Dall’influenza greca e poi dall’eredità romana fino al tripudio rinascimentale proseguendo per le magnificenze barocche e l’arte contemporanea, nota per avere il maggior numero al mondo di siti dichiarati patrimonio Unesco e con le più solide tradizioni collegate alla produzione artistica, l’Italia è certamente sinonimo di cultura. Ma oggi, società ed economia italiane sono davvero il fertile humus dove la cultura ha spazio e futuro?

La forza esistenziale di un settore culturale, più che dalla sua consistenza, dipende soprattutto dalla sua collocazione nei sistemi produttivi e socioeconomici. Negli anni la produzione di beni e servizi culturali ha acquisito un protagonismo sempre più importante nell’economia, sia nei paesi avanzati che in quelli emergenti. Quando parliamo di settore culturale dobbiamo intendere l’insieme dei sei comparti fondamentali della produzione culturale – così come definiti dall’Unesco – Agenzia delle Nazioni Unite per istruzione, scienza e cultura – che sono: patrimonio culturale, spettacolo dal vivo e arti visive, industrie culturali (editoria, cinema e audiovisivo, televisione e radio, musica registrata) e industrie creative (design, architettura, servizi pubblicitari). In Italia i dati statistici più strutturati sono quelli elaborati da Unioncamere e Fondazione Symbola, che attraverso il rapporto ‘Io sono cultura‘ ci mostrano come il comparto nel 2022 ha generato un valore aggiunto pari a 95,5 mld (+6,8% rispetto al 2021 e +4,4% rispetto al 2019).

Il rapporto, arrivato alla tredicesima edizione, realizzato con la collaborazione del Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne, insieme a Istituto per il Credito Sportivo, a Fondazione Fitzcarraldo e Fornasetti, con il patrocinio del Ministero della Cultura, mostra come sta tornando a crescere anche l’occupazione, tanto che sono stati recuperati gli oltre 43mila posti di lavoro che si erano persi nel 2021. Oggi i lavoratori dell’intera filiera sono 1.490.738, con una variazione del +3,0% rispetto al 2021, a fronte di un +1,7% registrato a livello nazionale. Inoltre nella filiera operano 275.318 imprese (+1,8% nel 2022 rispetto all’anno precedente) e 37.668 organizzazioni non-profit, che si occupano di cultura e creatività (il 10,4% del totale delle organizzazioni attive nel settore non-profit), e che impiegano più di 21 mila tra dipendenti, interinali ed esterni (il 2,3% del totale delle risorse umane retribuite operanti nell’intero universo del non-profit).

La cultura per l’Italia è anche un formidabile attivatore di economia. Complessivamente, per ogni euro di valore aggiunto prodotto dalle attività culturali e creative se ne attivano altri 1,8 in settori economici diversi, come quello turistico, dei trasporti e del made in Italy, per un valore pari a 176,4 miliardi di euro. Complessivamente cultura e creatività, direttamente e indirettamente, generano valore aggiunto per circa 271,9 miliardi di euro (15,9% economia nazionale).

L’Italia, inoltre, è il paese UE dove esiste il maggior numero di imprese culturali, più di 180mila nel 2020 (contro 177mila in Francia, 119mila in Germania, 132mila in Spagna). A fronte di questo incoraggiante scenario, va detto però che in termini aggregati il fatturato e il valore aggiunto che producono le imprese culturali collocano l’Italia al terzo posto dopo Germania e Francia. Quindi si estende anche al settore culturale una caratteristica generale della struttura produttiva italiana, quella di una prevalente presenza di imprese di piccola e piccolissima dimensione e di un’estrema frammentazione. Infatti, nel 2019 la dimensione media delle imprese è 2,8 addetti contro 7,7 della Germania, 3,6 della Francia, 3,7 della media UE.

Il settore inoltre riserva qualche sorpresa se si procede a un’analisi disaggregata fra le diverse attività che ne fanno parte, per esempio guardando le industrie culturali, fra 2014 e 2019 alcuni comparti – editoria libraria, produzione cine-audiovisiva e industria musicale – mostrano in Italia una crescita superiore alla media UE con un aumento del valore aggiunto del 6,1% in media annua contro il 2,4% nell’UE. Andando ancora più a fondo nella indagine, emerge che esiste in Italia un “zoccolo duro” di imprese dell’industria culturale produttrici di contenuti che da alcuni anni riesce a marcare obiettivi importanti di crescita, anche al confronto con altri soggetti europei. Si tratta di imprese che fanno parte dei settori aderenti a Confindustria, che si differenziano rispetto alla polverizzazione della struttura industriale del settore, nonché rispetto alle difficoltà delle imprese, anche di grande dimensione, collocate in altri comparti dell’industria culturale, soprattutto in quelli più avanzati per know-how, tecnologia, capitale umano, creatività, capacità di anticipare le tendenze dei mercati di cui il sistema delle imprese culturali dispone in Italia. Non sembra un caso che proprio nel nostro Paese emerga più forte una domanda di rappresentanza e di costruzione delle basi, culturali ancor prima di quelle politiche o sindacali, per il riconoscimento del settore culturale e del suo ruolo in un contesto di trasformazioni radicali che obbligano ad abbandonare visioni tradizionali e convenzionali e a imboccare strade inedite e innovative.

