concentra il messaggio sui redditi più bassi, ma con soluzioni tampone e senza un disegno strategico sulla crescita. La gratuità dell’asilo nido e la decontribuzione dopo il secondo figlio, sono buoni incentivi di prospettiva, ma di poca efficacia immediata in un paese che ha un tasso di fertilità di 1,3 figli per donna. La promessa leghista di abolire la Fornero è diventato un “obiettivo di legislatura”. La riduzione del cuneo è solo per un anno; preludio o ad ulteriore deficit o a rischiose clausole di salvaguardia.

A riprova delle proprie difficoltà Il governo ha chiesto alla sua maggioranza di non presentare emendamenti durante la discussione parlamentare. È una prassi inconsueta, che rappresenta, però, una imprevista occasione per le opposizioni., se saranno in grado di presentare insieme pochi emendamenti, ma che indichino la rotta che manca alla proposta del governo. Ciò vale anche per i Sindacati che sembrano divisi tra chi è di lotta e chi di governo, come se si potesse aggirare la difficoltà sindacali buttandola in politica; o, se un tavolo aperto esaurisse, di per sé, la natura politica di questa complessa fase che attraversiamo.

Lo scenario dentro il quale il governo si muove è oggettivamente difficile, ma la gestione che ne è stata fatta, impacciata e contraddittoria, va ben oltre la congiuntura e conferma quanto sia ampia la distanza tra il populismo della campagna elettorale e l’esercizio del governo.

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