Le elezioni regionali in Abruzzo hanno confermato il primato del centrodestra, con la vittoria del governatore uscente Marsilio. Fratelli d’Italia è la prima forza politica nella regione, seguita dal Partito Democratico, che ha superato il 20% nonostante la presenza di molte liste civiche. Buona anche l’affermazione di Forza Italia, mentre risultano in caduta libera sia la Lega che il Movimento 5 Stelle. Delusi i partiti del Terzo Polo, a partire da Azione. La brutta notizia per tutti è la crescita dell’astensionismo, anche se per il politologo Paolo Feltrin si tratta di un abbaglio. E spiega perché.
Bisogna tenere presente che i dati sono falsati dal numero dei residenti all’estero. Infatti mentre nelle elezioni politiche il loro voto è presente, e quindi il calcolo dell’affluenza è fatto sui residenti in Italia, nelle elezioni amministrative, sia comunali che regionali, questo numero non viene scorporato, anche se non è previsto il voto degli italiani all’estero. A seconda delle regioni questo dato può influire fino al 14%, non è di poco conto. Abbiamo chiesto al ministero dell’Interno di fare lo scorporo, anche per evitare di diffondere una idea sbagliata di partecipazione al voto. Io ritengo che all’affluenza dell’Abruzzo, pari al 52,2%, si possa tranquillamente aggiungere almeno un 10%.
Resta il fatto che negli ultimi tempi si nota una maggiore disaffezione degli italiani al voto. Come mai?
Il problema è che si vota sempre più spesso. Votando ogni mese la gente pensa di essere sempre in campagna elettorale, e non va alle urne. Bisogna fare l’election day, unico oppure in due periodi dell’anno, in primavera e in autunno. Oppure bisogna permettere il voto a distanza agli studenti e ai lavoratori, e prevedere il cosiddetto voto anticipato: l’elettore che nei giorni del voto sa già che sarà impossibilitato a recarsi alle urne può farlo nei 15 giorni precedenti le elezioni. Tutti parlano di astensionismo e si dimostrano preoccupati da questo fenomeno, ma nessuno fa niente di concreto.
I risultati della Sardegna e dell’Abruzzo l’hanno sorpreso?
No, era già scritto. Tutti si improvvisano analisti elettorali, ma senza guardare i numeri. Nel 2022 in Sardegna il “centrosinistra largo” era stato nettamente maggioritario. Stando a quel risultato, tolto l’8% di elettori che hanno scelto Soru avrebbe dovuto prendere intorno al 48%, invece si è fermato al 45%. Il centrodestra, invece, nel 2022 aveva preso il 40%, mentre alle regionali ha raggiunto il 45%. Non dimentichiamo che la candidata del centrosinistra, Todde, alla fine ha prevalso per soli 1.600 voti. L’Abruzzo, invece, è da sempre una delle regioni italiane con il maggior equilibrio tra centrodestra e centrosinistra. Nel 2022 il centrodestra aveva ottenuto il 48% circa, il centrosinistra il 49%.
E allora perché l’affermazione di Marsilio è stata così netta?
La politicizzazione del voto ha sicuramente influito sull’elettorato. A mio avviso si tratta di un errore grave, ed è stupefacente che nel centrosinistra continuino a sbagliare. Eppure le elezioni a Verona e Vicenza avrebbero dovuto insegnare molto: lì il voto era stato slegato dalle vicende politiche nazionali, i leader sono rimasti a casa. Gli elettori in quel caso hanno scelto la persona e il programma. Intendiamoci, la politicizzazione può anche funzionare, ma solo se si ha davvero una proposta politica generale. Siccome da parte del campo larghissimo non c’è ancora, non si capisce perché gli elettori abruzzesi avrebbero dovuto dire no al governo Meloni, preferendo un nuovo governo di cui non si sa nulla, del quale non c’è un programma di governo. Sembrava che dalle elezioni in Abruzzo fosse dipeso il futuro del governo Meloni e del centrosinistra. Parliamo di una regione con 600mila votanti, circa l’1,5% dell’elettorato italiano.
Quanto ha pesato la scelta dei candidati?
È indubbio che il centrodestra abbia difficoltà a individuare candidati competitivi, basta vedere cosa è successo in Sardegna con il voto disgiunto. Il centrosinistra, invece, ha il problema opposto: ha buoni candidati, ma non è in grado di mettere insieme la coalizione, e deve ancora imparare a fare le campagne elettorali. Bisogna avere visioni generali, grandi strategie, bisogna cominciare a discutere con gruppi di lavoro, individuare gli elementi di programma su cui possa convergere una coalizione larga. Larga ma unita.
