In questi ultimi giorni ho trascorso diverse ore sulle bacheche di Facebook per rispondere ai messaggi e alla domande di persone, che giustamente mi chiedevano conto di alcune posizioni politiche che ho assunto. Eviterò di entrare in questo articolo nel merito delle questioni, perché l’ho già fatto molto in questi giorni e continuerò a farlo anche nei prossimi. Quello che mi interessa è condividere una riflessione generale sulla natura e sulla qualità del dibattito politico che si sviluppa sui social.

Per prima cosa devo ammettere che trovo molto stimolante la possibilità di poter interloquire direttamente con tante persone, soprattutto con quelle che non la pensano come me. Non sto parlando ovviamente di quei profili che scrivono tanto per insultare, inveendo contro il Partito Democratico che in parte rappresento o quelli che per lavoro difendono sempre e comunque l’operato di politici o altre forze politiche. Quel tipo di reazione ai post è sempre presente, ma è ovviamente taroccata ed ha come unico scopo quello di demolire qualsiasi idea, pur di portare acqua al mulino di qualcuno. Ne sono un esempio eclatante quei profili provenienti da ogni parte d’Italia, mai però da Roma, che difendono aprioristicamente l’operato della Sindaca Virginia Raggi

La questione si fa interessante quando si riesce ad interloquire con persone che hanno voglia di discutere e che spendono il proprio tempo per confutare una tesi, per trovare punti d’incontro o semplicemente per ribadire i propri convincimenti. Questo tipo di discussioni sono le più vere e spesso portano le persone ad avvicinarsi per continuare a discutere in privato e anche nella vita reale. Questo aspetto è quello più positivo della discussione sui social, perché in poco tempo si abbattono le distanze, si abbandonano i convenevoli e si arriva a discutere direttamente con il proprio interlocutore. Limpidamente, alla luce del sole e potenzialmente davanti all’intera opinione pubblica, che può quindi farsi una propria idea e a sua volta partecipare al dibattito.

C’è tuttavia un grande rischio che mi sembra di scorgere da questa opportunità straordinaria di confronto one to one, ovvero una certa autoreferenzialità della discussione, che in alcuni casi rende difficile lo scambio di punti di vista differenti. Provo a spiegarmi meglio. Ognuno sulla propria bacheca social al termine di una discussione, anche quella più interessante e conflittuale, alla fine corre il rischio di convincersi di avere ragione. Questo rischia di accadere semplicemente perché amici, conoscenti e supporters tendono a fidarsi dell’opinione di chi già conoscono e di conseguenza a rafforzarla di fronte ad una contesa dialettica. La discussione avviene dentro una bolla personale, al di fuori della quale tuttavia esiste un mondo, che a sua volta si trova rappresentato da altri che sono più vicini alle proprie idee e convinzioni. Dentro la bolla dei social network il nostro conforto pesa quanto il pregiudizio. Questo succede perché per statuto piattaforme come Facebook e Twitter utilizzano algoritmi matematici per metterci in contatto con persone che condividono la nostra visione del mondo. In questo modo, però, perdiamo il confronto con chi la pensa diversamente da noi, a meno che non si voglia comunque entrare nella bolla altrui e battagliare in una discussione uno contro dieci. Cosa che per mia indole a me piace moltissimo, ma che certamente non favorisce un dibattito particolarmente sereno. 

Questa connaturata “stortura” insita nei social influisce moltissimo sul dibattito politico e al tempo stesso rischia di modificare profondamente lo spirito che dovrebbe animare un buon amministratore pubblico. Faccio un esempio pratico. Quando ci si candida per essere eletto per una carica pubblica, ci si presenta con una propria visione politica del mondo e della società, che viene definita dalle proprie idee e convinzioni personali, declinate all’interno di una cornice più complessa, che è rappresentata dai valori e degli ideali del partito o del movimento con il quale ci si candida alle elezioni. Una volta che si viene eletti, tuttavia, sarebbe necessario abbandonare questa visione di parte, per provare ad interpretare un ruolo istituzionale con l’obiettivo di rappresentare tutti i cittadini e non soltanto quelli che ci hanno votato. In sostanza una volta che si rappresentano le istituzioni, i cittadini dovrebbero tornare ad essere tutti uguali e le scelte si dovrebbero prendere soppesando i diversi interessi in contrasto e cercando di trovare la sintesi più adeguata a migliorare la qualità della vita dell’intera comunità. Per me la strada maestra quando si amministra non è quella del paternalismo o dell’educatore, ma quella della condivisione con la cittadinanza

Al contrario, mi sembra che sempre di più troppi politici ai tempi dei social tendano ad ascoltare con diffidenza e fastidio le voci dissonanti e più lontane dalla propria visione del mondo, tanto da arrivare ad etichettarle come avversarie, anche quando questo non è vero. Troppo spesso si perde di vista l’obiettivo del confronto che è quello di comprendere il punto di vista dell’altro e di trovare il punto di incontro, invece di accentuare le differenze. Questo dipende anche dal fatto che il tempo sui social è l’ora e il “subito”. Se non si risponde immediatamente ad un commento si rischia di compromettere un ragionamento più complesso o peggio ancora di essere giudicati incapaci a controbattere. È così che una discussione complessa viene ridotta al tempo di un commento letto di corsa fra una telefonata di lavoro e l’altra. Si conosce e si giudica il proprio interlocutore con la superficialità con la quale si sceglie un cornetto al bar. Non si approfondiscono le storie di chi si ha di fronte e di conseguenza tutte le parole tendono ad avere lo stesso peso. Si potrebbe concludere che c’è più democrazia, ma secondo me al contrario si rischia di accontentarsi di rimanere dentro le proprie bolle, dove ci si sente più sicuri. Per questo motivo in questi giorni ho voluto discutere e molto anche sulle bacheche di altri, che peraltro bisogna ringraziare per la propria disponibilità e ospitalità. L’ho fatto e continuerò a farlo in futuro perché i social, come ogni spazio pubblico, sono destinati ad essere uno spazio conflittuale. Di conseguenza il mio invito è a rompere le proprie bolle social e ad invadere con le proprie idee ed opinioni quelle degli altri, perché il conflitto anche se duro e faticoso è salutare per la democrazia e può consentirci di conoscere meglio ed avvicinare punti di vista diversi dai nostri. 

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