Le cifre mostrano, inoltre, che la specializzazione italiana nel settore culturale è leggermente superiore a quella media dei paesi OCSE, benché sia quello più sottoposto alla furia degli eventi shock che negli ultimi anni hanno ripetutamente modificato lo scenario di riferimento (macroeconomico, tecnologico, concorrenziale) delle imprese culturali. In questo quadro di accentuata turbolenza si sono evidenziati, forse con maggiore chiarezza rispetto al passato, i punti di forza e le fragilità all’interno del settore culturale italiano.

Di fronte alle complesse sfide della contemporaneità il ruolo della cultura e delle istituzioni culturali è al centro di intensi dibattiti riguardo alla loro funzione e all’impatto che possono avere sulla società e sugli individui. Tradizionalmente associati alla conservazione del patrimonio, i luoghi della cultura stanno vivendo una trasformazione significativa, allineandosi sempre più alle esigenze della comunità per promuovere cittadinanza attiva e benessere individuale e collettivo, divenendo catalizzatori di creatività e apprendimento tra pari, trasformandosi in agenti di innovazione. In questo modo si è compreso che la partecipazione culturale attiva può essere cruciale per la creazione di luoghi dinamici animati da pratiche di co-creazione, di scambio e innovazione che favoriscano la comprensione della diversità, il superamento degli stereotipi, l’incontro con l’altro.

In questa nuova visione della fruizione culturale, il patrimonio non si limita a essere uno strumento educativo ma è un attivatore della comunità, e può promuovere competenze che vanno oltre la semplice istruzione e il coinvolgimento. Con questo nuovo approccio le istituzioni culturali si propongono di colmare il divario tra arte, comunità e sfide sociali, rendendo l’arte sempre più rilevante e accessibile nella vita quotidiana delle persone.

La cultura esercita un impatto profondo su aspetti psicologici, sociali ed economici della vita umana e influenza indirettamente aspetti come la longevità o la soddisfazione nel corso della vita ed esplorare le dimensioni culturali in questa prospettiva rivela un potenziale importante per migliorare il benessere complessivo, mentre immergersi nelle attività culturali può contribuire in modo significativo a migliorare la salute e la qualità di vita e i processi democratici.

L’occupazione culturale è una questione che da tempo sta al centro della riflessione da parte del Governo e dell’opinione pubblica anche in relazione alle strategie di politica economica per un paese ad alta disoccupazione giovanile e femminile. In larga parte, la discussione sul lavoro, la retribuzione, le relazioni industriali, la salvaguardia della professione è stata monopolizzata dalle istanze dei lavoratori da sempre più deboli, come gli artisti, gli autori, gli esecutori e gli interpreti, preoccupati oltre che dagli shock imprevisti anche dalla rivoluzione digitale, dalla riduzione del reddito e dei relativi consumi culturali delle famiglie italiane, dalla crisi climatica.

In seguito a queste istanze, il Governo ha approvato leggi e norme che vanno nella direzione di una maggiore tutela della professione culturale, tuttavia si è ancora distanti da un consolidamento dell’assetto giuridico del lavoro in ambito culturale e, soprattutto, dall’aver soddisfatto la platea di chi rivendica una maggiore attenzione. Si tratta di istanze che non possono essere ignorate o sottaciute, non tanto perché riguardanti ambiti professionali tradizionalmente poco protetti rispetto ad altri, o perché per molti settori della cultura sostenuti dallo Stato – patrimonio, spettacolo dal vivo, archivi e biblioteche – la maggiore protezione del lavoro si tramuterebbe in un aumento di costi a saldo di bilancio invariato e a pubblico (domanda) stagnante, quanto per il ruolo economico svolto dai settori culturali e creativi nell’economia italiana – a torto considerati collaterali e secondari dai responsabili della politica economica.

Gli strumenti di intervento pubblico a livello nazionale e regionale che sarebbero auspicabili richiedono altresì investimenti su tecnologie e processi di digitalizzazione; maggiori possibilità d’accesso e di partecipazione delle persone in situazione di marginalizzazione alle forme culturali; promozione di interventi che consentano alle produzioni culturali di operare in relazione alle grandi trasformazioni in atto: clima, welfare, disuguaglianza; maggiore integrazione tra pubblico, privato e Terzo settore sul territorio; integrazione tra cultura e welfare, sostenendo l’innovazione negli stili di vita: dall’invecchiamento attivo all’apertura delle istituzioni a una frequentazione quotidiana.

Dunque l’Italia può essere protagonista del nuovo ‘Bauhaus’, fortemente voluto dalla Commissione Europea, pensato per rinsaldare i legami tra il mondo della cultura e della creatività e i settori della produzione, della scienza e della tecnologia, anche orientandoli alla transizione ecologica indicata dal Next Generation EU. Se l’Italia produce valore e lavoro puntando sulla cultura e sulla bellezza, può favorire un’economia più a misura di individui in linea con quanto già indicato dall’UNESCO quando definisce i processi culturali come “l’insieme dei tratti distintivi spirituali, materiali, intellettuali ed emotivi della società o di un gruppo sociale, che comprendono non solo l’arte e la letteratura, ma anche gli stili di vita, i modi di vivere insieme, i sistemi di valori, le tradizioni e le credenze» (2001).

Foto di Luca Micheli su Unsplash

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