La Legge di Bilancio 2020 si colloca in un contesto molto preoccupante per il nostro Paese, sia sul versante economico che sociale. Gli indicatori principali ci danno la rappresentazione di un Paese fermo, con profonde disuguaglianze sociali e territoriali, con un tasso di disoccupazione, in particolare giovanile e femminile, molto alto rispetto ai principali paesi europei e una condizione di lavoro povero o impoverito che investe una buona fetta dei lavoratori e delle lavoratrici.

In questo quadro si innesta una vera e propria crisi industriale di settori fondamentali, da Ilva ad Alitalia fino agli innumerevoli tavoli aperti presso il ministero dello Sviluppo economico. Tutto ciò in un contesto europeo e internazionale debole e in peggioramento.

Questo quadro è, per quanto ci riguarda, il portato sia della crisi decennale che di politiche economiche italiane ed europee che non hanno affrontato strutturalmente i nodi deboli del Paese e in certi casi hanno contribuito ad aggravarli, a partire dai profondi divari sociali e territoriali che si sono aperti in questi anni. A questo proposito gli ultimi dati del rapporto Svimez ci indicano un quadro e una traiettoria che erano assolutamente prevedibili – la Cgil lo va ripetendo da anni – non solo per il Sud ma per l’intero paese: l’indebolimento delle politiche pubbliche incide negativamente sui servizi e sui diritti delle persone. E inoltre i dati sulla produzione industriale ci dicono che anche le cosiddette locomotive italiane stanno rallentando. Insomma, c’è un problema paese, che parte dal Sud, ma che investe tutta l’Italia.

Queste sono le ragioni che hanno sempre portato la Cgil ad affermare come necessaria una inversione di tendenza delle politiche economiche a partire da misure espansive finalizzate allo sviluppo e alla crescita sociale ed economica del Paese, misure capaci di definire una visione del Paese e un disegno strategico in grado di ricomporre e rilanciare le politiche pubbliche finalizzate allo sviluppo sostenibile.

Questo è un primo passaggio politico: il nostro paese non ha, da tempo, una idea strategica, una visione di lungo periodo, ed è stato ostaggio di politiche finalizzate al consenso immediato. In una frase ha smesso di scommettere e di investire su sé stesso e sul proprio futuro. Testimonianza evidente di questa mancanza di prospettiva è la condizione dei giovani di questo paese e il riferimento non è solo ai dati della disoccupazione o alla qualità del lavoro sempre precario, ma al fatto che tanti e tante hanno deciso in questi anni di trovare futuro altrove, emigrando. E il futuro per noi significa prioritariamente lavoro: come lo si crea, come lo si qualifica e come lo si difende, come lo si fa diventare centrale nelle politiche economiche.

In questo quadro si innestano anche le vicende politiche come ulteriore elemento di fragilità: la caduta del Governo giallo verde con le note vicende estive e le pulsioni leghiste dei pieni poteri e la nascita di un nuovo Governo che ha dovuto gestire una legge di bilancio già gravata ab origine da una zavorra pesante legata alla neutralizzazione delle clausole di salvaguardia, pena l’aumento dell’Imposta sul valore aggiunto con effetti regressivi sul versante dei consumi e quindi delle condizioni materiali dei cittadini.

In questo quadro indubbiamente non facile, Cgil insieme a Cisl e Uil hanno continuato a chiedere una radicale inversione di tendenza delle politiche economiche i cui fondamentali pilastri erano e continuano ad essere: abbassamento dell’imposizione tributaria su lavoratori e pensionati, investimenti pubblici quale leva per gli investimenti privati finalizzati alla sostenibilità ambientale sociale e all’infrastrutturazione materiale e immateriale del Paese, risposta ai divari e alle disuguaglianze territoriali e sociali e rafforzamento delle reti pubbliche di cittadinanza.

Su queste priorità si è avviato un confronto preventivo con il Governo sulle misure da introdurre in legge di bilancio. Sul metodo si è determinato un forte elemento di discontinuità non solo con il precedente governo ma con gran parte degli esecutivi che si sono succeduti negli ultimi vent’anni. Dopo anni – molti – in cui è prevalsa la pratica della disintermediazione, che sottintendeva alla logica dell’esclusione del lavoro e della sua rappresentanza dall’agenda economica del Paese, le Organizzazioni di rappresentanza sindacale hanno avuto la possibilità di portare le proprie priorità. La legge di bilancio, che recepisce una parte delle nostre richieste, indica una direzione giusta, ma allo stesso tempo per la limitatezza delle risorse rischia una scarsa efficacia.

