Sul tema dell’autonomia differenziata vi proponiamo il testo dell’audizione di Paolo Feltrin (politologo, coordinatore del Comitato scientifico di Res) in Commissione Affari Costituzionali del Senato di martedì 23 maggio 2023.
Premessa
1) Proprio per la natura dei disegni di legge in discussione andrebbe portata molta cura ad una migliore strutturazione delle relazioni tra centro e periferia, tra azione dei ministeri e regioni, per evitare buchi neri informativi, perdita di efficienza complessiva, duplicazioni costose e inutili. Di conseguenza, le riflessioni che proporrò pongono alcuni temi integrativi rispetto al contenuto dei due disegni di legge, senza alcuna specifica osservazione di tipo giuridico che esula dalle mie competenze.
2) Non ha senso in questo momento -e non si intende proporre in questa sede- una riflessione o una critica esterna al processo di riforma avviato, del tipo di quello di Galli della Loggia oggi sul Corriere della Sera, quanto piuttosto suggerire alcuni warning, alcuni punti critici su cui portare l’attenzione nel corso della discussione sui disegni di legge 615 e 273. Neppure affronterò il tema dei Lep e del conseguente rapporto con il loro finanziamento, solo perché immagino essere temi su cui si concentreranno molti altri colleghi che hanno già parlato oppure che verranno auditi.
3) L’esercizio che vi proporrò è invece quello di affrontare alcuni punti critici rimasti finora un po’ in ombra nel dibattito pubblico. Dico subito che l’idea guida di questo contributo è che bisognerebbe riflettere anche sull’azione del governo nazionale, in particolare dei ministeri, in modo da rendere più efficiente il raccordo tra Stato e regioni.
Tre questioni da cui partire:
1) Primo. Sarebbe utile riflettere dopo il primo quarto di secolo su cosa il XXI secolo è diverso dal XX secolo, anche per quanto riguarda il ruolo dello Stato, le istituzioni centrali e periferiche, le domande a cui esse devono rispondere e soddisfare. Altrimenti, il rischio è di guardare al futuro attraverso lo specchietto retrovisore. Analoga riflessione andrebbe condotta in materia di riforme istituzionali. Esempi in tema di ‘cambio d’epoca’: il Covid, la guerra, il ritorno dello stato nell’economia, la pervasività della digitalizzazione. Quanto di queste vere e proprie novità apparse in questo primo quarto di secolo modificano il nostro modo di guardare alle istituzioni e al rapporto tra centro e periferia? Siamo così sicuri che la riflessione degli anni ottanta e novanta del secolo scorso mantenga intatta la sua pregnanza, oppure essa dovrebbe venire aggiornata tenendo conto di quanto accaduto in questi due ultimi decenni?
2) Secondo. Una delle illusioni del regionalismo degli albori, quello dei primi anni settanta, fu quello di immaginare le Regioni come strutture leggere, di programmazione e indirizzo, mentre esse si sono concretamente evolute in istituzioni di amministrazione e di fornitura di servizi. A mio avviso non c’è da dolersi di ciò, ne va semplicemente preso atto. Insomma, oggi le Regioni sono grandi apparati amministrativi che svolgono funzioni amministrative, che “servono” attraverso strutture amministrative le quali erogano servizi a rispondono a domande e bisogni dei cittadini (nella sanità, nella formazione professionale, nel mercato del lavoro, in agricoltura etc.), di qui, tra l’altro, un certo rattrappimento del ruolo dei Consigli regionali e della legislazione regionale. Ma se l’amministrazione diventa strategica essa necessita di un di più di coordinamento e di una flusso ridondante -sì, in questo caso la ridondanza è una virtù- di dati e informazioni in ambo i sensi.
3) Terzo. Se si guarda al passato, ma ancora di più se si guarda al futuro, le criticità maggiori sono intervenute nel rapporto Stato-regioni. Basta pensare alla sanità con il mancato dialogo tra i sistemi informativi regionali, oppure alle politiche del lavoro post-riforma del 1997, per cui ancora oggi manca un sistema informativo unitario relativo all’incontro domanda-offerta di lavoro.
