Sono trascorsi poco più di 100 giorni dall’attacco di Hamas contro Israele e, come qualcuno aveva già paventato, la guerra che ne è scaturita nel territorio di Gaza, con lo straripamento in Cisgiordania e Libano, è tutt’altro che terminata, anzi si sta trasformando in una guerra regionale nella quale sono coinvolti gli USA, l’Iraq, lo Yemen, la Siria, l’Iran, il Pakistan. Nell’ultima settimana abbiamo assistito, inoltre, ad un cambio di traiettoria dell’instabilità mediorientale, con gli scontri nel mar Rosso, causati dalle provocazioni aggressive degli Houthi, fazione affiliata all’Iran che governa ciò che residua dello Yemen e che bene conosce l’intelaiatura della potenza commerciale americana (controllo dei mari e degli oceani, dei colli di bottiglia attraverso cui passano la maggior parte degli scambi commerciali che garantiscono la globalizzazione dagli anni ’90). Gli Houthi, più che occuparsi del conflitto israelo-palestinese, intendono farsi valere come potenza regionale riconosciuta in un conflitto, che come si diceva, è divenuto regionale da un lato e trasversale dall’altro, in quanto mette in serio pericolo l’intera economia globale.
Vale ricordare che il mar Rosso è la vena giugulare che congiunge il Mediterraneo con l’Oceano Indiano e l’Oceano Pacifico come via marittima accelerata di tutte le rotte dall’Asia all’Europa. Per l’Italia, che è un paese marittimo che dipende largamente dalle energie che deve importare e dalle merci che deve esportare, un blocco dei traffici via Mar Rosso avrebbe ricadute particolarmente critiche. L’operazione condotta nei giorni scorsi dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna è una reazione di deterrenza alla provocazione degli Houthi, più che l’allargamento del conflitto israelo-palestinese, un avvertimento, il tentativo di arginare ulteriori attacchi.

Ma vediamo quali sono i costi e chi penalizza la crisi che si sta generando nel Mar Rosso. In questo momento sembra che l’aumento dei costi riguardi soprattutto i trasporti dall’Oriente al Mediterraneo (+350%), mentre quelli dall’Oriente all’America sono ancora contenuti ad un + 95%. Pertanto la crisi risulta essere più regionale che globale. A metà gennaio il traffico di mezzi attraverso lo stretto di Bab el-Mandeb a sud risulta essersi ridotto della metà, riflettendosi anche sul traffico dal canale di Suez a nord, dove la riduzione ammonta a -35%, con un effetto negativo anche sul PIL dell’Egitto (0,8%). Anche il passaggio di gas naturale liquefatto proveniente dal Quatar attraverso Suez sembra avere subìto un crollo, tuttavia il nostro Paese non dovrebbe correre rischi considerate le alte quote di stoccaggio che ci dovrebbero condurre a superare con serenità la stagione invernale. Anche nei maggiori porti italiani (Genova, Venezia, Trieste, Gioia Tauro, Augusta e Livorno) si avvertono gli effetti della crisi con una riduzione del 20% dei traffici commerciali, pur con qualche ripresa a singhiozzo.

La situazione è la conseguenza diretta del rischio che corrono le navi commerciali nell’attraversare il Mar Rosso, che determina cambi di rotta con aumento di tempi e costi (per es. circumnavigazione dell’Africa con tempi di 12-15 giorni). Non è la prima volta che il commercio marittimo mondiale ha subìto una crisi analoga, già nel 2021 con la ripresa post pandemica i costi erano lievitati, la differenza oggi sono i tempi rapidissimi con cui si è raggiunto il picco critico: 7 mesi del 2023 contro 12 mesi del 2021. Quello che preoccupa è che la crisi potrebbe avere effetti importanti sull’inflazione soprattutto per l’Europa. Da una stima fatta dall’Istituto per gli Studi di politica internazionale (ISPI) gli attuali maggiori costi di trasporto dal Mar Rosso potrebbero far aumentare i prezzi generali in Europa dell’1,8% in un anno, con un aumento dello +0,7% di inflazione “core”, che esclude energia, alimentari, tabacco e alcool. Sul resto del mondo l’impatto sarebbe più modesto: +0.8% di inflazione totale e +0,3 di inflazione “core”. Inoltre una riduzione persistente dei traffici nel Mar Rosso potrebbe provocare una scelta alternativa di destinazione finale per alcune navi che importano beni in Europa, dal mediterraneo via Gibilterra ai porti del nord Europa.

Pertanto, in una situazione conflittuale che appare fuori controllo la crisi del Mar Rosso rappresenta un elemento detonatore di incertezza che potrà avere un peso specifico sulle decisioni delle banche centrali e sugli equilibri economici mondiali.

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