Sul versante fiscale ci sono importanti segnali di cambiamento a partire dalla riduzione dell’imposizione tributaria sui lavoratori (cuneo fiscale) che per quanto ci riguarda è un primo significativo passo, in netta contrapposizione alla Flat tax, da implementare nel 2021 e da collocare in un intervento più generale di riforma fiscale per una  maggiore equità e progressività per i lavoratori e sui pensionati. Così come sono rilevanti le misure di contrasto all’evasione (tracciabilità, incrocio banche-dati, soglia del contante) e allo sfruttamento nelle catena degli appalti e nelle cooperative spurie (art. 4 del decreto fiscale). Abbandonare la lunga stagione dei condoni o misure assimilabili che hanno consentito di cumulare i famosi 109 miliardi di euro di evasione annui, è una scelta di campo. Lo dimostrano le grandi resistenze che queste misure stanno incontrando in parlamento e nel dibattito pubblico. Questo è il paradosso di questa fase del nostro paese: per gli evasori non c’è più una condanna sociale. Per questo continuiamo a chiedere di non modificare quelle norme anzi di rafforzarle ulteriormente perché l’evasione rompe il patto sociale costitutivo del Paese e così lede tutta la nostra dimensione democratica.

E’ sul lato delle politiche di investimento che riteniamo le risorse ancora non sufficienti.  Positivo, dunque, aver cambiato segno, ma lo sforzo non è ancora sufficiente considerando anche la dilazione temporale delle risorse: a oggi, gli investimenti pubblici sono ancora un terzo al di sotto del livello pre-crisi e registrano la dinamica più debole tra tutte le economie industrializzate europee, oltre a essere collocati per la stragrande maggioranza nei prossimi anni.

Oltre a ciò, anche alla luce della gravissima condizione di crisi che continua ad attraversare alcuni settori del nostro sistema industriale, per la Cgil una nuova più generale governance pubblica fondata sul riordino e il coordinamento degli attori istituzionali – finanche istituendo una Agenzia per lo Sviluppo Industriale – rappresenta una condizione necessaria per realizzare gli investimenti e compiere una nuova politica industriale, anche di lungo periodo, a partire dal Mezzogiorno. Solo in questo modo, peraltro, si può governare la transizione ecologica e digitale, nonché diffondere l’innovazione e la sostenibilità in tutto il sistema Paese.

Pur avendo apprezzato l’indicazione delle priorità – “Piano verde”, Sud – e il rifinanziamento di alcune misure sulla digitalizzazione e aver evitato tagli sul welfare (sanità e istruzione in primis), crediamo che siamo lontani da imprimere una svolta, a partire da una inversione di tendenza sul versante dell’infrastrutturazione materiale e sociale, della messa in sicurezza del territorio. Infine, riteniamo mancanti o insufficienti alcune misure che guardano alla condizione di chi rappresentiamo: le risorse sui contratti pubblici pur se incrementate non consentono di dare attuazione a tutti gli istituti contrattuali, così come riscontriamo la mancanza di un piano straordinario di assunzioni pubbliche e per quanto riguarda i pensionati, pur avendo riaperto la possibilità della rivalutazione bloccata nella precedente Legge di Bilancio, non ci sono misure significative che guardino alla loro condizione, a partire da un intervento fiscale analogo a quello sul lavoro e da una legge quadro sulla non autosufficienza che chiediamo venga inserita quale collegato al presente Disegno di legge.

Infine crediamo che i temi a nostro parere prioritari non possano che trovare soluzione ed essere inquadrati in un programma pluriennale di misure: rigettiamo la logica della bacchetta magica o del Fenomeno che risolve tutti i problemi, logica che purtroppo spesso ha accompagnato la vita politica di questo paese. Per questa ragione è importante proseguire nel confronto che si è avviato e soprattutto evitare la polemica politica quotidiana. Dare risposte ad un paese che sta arretrando, collocare il lavoro e la sua valorizzazione al centro, rispondere ai bisogni primari dei cittadini queste sono le urgenze che chiamano in causa la classe dirigente nel suo complesso e la sua capacità in un momento di difficoltà di fare sistema e pensare al bene collettivo e non alle singole convenienze.

L’autrice è vicesegretaria generale della Cgil

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