Sarebbe stato bello se l’1 maggio sul palco di Bologna, dove si festeggiava la festa del lavoro, accanto ai sindacalisti ci fossero stati anche uomini della Confindustria. Certo, il Primo maggio si festeggiano i lavoratori, non i padroni, e qualcuno, o molti, avrebbero avuto da ridire per una presenza anomala e magari non gradita. Ma sarebbe stato un messaggio chiaro al Paese, alla classe dirigente del paese, ammesso che questa esista e capisca cosa sta accadendo. Un messaggio esplicito e per questo leggibile. Ma non è stato così, sembra che la Cgil si sia messa di traverso e abbia mandato all’aria questo progetto che nelle settimane precedenti stava prendendo corpo.
“Sarebbe stato un messaggio chiaro per il governo, che non sembra aver capito cosa sia il lavoro, di cosa necessiti, tanto è vero che sembra remare al contrario, nonostante le affermazioni continue di grande attenzione al lavoro
Se lavoratori e padroni marciano insieme, fino a sfilare per le vie cittadine gli uni al braccio con gli altri, beh non ci sarebbe voluto molto a capire che le cose non vanno bene, che le prospettive del lavoro e dell’economia vanno male, anche se all’ultimo momento e per un soffio si è sfuggiti alla recessione (per restare però nella stagnazione, che non è meno dolorosa).
E sarebbe stata una cosa positiva per i sindacati e per la Confindustria, che non se la passano tanto bene. Che i sindacati non navighino in acque tranquille ormai da tempo non è una novità. Le tessere non calano, anzi sembrano risalire, anche e soprattutto quelle dei lavoratori attivi, per cui non è un fatto solo di pensionati. Ma le tessere non bastano, perché il peso politico delle rappresentanze del lavoro si sta svaporando. Non è solo perché la concertazione non c’è più, anche perché resta ancora da capire se questa fa bene o male al sindacato, alla sua presa sulla società. Il punto è che il sindacato fa i contratti, è vero, ma non ha peso quando si tratta di prendere delle decisioni che interessano, e anche da vicino, il mondo del lavoro. Non era così, una volta, i sindacati pesavano e nessun governo varava provvedimenti senza il consenso, esplicito o comunque palese, delle confederazioni sindacali. E quando questo accadeva, perché spesso è accaduto, allora era guerra e non sempre a perdere erano i sindacati. Insomma, il sindacato una volta c’era, pesantemente, adesso sembra un fantasma che non si sa bene cosa faccia e perché.
“Nelle ultime settimane in realtà c’è stato un certo risveglio dei sindacati, che hanno deciso di passare all’attacco con una serie di manifestazioni anche dure e anomale
Mi riferisco ad esempio allo sciopero dei metalmeccanici di metà maggio, quello che una volta si sarebbe chiamato uno sciopero politico, perché diretto contro il governo e la politica economica che non c’è e quando c’è fa davvero male. Una nuova presenza, che farà bene alle confederazioni, le aiuteranno a riprendere un contatto con i lavoratori che negli ultimi tempi sembrano quanto meno distratti. Perché in politica, e questa dei sindacati è certamente politica bella e buona, servono i messaggi, che devono essere forti e chiari per essere intellegibili. Per questo penso che una manifestazione del Primo maggio con sindacati e padroni assieme avrebbe fatto bene, perché sarebbe stato evidente che il limite di sopportazione è stato superato e che in qualche maniera si deve fare marcia indietro.
E lo stesso vale per Confindustria, che non gode proprio di buona salute. Anche in questo caso formalmente c’è poco da eccepire, le aziende aderenti sono tantissime, e sono in crescita, ma la presenza politica stenta a portare frutti. Perfino l’azione di lobby, sempre attenta, sta perdendo colpi. Questo forse, almeno da questo punto di vista, è davvero un governo del cambiamento, perché i provvedimenti si prendono a Palazzo Chigi senza sentire quello che dice e pensa e propone Confindustria. Il governo ne acquista in autonomia, ma il paese ne perde in coerenza, perché i provvedimenti presi non danno i risultati attesi, spesso ne danno di segno contrario. Difficile dire perché si sia prodotto questo risultato. Ha influito certamente la divisione forte che resta all’interno del grande corpo di Confindustria, i cui ultimi due presidenti non a caso sono stati eletti con la metà dei voti disponibili, segnale preciso che manca univocità di sentimenti, e di conseguenza anche di politica.
“Sindacati e Confindustria hanno raggiunto dei buoni risultati quando hanno stretto accordi, molto interessante quello del marzo dello scorso anno, il Patto della fabbrica, come l’ha chiamato Vincenzo Boccia
Un’intesa per nulla banale, che contiene alcune affermazioni molto importanti, anche molto nuove per Confindustria. Specie dove si afferma che i salari devono crescere e che la partecipazione, anche quella per la guida delle aziende, è un fatto importante anche per la democrazia. Un’intesa di peso, che ha dettato di nuovo le regole della contrattazione e della rappresentatività, ma che è rimasta in un cassetto perché serve una legge, ma, almeno finora, né il governo, né il Parlamento hanno fatto nulla per tradurre quelle buone intenzioni in fatti concreti.
Questo perché manca il collegamento tra le forze sociali e il mondo della politica. Le forze sociali non sono in grado di premere e ottenere risultati, la politica va per la sua strada. Forse stare assieme su quel palco qualcosa avrebbe smosso.