Il titolo di una canzone di Mia Martini degli anni 90, “Gli uomini non cambiano”, forse uno dei suoi maggiori successi, è anche uno dei primi testi nella cosiddetta musica leggera, in cui si denuncia il comportamento violento e oltraggioso messo in atto dagli uomini nei confronti delle donne, proprio all’interno della famiglia, dove si sperimentano le prime delusioni, amarezze e ipocrisie del rapporto uomo-donna. È un testo molto forte, soprattutto per quegli anni, un grido di dolore, un’ammissione di impotenza e di sconfitta che, dopo il femminicidio di Giulia, mi torna in mente quale attuale denuncia contro quei bravi ragazzi che violentano e uccidono, quelli del Circeo, quelli di Palermo, di Caivano, ecc.

Dopo il femminicidio di Giulia e il messaggio di coraggio e di dignità inviato dalla sua famiglia a tutto il paese, in cui le parole di condanna non sono state rivolte a un singolo uomo ma a tutto il sistema patriarcale che ci avvolge, ci inganna, ci ferisce e anche ci uccide, tutti abbiamo pensato che finalmente qualcosa poteva cambiare nel nostro paese, soprattutto nella consapevolezza e nella coscienza delle persone rispetto alle relazioni affettive, in cui il possesso e la gelosia non possono mai essere sintomo di amore e di ascolto dell’altro. Qualche notizia positiva ci è giunta: la lettera di un ragazzo che dichiara di essersi fermato, di avere capito, dopo la morte di Giulia, che la sua gelosia nei confronti della compagna, era un sentimento malato; la donna che con il gesto della mano, è riuscita a comunicare la minaccia di violenza che stava subendo, la vicina di casa che ha avvertito le forze dell’ordine della violenza che si stava perpetrando su una donna, alcuni articoli sulla stampa da parte di uomini (ad esempio Paolo Giordano e Francesco Piccolo) che si interrogano sui luoghi della costruzione dell’aggressività maschile nei confronti delle donne. Ma più di tutto ci hanno fatto sperare le piazze del nostro ultimo 25 novembre, affollate di giovani, quei giovani che la politica non riesce ad intercettare ma che, come è apparso, invece, dalla loro partecipazione e dalle loro parole, vogliano combattere gli schemi patriarcali e maschilisti di cui loro stessi sono vittime.

Ma nel frattempo altre donne sono state uccise e già dall’inizio del 2024 sono 11 i femminicidi avvenuti, ovvero una donna ogni due giorni è rimasta vittima del proprio compagno e sempre all’interno di relazioni di coppia in cui l’uomo non tollera l’abbandono da parte della donna. Eppure quante donne che ognuna di noi conosce sono state lasciate, abbandonate con figli, senza sostegni economici, senza tante spiegazioni e non per questo hanno impugnato un coltello o una pistola per vendicare il loro onore offeso o riparare il dolore di una perdita! I dati della polizia postale sui primi dieci mesi del 2023 ci dicono che le minacce on line denunciate dalle donne sono aumentate del 24% ed è un dato molto preoccupante perché le minacce spesso sono un primo passo per una vera e proprio azione di stalking e di persecuzione. E ancora una volta sono messe in atto da persone vicine, che hanno condiviso già percorsi di vita, ex coniugi, colleghi di lavoro, compagni che usano
la rete per insultare, minacciare, spaventare, limitare, in ogni caso, la libertà e il senso di sicurezza delle donne. Un fenomeno complesso che si traveste spesso da amore geloso, o possessivo a cui spesso le giovani ragazze all’inizio non si sottraggono, illudendosi di trovare nel bisogno di controllo dell’altro un segnale di attenzione e di protezione, che nel tempo, invece le intrappola e le rinchiude nell’isolamento e nella paura.