Il voto in Abruzzo sembra avere due grandi sconfitti: il Movimento 5 Stelle e la Lega. Il primo alle politiche del 2018 aveva sfiorato il 40%, nel 2022 si era fermato al 18,5%, ora è sprofondato al 7%. Idem la Lega, che però dopo l’exploit delle Regionali del 2019 (27,53%) era stata ridimensionata già alle politiche del 2022, con un misero 8,27%. Oggi si è fermata al 7,6%.
È difficile fare confronti diretti, soprattutto quando ci sono molte liste locali, come è avvenuto alle elezioni abruzzesi. Certo, il crollo del M5S rispetto alle politiche del 2018 è evidente. È interessante il voto per le coalizioni: in Abruzzo il centrosinistra ha preso il 46,5%, mentre il centrodestra cresce sia in Sardegna che in Abruzzo. Direi che la tendenza è di un centrodestra in crescita e di un centrosinistra relativamente competitivo. Ma lo era anche nel 2022, quando il centrodestra aveva preso il 43%: se il centrosinistra fosse stato largo, come auspicano in tanti, avrebbe sicuramente vinto.
Torniamo al voto in Abruzzo: Marsilio è stato confermato governatore dopo che negli ultimi 30 anni c’era stata l’alternanza tra i due blocchi, a conferma del grande equilibrio nella regione. In Italia abbiamo altri casi di conferme eccellenti, penso ai governatori Zaia, De Luca, Emiliano, Fontana. Quale criterio prevale in questi casi?
Io non credo che il buongoverno sia decisivo in queste sfide. In passato ci sono stati casi in cui gli elettori hanno confermato governatori uscenti anche se inquisiti. Qui credo che c’entri l’incumbent, per utilizzare una espressione angloamericana. Sarebbe colui che incombe, che è già sulla scena, e per questo ha già un vantaggio, è più competitivo. Non mi stupisco di sindaci e governatori confermati, anzi, mi stupisco quando chi ha fatto la legislatura non viene rieletto, perché durante la sua legislatura domina la comunicazione politica, è presente sui mass media tutti i giorni. E questo fa la differenza.
Dalle elezioni in Abruzzo emerge un dato che penso debba far riflettere: D’Amico ha vinto a Pescara e a Teramo, mentre nei paesi più piccoli, soprattutto nell’entroterra, ha dominato Marsilio in modo netto. Che lettura si può dare di questo voto?
È la conferma che la sinistra è il partito delle terrazze romane, il partito della Ztl. Anche in Abruzzo! Oramai prende i voti dai ceti medio-alti, dal pubblico impiego, dai professionisti, dai laureati e dagli insegnanti. Credo che il Pd si trovi davanti a un bivio: o si dà per perso il ceto popolare, e quindi ci si orienta definitivamente su altre tematiche per conquistare gli elettori, oppure si cerca di intercettare il cosiddetto terziario urbano, metropolitano, segmenti di società povera che però sta crescendo enormemente. È una discussione che stanno facendo i democratici americani: conviene buttarsi sui nuovi ceti sociali del 21esimo secolo, oppure bisogna riscoprire una sinistra “blue collar”, meno sorda alle istanze popolari? In Danimarca, Norvegia, Svezia, stanno cercando di interpretare questa sinistra. Ma è soprattutto in Germania che questo sta avvenendo, con Sahra Wagenknecht. Il suo partito sta letteralmente sconvolgendo i progressisti tedeschi, perché si rivolge a un elettorato sì di sinistra, ma conservatore. Ha temi che sono un pugno nello stomaco per la sinistra Ztl: il suo è un partito violentemente contro l’immigrazione, contro il libero mercato, nazionalista ed antieuropeista. Ma invece di storcere il naso dovremmo provare a riflettere: se non si decide né da una parte né dall’altra si rimane a bagnomaria e si perdono elettori da entrambe le parti.
Infine un cenno alla Basilicata: il 21 e 22 aprile prossimo si vota il governatore. Cosa sente di consigliare al Pd?
Bisogna evitare di ripetere l’errore già commesso in Abruzzo: il Pd non ne faccia una questione nazionale. In ogni caso non bisogna dividersi, e bisogna insistere nel proseguire con l’esperienza del campo largo. Ovviamente bisogna trovare un buon candidato, cosa che invece sembra sia in alto mare.
Articolo scritto con chiarezza e precisione. Illuminante e stimolante.
La maggior parte degli italiani non va a votare, poi si lamenta dei risultati, di come l’Italia vada a rotoli. La Sardegna ha vinto! Bello ed interessante l’articolo.