Il voto per il Parlamento europeo si avvicina in uno scenario internazionale così drammatico e confuso da offuscare, di fatto, la discussione sul merito delle questioni che l’Europa dovrà affrontare sul piano interno e su quello globale. Eppure questi dovrebbero essere i temi della campagna elettorale. A partire dal ruolo che deve svolgere sul piano internazionale.
L’Europa è stata il campo di battaglia delle due più grandi e drammatiche guerre mondiali; protagonista di due totalitarismi tra i peggiori della Storia (Nazismo e Fascismo) e del conflitto ideologico tra comunismo e liberalismo. Ma, soprattutto, oggi è coinvolta nelle due guerre contemporanee che si svolgono dentro e a ridosso dei propri confini. Questa Europa, che ha garantito, dopo il 1945, il più lungo periodo di pace che la Storia ricordi, ha sufficienti ragioni per darsi una vera politica estera. A cominciare dal dotarsi di un sistema di difesa proprio, accompagnato da un’incessante e più esplicita azione diplomatica a favore della pace e di un nuovo ordine mondiale plurale e non polarizzato tra USA e Cina.
Per andare in questa direzione è prioritario, per l’Europa, dotarsi di una politica mediterranea e sul vicino oriente, che come i Balcani, restano gli snodi attorno ai quali si giocheranno partite decisive. Ovviamente una tale ambizione presuppone una buona volontà dei governi degli Stati membri. Poiché, però, i nazionalismi imperversano, bisogna frenarli con politiche che scoraggino una visione “corta”, localista, antagonista; ed incoraggino quella di una dimensione europea sempre più patria comune. Bisogna, cioè, pragmaticamente, rendere più conveniente essere filo europeisti che anti.
Molto di questa possibilità dipende dalle scelte economiche e sociali che l’Europa farà per sé stessa e verso i paesi che più premono ai nostri confini. Per non sbagliare conviene tenere presenti tre precedenti storici.
Il primo. In un bellissimo libretto: “le conseguenze economiche della Pace”, Keynes descrive mirabilmente come la scelta punitiva verso la Germania sconfitta nella prima guerra mondiale, costringendola al risarcimento di un debito troppo gravoso, ha determinato le condizioni sociali nelle quali si sono insediati politicamente i germi del nazismo.
Il secondo. Al termine della seconda guerra mondiale la Democrazia ha avuto successo in tutto la parte occidentale del continente perché fu sostenuta dalla diffusione del welfare come politica pubblica e dalla lungimiranza di creare il Mercato Comune come politica economica.
Infine, il terzo. Con la caduta del muro e la dissoluzione del blocco sovietico, l’Europa unita ha colto solo in parte la grande opportunità che si è presentata a Est. Fu soprattutto la Germania, che aveva operato, con successo, in poco tempo, la grandiosa e riuscita operazione della sua riunificazione, ad “occuparsi” dei nuovi Stati liberati dal regime comunista con un massiccio piano di industrializzazione. Altri paesi fecero lo stesso, con minore energia; ma non fu una operazione “europea”, in senso proprio; che avrebbe avuto ben altro esito.
Sono dunque, la politica estera, gli investimenti, la gestione del debito e la sicurezza sociale le leve sulle quali si costruisce o si distrugge l’Europa del futuro. La risposta c’è. Il piano Next generation EU (o, come diciamo noi, il PNNR) ha segnato la risposta ad una emergenza, drammatica ed imprevista, il Covid, ma ha rappresentato una svolta e indicato la strada. Si parla molto di debito buono e cattivo. Ma il debito è buono non solo se le finalità sono buone (cioè, attraverso gli investimenti, creare sviluppo), ma anche se è debito comune; contratto, cioè, assieme o in nome di tutti. Il dibattito che si aprirà dopo le elezioni europee sul nuovo patto di stabilità sarà questo e l’attenzione crescente nei confronti delle proposte di Draghi e Letta per una nuova Europa è incoraggiante. Se l’Europa imboccherà la strada intrapresa col Covid arricchita dalle riforme necessarie avrà stabilità e crescerà il dialogo interno e ciò renderà più autorevoli tutti.
L’altra forza dell’Europa, che viene da lontano, è il modello sociale. Anche qui la storia insegna. Limitiamoci a quella recente: Keynes; Beveridge; Spinelli, Delors. Insomma: economia sociale di mercato; welfare, coesione e partecipazione… Il tentativo esplicito di combinare i fattori economici alla giustizia sociale nasce e si sviluppa in Europa. Recentemente questo modello appare un po’ afflosciato e necessita di un restyling; ma è sempre il punto di equilibrio più avanzato che nel resto del mondo. Oggi si aggiunge, per l’Europa, la possibilità di un nuovo protagonismo: la sfida ambientale. Che Europa sarà, dunque, quella che uscendo dal voto, ormai imminente, si inoltrerà dentro il cuore del XXI secolo? La risposta starà nella capacità della classe dirigente che sarà eletta di imboccare la strada giusta. Ma anche nella capacità degli elettori di scegliere, l’8 e il 9 giugno, quella giusta.