Quello che sembra drammaticamente prendere corpo dalla lettura del Bilancio demografico nazionale 2019 Istat è il quadro di un Paese senza futuro. Il 2019 ha fatto registrare, infatti, un -4,5% di nascite, nuovo minimo storico dall’unità d’Italia, 19mila unità in meno rispetto al 2018 per un totale di nuovi bambini iscritti all’anagrafe di 420.170. Ma a completare il quadro del nuovo record negativo, concorrono anche il +16,1% di cittadini cancellati dalle liste anagrafiche perché hanno scelto l’estero: nel 2019 le cancellazioni di cittadini trasferitisi sono state 182.15.

Quello del calo demografico rappresenta, purtroppo, un trend negativo piuttosto consolidato che accompagna l’Italia ormai da tempo. Basti pensare che negli ultimi 5 anni la popolazione italiana ha registrato complessivamente -551mila residenti, 189mila unità in meno solo nell’ultimo anno. Al 31 dicembre 2019, gli attualmente residenti in Italia è di 60.244.639 (-0,3% da inizio anno).

Nel 2019 la distribuzione della popolazione residente per ripartizione geografica resta stabile rispetto agli anni precedenti. Le aree più popolose del Paese si confermano il Nord-ovest (dove risiede il 26,7% della popolazione complessiva) e il Sud (23,0%), seguite dal Centro (19,9%), dal Nord-est (19,4%) e infine dalle Isole (11,0%). Il calo di popolazione riguarda indistintamente tutte le aree della Penisola, ma con differente incidenza: nel Nord-ovest e nel Nord-est è contenuto (rispettivamente -0,06% e -0,03% rispetto a inizio anno), mentre i maggiori decrementi, sopra la variazione media nazionale (-0,31%), si rilevano nelle Isole (-0,70%) e al Sud (-0,63%). A livello regionale, il primato negativo in termini di perdita di popolazione è del Molise (-1,14%), seguito da Calabria (-0,99%) e Basilicata (-0,97%). All’opposto, incrementi di popolazione si osservano nelle province di Bolzano e Trento (rispettivamente +0,30% e +0,27%), in Lombardia (+0,16%) ed Emilia-Romagna (+0,09%). Una emigrazione dal Sud che riguarderebbe, come rilevava il Rapporto Svimez, soprattutto le fasce giovani della società, giovani laureati o comunque istruiti in cerca di un futuro migliore. E di certo non migliorerà la situazione la grave crisi pandemica da Covid-19 che, nonostante gli effetti attenuati dalle politiche pubbliche al Sud, ha lasciato e lascerà strascichi soprattutto in campo occupazionale e in termini di ricchezza pro-capite e quindi consumi.

E’ in calo anche il numero di cittadini stranieri che arrivano in Italia per restare (-8,6%). Scelgono soprattutto il Nord e il Centro, con il primato che va, in termini assoluti, alle regioni del Nord-ovest con 1.792.105 residenti di cittadinanza straniera, pari a oltre un terzo (33,8%) del totale. Un cittadino straniero su quattro risiede nelle regioni del Nord-est e in quelle del Centro. Più contenuta è la loro presenza nel Sud (12,1%) e nelle Isole (4,8%). Rapportando la popolazione residente straniera a quella totale si conferma un’incidenza superiore al 10% al Centro-nord, in linea con il 2018. Anche nel Mezzogiorno il rapporto resta stabile, ma più moderato rispetto al resto d’Italia: 4,6 residenti stranieri per cento abitanti nel Sud e 3,9 nelle Isole.

La vera sfida, quella resa ancor più difficile dalle conseguenze sociali ed economiche della pandemia, continua a risiedere nel miglioramento delle condizioni di vita nel nostro Paese, con un focus particolare sulla situazione lavorativa, elemento imprescindibile di stabilità per “rimanere” e su cui fondare un nuovo nucleo familiare. Non solo, condizioni favorevoli per il lavoro possono concorrere a ristabilire il naturale afflusso di cittadini stranieri che nel passato (ultimamente l’Italia ha rappresentato più una “terra di passaggio” verso Paesi più ricchi) ha contribuito sia all’abbassamento dell’età demografica, sia ad arricchire in maniera sostanziosa il Pil nazionale.

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