Abbiamo in questi anni, in tutti i modi, chiesto alle donne di denunciare, di trovare il coraggio di ribellarsi e di non sottovalutare i segnali che vengono da uomini violenti e le donne lo stanno facendo sempre di più, pagando anche dei prezzi molto cari, quando, costrette ad abbandonare le loro case, per avere denunciato una violenza domestica, si sono viste anche private dei propri figli, per sentenze costruite su pregiudizi e stereotipi basati su teorie infondate (quali per esempio l’alienazione parentale, ovvero il rifiuto che un bambino, in caso di separazioni conflittuali, nutre nei confronti del genitore da cui è separato, per effetto dell’influenza dell’altro genitore, ovvero la madre, che, in questi casi, è ritenuta responsabile della separazione). Ma questo non è ancora sufficiente se a cambiare non sono gli uomini, se le nuove generazioni di uomini non vengono educate ai valori dell’affettività e del rispetto, sia dalle loro madri che dai loro padri, che dalle istituzioni nel loro complesso. Non credo che le ultime proposte del ministro Valditara con il progetto “Educare alle relazioni” vadano in questa direzione, intanto perché riguardano solo un segmento del sistema educativo, le scuole superiori, mentre, come ci ha insegnato bene Elena Gianini Belotti, con il suo libro, “Dalla parte delle bambine”, ancora e sempre attualissimo, è proprio nella prima infanzia che passano tutti gli stereotipi culturali sessisti, che ci inchiodano per tutta la vita in rigidi schemi comportamentali. Inoltre la partecipazione a questi percorsi è facoltativa e extra curriculare, da attuare solo con il consenso delle famiglie e affidata a figure professionali non ben individuate, che, come la Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio ci ha insegnato, se non sono preparate e competenti, rischiano di introdurre ulteriori pregiudizi e stereotipi nei giovani.

Allora forse questa che è diventata una vera emergenza nazionale va affrontata in maniera più complessa, più pervasiva, più strutturale, perché da tempo né la scuola, né la famiglia sono i luoghi privilegiati o almeno non sono gli unici luoghi, dove si costruisce l’affettività o sui cui spesso tra l’altro non si può fare affidamento, perché, a loro volta, intrisi di modelli culturali non attenti alle tematiche di genere. Gli interventi devono essere più diffusi e riguardare sia tutti i livelli di governo e le istituzioni, le associazioni femminili che fanno già tanto sui territori e che non devono essere lasciate sole ad occuparsi del problema ma anche che tutti gli ambiti dove si crea e di diffonde l’informazione e la comunicazione. Sempre dalla polizia postale, per esempio, ci arrivano segnali inquietanti sull’aumento dei casi di revenge porn, ovvero la diffusione di immagini a contenuto sessualmente esplicito, senza ovviamente il consenso della donna, che fatica spesso a denunciare perché si sente corresponsabile o per vergogna o paura. Quasi il 10% delle vittime, di questo reato sono minori, sotto i 14 anni, e questo ci interroga fortemente sull’uso e il controllo dei social da parte dei giovani che trovano nella rete e nei diversi sociali il luogo privilegiato della loro socialità. Questo ci dice quanto impegno concreto allora si dovrebbe mettere da parte delle istituzioni per una cittadinanza digitale consapevole e per una maggiore educazione civica digitale che indirizzi verso un uso più sicuro della Rete che né la scuola né le famiglie possono veicolare, a causa del divario digitale esistente tra le generazioni adulte e quelle giovani.

Ma anche ognuno di noi dovrebbe interrogarsi sui propri comportamenti, sul linguaggio che usiamo, sull’uso che facciamo dei social, sulle relazioni che intratteniamo, anche nei posti di lavoro, sulla consuetudine dei nostri gesti che nascondono, inconsapevolmente, retaggi di dominio maschile. Riporto un dato proveniente da un’esperienza diretta fatta in una scuola della periferia di Roma con un gruppo di ragazzi dei primi anni di scuola superiore all’indomani del femminicidio di Giulia. Interrogati sulla qualità che più apprezzano nel loro partner attuale o quella che desiderano trovare, una larga percentuale, di entrambi i sessi, ha scelto la gelosia, perché dove c’è gelosia c’è, secondo la loro opinione, attenzione, amore e protezione. Quanta fragilità nelle relazioni esprimano queste dichiarazioni è evidente ma non sempre è facile individuare il legame che unisce i fatti estremi a cui assistiamo con i nostri comportamenti quotidiani che ci fanno sentire esenti ed estranei dai terribili fatti di cronaca, della serie: “a me o ai miei figli non potrebbe mai capitare”.

Nessuno si può chiamare fuori da questa dolorosa, quotidiana e infinita battaglia tra i sessi, nessuno si può voltare indietro, nessuno si può dichiarare esente o disinteressato, ma è dagli uomini, tutti, che aspettiamo adesso segnali di cambiamento. Nel saluto di fine anno il Presidente Mattarella con parole semplici ed efficaci ha interpellato direttamente i giovani ricordando loro che” l’amore è ben più che rispetto, è dono, gratuità, sensibilità”. Che queste parole siano costantemente ripetute nelle scuole del nostro paese e siano l’impegno di ognuno di noi.

(Foto di Marco Bianchetti su Unsplash)

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