Conseguenze e punti di attenzione:
1) L’importanza del nodo (centrale) e dei punti della rete. Partiamo dalle novità di questi ultimi tre anni. Il Covid ha diradato le molte nebbie che hanno permeato il tema del regionalismo e del ruolo degli stati nazionali in epoca contemporanea. L’esperienza del Covid ha permesso infatti di sperimentare un diverso metodo di lavoro basato sul federalismo cooperativo. Il federalismo cooperativo potrebbe essere interpretato come la possibilità di governare al centro cooperando con la periferia. Insomma, l’autonomia può essere intesa anche come un modo di governare le regioni partecipando da parte loro anche alla definizione delle politiche nazionali. Non a caso la conferenza Stato-Regioni ha dato buona prova di sé durante la pandemia, ad esempio con i vertici quotidiani con il ministero della sanità in cui si decidevano le linee guida, poi messe in atto dalle Asl, sotto la regia degli assessorati regionali alla sanità. Una sorta di “governo parallelo” che ha sollevato perplessità, a mio avviso poco comprensibili, visto che una prassi analoga è la regola negli stati federali, in Germania ad esempio, dove viene accettato come normale che un certo grado di litigiosità sia parte costitutiva di una vera democrazia federale.
2) Il coordinamento. Senza effettivo coordinamento -attenzione: effettivo significa vincolante- le logiche organizzative, come è ben noto, spingono i singoli nodi intermedi ad evolvere in modo autonomo, secondo logiche locali, con rischi inevitabili di bassa integrazione, dispersione di risorse, inefficienze di vari tipi. Basta pensare al florilegio di acronimi, uno diverso dall’altro in ogni regione, in materia urbanistica. Siamo sicuri che sia davvero necessario? La sola digitalizzazione non basta, anzi a volte, in assenza di coordinamento, produce ulteriori inefficienze. Sotto questo profilo, in negativo, abbiamo gli esempi dei ritardi nella concessioni dei passaporti e delle carte di identità. Oppure basta leggere l’intervista di oggi al presidente del Consiglio nazionale dei geologi, Arcangelo Francesco Violo, che lamenta la frammentarietà delle competenze e il mancato coordinamento in materia di rischio idraulico. A dire il vero, il problema non riguarda soltanto le relazioni tra nodi centrali e periferici ma anche le relazioni tra i diversi nodi centrali, ovvero tra i diversi ministeri). In positivo, si possono citare le esperienze del green pass (cooperazione tra nodo centrale, nodi intermedi regionali, punti della rete di somministrazione dei vaccini), delle ‘comunicazioni obbligatorie’ (di nuovo, cooperazione tra nodo centrale, nodi intermedi regionali, punti della rete dei Centri per l’impiego), oppure nel lontano passato la trasformazione dell’Inps negli anni ottanta e primi anni novanta condotta dal prof. Gianni Billia, con l’introduzione dell’informatica e la realizzazione di una rete nazionale basata su nodi centrali, nodi intermedi regionali e nodi periferici.
3) Gli standard e l’efficienza dei flussi comunicativi. Senza standard i sistemi organizzativi, sempre più strutturati a partire da piattaforme digitalizzate, semplicemente decadono in un pantano di inefficienze. Siccome le pubbliche amministrazioni centrali, regionali, comunali, comprese le aziende pubbliche, sono obbligate ad evolvere in tale direzione va posta molta attenzione ad evitare la babele dei linguaggi, come pure il rischio di nuove rendite parassitarie di tipo burocratico, come in parte sta già avvenendo. Di qui il necessario raccordo tra amministrazioni centrali e amministrazioni regionali, ad esempio in sanità se si vuole davvero realizzare il fascicolo sanitario elettronico (unico in tutto il territorio nazionale), oppure in materia di incontro-domanda e offerta di lavoro, di disabilità, di turismo, di a agricoltura, etc.
Raccomandazioni finali
In conclusione tre possibili raccomandazioni:
1) Riflettere sul rafforzamento del coordinamento centrale, oggi assente nei due disegni di legge. Con un facile slogan si potrebbe dire: “aumentare il ruolo delle regioni a Roma”.
2) Guardare con maggiore attenzione alle esperienze positive e a quelle negative finora sperimentate nel passato in modo da prevedere, politica pubblica per politica pubblica, le migliori soluzioni di raccordo tra i nodi centrali (ministeri), i nodi intermedi (regioni) e i punti periferici (amministrazioni locali, enti, aziende pubbliche) della rete di ogni pubblico servizio.
3) Prevedere una adeguata regolamentazione degli standard e dei flussi informativi, anche in questo caso politica pubblica per politica pubblica, specie per quelle oggetto di autonomia differenziata.