La vittoria elettorale di Erdogan non è stata una grande sorpresa per la maggior parte degli osservatori internazionali. Il controllo pressoché totale delle istituzioni, della società, delle forze armate e degli apparati repressivi e di sicurezza, della religione, dell’economia, sono tutti elementi che non potevano non portare alla riconferma del “sultano” turco e della sua formazione politica, l’AKP.

Nonostante tutto questo è innegabile che il voto turco sia stato un grande e autentico bagno di democrazia e la controprova è l’importante risultato dell’opposizione che ottiene il consenso del 48% degli elettori. Elettori che, al contrario delle stanche democrazie occidentali, hanno partecipato massicciamente al voto (intorno all’87,5% degli aventi diritto al primo turno e all’85% al ballottaggio).

Erdogan non ha avuto alcuno scrupolo, durante la campagna elettorale, a saccheggiare le già misere casse dello Stato: aumenti di stipendi ai pubblici dipendenti, apertura di innumerevoli cantieri stradali, risorse per la ricostruzione delle aree terremotate, via libera ad un forte programma di riarmo. Si stima una spesa di 25 miliardi di dollari in tre mesi!

E non ha neppure disdegnato comportamenti populisti come la diretta distribuzione di banconote durante le manifestazioni elettorali, repressivi come l’arresto pretestuoso di numerosi attivisti dei partiti di opposizione, truffaldini perché non sono mancati i brogli in diversi seggi elettorali ( anche se non tali da inficiare il voto).

Tuttavia Erdogan vince anche per i limiti evidenti della proposta dello schieramento politico avversario. Una coalizione costruita e tenuta insieme solo dal comune obiettivo di disarcionare Erdogan e quindi con grandi contraddizioni sulla proposta politica da offrire alle diverse componenti della società turca. Una leadership debole, incarnata da Kemal Kilicdaroglu, espressione di una nomenclatura già più volte sconfitta da Erdogan e che non ha esitato, tra i due turni elettorali, a estremizzare una questione cruciale come quella dei profughi siriani, nel vano tentativo di accaparrarsi il voto dei nazionalisti più estremi (l’originale è sempre più convincente delle brutte copie).

Eppure il maggiore partito di opposizione, il CHP, aveva la possibilità di mettere in campo un leader giovane e vincente come il sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, città, infatti, dove l’AKP ed Erdogan sono stati battuti. E non ha neppure saputo capitalizzare il fatto che la terza forza politica turca, il partito curdo HDP di Selahattin Demirtas, il giovane e mite avvocato curdo incarcerato da Erdogan, insieme a molti altri parlamentari e sindaci dello stesso partito con false accuse di terrorismo, avesse deciso di non presentare propri candidati facendo così convergere buona parte dei suoi elettori sul candidato di opposizione.

Se queste sono le ragioni del risultato elettorale, è ora opportuno interrogarsi sul futuro della Turchia sia rispetto alla politica interna che al suo posizionamento internazionale. Nel pensiero strategico di Erdogan politica interna e politica internazionale sono complementari, nel senso che i successi di una servono a compensare i fallimenti dell’altra. Per i turchi, che da sempre non hanno elaborato il lutto della fine dell’impero ottomano, il rapporto con l’Occidente è stato vissuto come una sequela di umiliazioni. Ciò, insieme alla necessità di tenere insieme etnie diverse, ha fatto crescere un forte sentimento nazionale che ha visto il suo apice nel nazionalismo laico di Kemal Ataturk. La contrapposizione della guerra fredda, portò la Turchia nella NATO, facendola diventare un bastione dell’occidente. Erdogan, nella prima fase della sua ventennale guida del Paese, propone l’ulteriore integrazione della Turchia nell’Unione Europea.

