(foto di Maurizio Riccardi)

Leone XIV entra in campo (se possiamo dire così, visto che è uno sportivo) in un periodo storico particolarmente turbolento e difficile. Il futuro sembra incerto e, per certi aspetti, compromesso da conflitti e guerre condotte con crudeltà inaudite, evocando addirittura la catastrofe nucleare. Le ingiustizie sociali aumentano nonostante la disponibilità, senza precedenti, di risorse. La scienza e la tecnologia offrono nuove opportunità, ma mancano un sistema di valori condiviso che le indirizzi verso il bene comune e un conseguente quadro regolatorio che le governi.  Anche i temi e i problemi da affrontare localmente riflettono radici e cause di dimensione globale, ma le istituzioni e la politica si rinchiudono, sempre più, in una governance nazionalista e localista. In questo scenario le persone, smarrite, si chiudono, anch’esse, nel facile rifugio dell’egoismo.

Leone ha chiaro tutto ciò. Lo descrive bene nell’omelia della sua prima messa da papa (concelebrata con tutti i cardinali, votanti e non), quando ricorda che il colloquio tra Gesù e Pietro, fondativo della Chiesa, avviene quasi simbolicamente a Cesarea di Filippo, una città bellissima per natura e arte, ma anche sede di «circoli di potere crudeli e teatro di tradimenti e di infedeltà», dove non c’è posto per la fede, l’onestà e le urgenze morali. Sicché, allora come oggi, si preferiscono «altre sicurezze, come la tecnologia, il denaro, il successo, il potere, il piacere». La risposta che papa dà, ovviamente, è inscritta nella testimonianza di fede, la «fede gioiosa» in Cristo, accompagnata dalla costante proiezione missionaria nei luoghi più ostili.

Come ben si comprende, la questione così posta interroga tutti, credenti e no, perché lo smarrimento presente in questo «cambiamento d’epoca» (come lo chiamava papa Francesco) necessita di impegno e risposte che, ciascuno nel proprio campo e per le proprie responsabilità, siamo chiamati a dare. Ecco perché papa Leone XIV, nel porre, il primo giorno del suo pontificato, nientemeno che il quesito sul senso della storia e della umanità, entra pienamente nella dimensione contemporanea, alla ricerca di risposte.

D’altra parte, due segni in questa direzione erano già arrivati il giorno prima, quello dell’elezione. Il primo nel messaggio iniziale, incentrato sulla parola «pace» ripetuta più volte nel saluto dalla Loggia, quando il nuovo papa si è presentato al mondo. Una pace qualificata – «disarmata e disarmante» – e destinata a tutti, proprio a tutti.

Il secondo, nella scelta del nome Leone. Al momento dell’annuncio ci potevano essere almeno tre riferimenti storici e tutti pertinenti: Leone Magno, il papa che fermò Attila (proprio con quella pace disarmata…); fra Leone, l’amico e compagno di san Francesco e, infine ma anche più probabilmente, Leone XIII. Il papa che, come ha ricordato lo stesso neoeletto nell’incontro coi cardinali, diede l’avvio alla fertile stagione della dottrina sociale con la enciclica «Rerum Novarum». Il nuovo Leone ha motivato questa scelta attualizzandola. Ha, infatti, accostato i problemi sociali derivanti dalla rivoluzione industriale di fine ‘800, che ispirarono quella enciclica, a quelli attuali provocati dalla rivoluzione digitale, con al centro l’intelligenza artificiale. Indicando, così, una priorità pastorale di estrema modernità.

Pace universale e giustizia sociale, dunque, appaiono come i primi indirizzi del pontificato. Basterebbero questi richiami a rendere del tutto fuorviante e strumentale il confronto che viene fatto con Francesco per coglierne le diversità, che ci saranno, o le continuità, che saranno molte. Peraltro, il principio dell’alternanza negli stili di governo è un criterio di normale ragionevolezza ovunque, tanto più nella Chiesa.

Francesco, a partire dalla scelta del nome, ha dato il via a innovazioni necessarie e tracciato una linea per molti versi irreversibile. Ha introdotto nella riflessione della Chiesa temi nuovi, come l’ecologia integrale a tutela del creato e, appunto, l’intelligenza artificiale, di cui ha parlato al G7. Ha messo le «periferie esistenziali», gli scartati e gli ultimi al centro del suo messaggio. Proponendo incessantemente la teologia della misericordia ha accolto tutti, indipendentemente dalla loro condizione personale. Ci è riuscito anche per merito del suo stile inclusivo, estroverso e pedagogico, che ha coinvolto e avvicinato la gente comune, come si è visto nella sua morte, ma ha anche provocato reazioni e conflitti. Non poteva essere altrimenti, ma la sua presenza è stata un bene per la Chiesa del futuro e per il mondo moderno. Ora, lo stile rassicurante, pacato, sereno, di Leone XIV, sostenuto dalla sua formazione agostiniana, potrà garantire il consolidamento di quell’equilibrio «più avanzato» sul quale Francesco ha attestato la Chiesa.

Un pontificato, questo di Robert Prevost, che per l’età (69 anni) si presenta lungo. Sicché non ha senso fare confronti con i politici in carica (Trump compreso), che hanno tempi di esercizio del loro potere molto più brevi di quelli di cui – a Dio piacendo! – dispone Leone.

Se, però, vogliamo dare una interpretazione «politica» all’esito del conclave, dobbiamo riconoscere che la scelta cosmopolita di un americano moderato, di origini europee, missionario in Perù per vent’anni, appare coraggiosa e lungimirante. Il quorum necessario e le indiscrezioni sul fatto che avrebbe superato i cento voti di preferenza fanno pensare che anche i cardinali africani e asiatici hanno convenuto sul suo nome. Così avrebbero fatto, si legge, anche gli italiani. Solo un tardivo provincialismo ha consentito che, nel XXI secolo, si potessero passare giorni ad ascoltare dibattiti televisivi e leggere articoli che sostenevano, con naturalezza, che stavolta sarebbe toccato a un papa italiano. Quasi fosse un risarcimento necessario, dopo quasi cinquant’anni di papi definiti stranieri!

Più interessante, invece, è considerare che Leone XIV è il primo papa nato dopo la Seconda guerra mondiale,  e che aveva solo sette anni quando papa Giovanni aprì il Concilio: quindi tutta la sua formazione è avvenuta nella Chiesa del Vaticano II.

A proposito di rerum novarum

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