Il Partito Democratico è stato fondato il 14 ottobre del 2007. In tredici anni e mezzo il popolo democratico ha eletto ben 7 segretari, 4 di questi con le elezioni primarie. Matteo Renzi per ben due volte nel 2013 e nel 2017. Nessuno di loro, tuttavia, ha mai completato il proprio mandato. Ben 4 si sono dimessi (Walter Veltroni, Pierluigi Bersani, Matteo Renzi due volte ed ora Nicola Zingaretti). Due sono subentrati da vicesegretari, dopo essere stati eletti in assemblea nazionale (Dario Franceschini e Maurizio Martina). Uno, l’ex segretario della Cgil Guglielmo Epifani, venne scelto come reggente, in seguito alle dimissioni di Pierluigi Bersani, l’unico segretario ad aver vinto un’elezione politica nelle urne. In conseguenza di questa costante fibrillazione, insita nel patrimonio genetico del Partito Democratico, nello stesso lasso si sono verificati anche diversi abbandoni, che si sono caratterizzati come vere e proprie mini scissioni di gruppi dirigenti. A partire da quella del fondatore Francesco Rutelli, fino ai dolorosi abbandoni di Pierluigi Bersani e Matteo Renzi, fondatori a loro volta di due partiti politici (Leu e Italia Viva). Si badi bene, ad andarsene dal Partito Democratico sono sempre stati leader e pezzi del gruppo dirigente. Il popolo democratico, al contrario, è sempre rimasto lì, a difesa della comunità o della ditta, come la si voglia chiamare

C’è un’altra realtà, simile a quella del Partito Democratico, che nello stesso lasso di tempo ha subito la medesima sorte e fatto persino peggio. È l’associazione sportiva Roma, che negli ultimi tredici anni e mezzo ha cambiato ben 11 allenatori. L’incapacità di dare continuità ad un progetto sportivo, scegliendo una propria guida certa e dandole il tempo necessario per portarlo avanti, ha avuto una conseguenza facilmente prevedibile. La Roma negli ultimi anni non ha vinto nulla. Magari ha giocato qualche buon campionato, ogni tanto ha fatto sognare i propri tifosi, ma molto più spesso ha ceduto i propri campioni migliori a squadre che poi hanno vinto al posto suo. Insomma ha dimostrato matematicamente che cambiare continuamente, seguendo gli umori della piazza, di certo non aiuta a raggiungere i risultati sperati

Mi si potrebbe tuttavia obiettare come, nonostante la continua fibrillazione nella scelta della leadership del Partito Democratico abbia provocato conseguenze nefaste per la credibilità dei progetti politici portati avanti dalle differenti segreterie, questo non abbia impedito al Partito Democratico di rappresentare una forza stabile, posizionata al centro del sistema politico italiano. Non può essere un caso, infatti, che negli ultimi tredici anni e mezzo il Partito Democratico sia stato al governo per dieci anni, a cominciare dal sostegno al governo tecnico di Mario Monti (2011), passando per i governi democratici guidati da Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni (2012-2018), fino ad arrivare al governo giallo-rosso Conte bis (2019-2020) e all’attuale governo di tutti presieduto da Mario Draghi (2021-?). Gli anni di governo del PD sono oggettivi così come lo sono le sue continue crisi interne ed è proprio questo eterno conflitto fra potere e identità, quello sul quale si giocherà il futuro dei democratici italiani. Le dimissioni di Nicola Zingaretti hanno un grande merito, ovvero quello di non consentire a nessuno di poter eludere la discussione sull’identità del Partito Democratico Italiano. Ci sono domande alle quali è necessario dare una risposta. Per quanto tempo saremo ancora disposti a rinnegare valori, principi ed ideali nel nome della governabilità ad ogni costo? Quanto potrà durare lo stato d’emergenza dovuto alla pandemia, che ci ha portato a governare indistintamente con il M5S, Forza Italia e la Lega? Consideriamo l’esperienza del Governo Conte positiva, tanto da rappresentare un orizzonte politico per il futuro, magari fino al 2050, o al contrario si vuole costruire un nuovo polo con i liberali italiani? E prima ancora di capire con chi andare, quali sono le battaglie che si vogliono combattere ora, all’interno del governo tecnico-politico guidato da Draghi? Per me il Partito Democratico rimane quello fondato a Milano. Quello che aveva l’ambizione di portare in Europa un’idea di socialismo reale, in grado di ridurre le disuguaglianze e redistribuire la ricchezza. È un’identità semplice, che però avrebbe bisogno di essere declinata con azioni concrete e non banalizzata quotidianamente con post, comunicati e articoli sulla stampa. 

Il 13 e 14 marzo era già stata convocata l’assemblea nazionale del Partito Democratico. Un po’ me lo sentivo che questa sarebbe stata un’assemblea importante ed infatti il 24 febbraio scorso mi ero già prenotato per intervenire. Le dimissioni improvvise di Nicola Zingaretti renderanno la discussione in assemblea nazionale ancora più decisiva per il futuro del Partito Democratico, così come lo sarà il voto di ciascuno dei delegati eletti. Allo scorso congresso ho sostenuto Maurizio Martina. Tuttavia in questi due anni ho apprezzato e sostenuto il lavoro portato avanti da Nicola Zingaretti, in un momento così drammatico per il nostro Paese. Peraltro sono convinto che quanto è accaduto in questi ultimi mesi segnerà la storia dei prossimi anni. Per questo in assemblea nazionale non andrò soltanto con le mie idee, ma porterò anche quelle della mia comunità politica, quella degli iscritti al Partito Democratico del III Municipio di Roma che mi hanno eletto e con i quali domani ci riuniremo per discutere di quanto sta accadendo. Ha ragione Zingaretti. Questa è davvero l’ora della responsabilità per ognuno di noi. E sia ben chiaro. Non esiste mai un’unica scelta. Per loro natura le scelte sono molteplici, solo che alcune hanno prezzi e sacrifici più alti di altre. 

(dal blog di Riccardo Corbucci)

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