A prescindere dalla buona fede o meno di Erdogan, l’Unione Europea, su spinta soprattutto della Germania (ma anche della Gran Bretagna e della Francia) commise il grave errore di non facilitare il percorso di integrazione. Il risultato è che Erdogan (che a lungo è stato membro della Fratellanza Musulmana) si è sentito legittimato a rinfocolare il nazionalismo turco esasperandolo in chiave religiosa. Ed è quello che ha fatto, portando la Turchia ad assumere una postura internazionale che punta contemporaneamente a farla divenire leader del mondo sunnita e attore autonomo, anche dalla NATO, nelle relazioni internazionali, spingendosi a delineare e perseguire una sorta di rinascita dell’impero ottomano, sotto forma di influenza e presenza militare ed economica nel Mediterraneo orientale, in Libia, nei Balcani, in Africa, nei paesi asiatici contigui sia geograficamente che linguisticamente. Questa politica viene codificata nella teoria della “Patria Blu”, elaborata dall’ammiraglio Cem Gurdeniz, che è divenuta il “sillabo” della politica espansionistica della Turchia odierna.

La guerra in Ucraina ha dato infine ad Erdogan, la possibilità di ergersi come l’unico mediatore che, fino a questo momento, è riuscito a produrre un accordo tra i belligeranti e cioè quello sull’esportazione del grano ucraino. Questi successi gli hanno consentito di proporsi ai suoi connazionali come colui che sta riscattando l’onore, la dignità, la caratura internazionale della Turchia. E gli hanno permesso di fare una politica interna fatta di disastri economici e di repressione violenta delle opposizioni, di limitazione della libertà di stampa, di messa al bando degli intellettuali dissenzienti, di eliminazione dell’autonomia del potere giudiziario rispetto all’Esecutivo, di integralismo religioso.

Oggi la situazione economica della Turchia è pre fallimentare: la lira turca negli ultimi 10 anni ha perso oltre il 90% del suo valore rispetto al dollaro segnando da inizio anno il nuovo minimo storico del -32%, l’inflazione è ai massimi avendo raggiunto il 44% su base annua e ha determinato una impennata verticale dei prezzi delle abitazioni e dei generi di largo consumo, il valore delle importazioni cresce per effetto del continuo deprezzamento della lira turca. In questo contesto Erdogan, pur di perseguire una politica di basso costo del denaro (esattamente opposta a quella necessaria a raffreddare l’inflazione) non ha esitato a decapitare per ben tre volte i governatori della Banca Centrale Turca. Ha continuato una politica di spesa, sia per parte corrente con l’aumento dei salari dei dipendenti pubblici anche in chiave elettorale, che per investimenti soprattutto in infrastrutture e in spese militari, riducendo ai minimi termini le riserve della Banca Centrale. Aggiungo che questa politica di spesa mostra enormi ritardi nello stanziare le risorse necessarie (circa 100 miliardi di dollari) necessarie a ricostruire il tessuto urbanistico, sociale ed economico nelle aree devastate dal tremendo terremoto dello scorso anno, forse perché le responsabilità sulla qualità edilizia degli edifici distrutti, dimostrerebbero la gestione allegra ed irresponsabile fatta dal governo Erdogan.

Oggi sono i prestiti degli Emirati Arabi Uniti che consentono alla politica economica di Erdogan di sopravvivere nonostante tutti questi fattori negativi, e la domanda da porsi è per quanto tempo l’orgoglio turco riuscirà a sovrastare una condizione economica estremamente critica delle famiglie, del ceto medio, della popolazione tutta. Una débâcle economica che peserà drammaticamente a lungo sui turchi di oggi e di domani.

Un’ultima considerazione: Erdogan ha settant’anni e alla fine di questo mandato ne avrà settantacinque. Si porrà quindi a breve la questione della sua successione. Una questione che riguarda la sua maggioranza dove non si intravede una leadership alternativa, riguarda l’opposizione che pur avendo già individuato in Imamoglu una nuova e credibile leadership deve ancora dimostrare di saper proporre ai popoli della Turchia una proposta di governo capace di coglierne bisogni e aspirazioni, riguarda l’Unione Europea che deve fare ogni sforzo per proporre alla Turchia un percorso veloce di integrazione e nel frattempo essere capace di diventare attrattiva nell’immaginario dei turchi.

La Turchia vincerà quando riuscirà a rinnovare le motivazioni della convivenza interna e internazionale.
Per ora ha vinto solo Erdogan!

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