Ecco i vincitori e i vinti della tornata elettorale del 20 e 21 settembre (comunali, regionali, referendum). Può sembrare strano, ma la conferma dei governatori uscenti è una bella notizia anche per un noto politico d’oltreoceano…  

Pd – 3-3 e palla al centro
Zingaretti può tirare un sospiro di sollievo. Il temuto 5-1, quando i pronostici davano il solo De Luca a tenere alte le sorti progressiste, si è rivelato un rassicurante 3-3. Il Pd conferma i governatori uscenti in Campania e Puglia ma soprattutto non perde la Toscana, importante banco di prova di questa tornata elettorale. La sconfitta (annunciata) nelle Marche, regione in cui per mezzo secolo ha vinto il centrosinistra, è stata invece annacquata dal successo nel referendum. L’affermazione del Sì, insieme al risultato nelle regioni, rafforza anche il premier Conte, che senza il minimo sforzo raccoglie tutti i frutti del risultato delle urne. Tornando al voto nelle regioni: il Pd ha tenuto botta ed è il partito che ha incassato più consenso. È vero, bisogna considerare il gran peso delle liste collegate ai candidati presidenti, ma è anche ovvio come non sia possibile ricondurre tutte le preferenze della lista di Zaia alla Lega, per fare un esempio tutt’altro che casuale. Inoltre Calenda e Renzi non sembrano togliere elettorato al Pd, anzi appaiono in grossa difficoltà, e oggi sono quotati entrambi intorno al 3%, a rischio scomparsa in caso di sbarramento al 5%. Infine, una considerazione sul referendum: nelle grandi città le zone più centrali, e quindi più ricche, si sono espresse per il No. Ergo, il Pd, che si è esposto a favore del Sì, è tornato a “sintonizzarsi” con le periferie, un evento che non accadeva da tempo. Forse è una forzatura, ma è un dato che non trascurerei.

Lega – I guai di Salvini
Il partito di Salvini sognava di ripetere in Toscana, con la Ceccardi, il successo ottenuto dalla Tesei in Umbria, e conquistare, con il verde misto al rosa, un’altra regione rossa per eccellenza. La missione è fallita, e l’ex ministro dell’Interno si è trovato, obtorto collo, ad esultare solo per la vittoria di Zaia, che in Veneto l’ha umiliato triplicando con la propria lista i voti ottenuti dalla Lega. Altro che leader della coalizione di centrodestra! Salvini deve fare i conti, in casa, con l’ala moderata del partito, rappresentata da due pezzi grossi come Giorgetti e lo stesso Zaia. Al Parlamento europeo, invece, lo stanno convincendo, suo malgrado, a fare una svolta europeista: abbandonare Marine Le Pen, fare un doppio salto e collocarsi nel Gruppo dei Popolari, di fatto depotenziando i temi nazionalisti e sovranisti della Lega. E per Salvini i problemi non sono finiti, e sono guai giudiziari: dopo l’autorizzazione a procedere votata dal Senato per l’inchiesta Open Arms, il tribunale dei ministri ha consegnato le carte del procedimento alla Procura di Palermo. Dopo Catania, quindi, anche nel capoluogo siciliano si avvicina il momento del processo per il leader della Lega.

M5S – Salvati dal referendum
Se non fosse per l’esito del referendum, il Movimento 5 Stelle sarebbe il vero perdente della due giorni di voto. Ad ogni tornata elettorale il Movimento fa registrare una pericolosa e significativa emorragia di voti, un calo che appare inarrestabile. Nelle sei regioni del voto, rispetto alle Europee di un anno fa, il M5S ha perso 7 elettori su 10, oltre 1 milione e 200 mila voti. Numeri davvero impressionanti! Se ne sono accorti anche i grillini, che stanno ragionando su una riforma del Movimento. Ma più che abolire il capo politico, celebrare gli Stati Generali, o ripensare il ruolo della piattaforma Rousseau, è bene che si tengano in dovuta considerazione le “incoerenze” del M5S. A tal proposito la lettura della rubrica Buongiorno de “La Stampa” di qualche giorno fa, a firma di Mattia Feltri, è illuminante.

FdI – Partito in crescita, ma leadership ancora lontana
Il partito della Meloni può davvero vantarsi di essere uno dei vincitori di queste elezioni? Forse nelle Marche, dove passando dal 6% al 19% ha trainato l’affermazione del candidato Acquaroli, tra l’altro molto chiacchierato per le sue (discutibili) simpatie politiche. Di certo ha fallito in Puglia: davvero pensava di poter far digerire all’elettorato leghista una “minestra riscaldata” come Fitto? Nel complesso FdI cresce ovunque, in Toscana è al 15% e insieme al centrodestra, non dimentichiamolo, oggi governa in 15 regioni su 20. Ma se la Meloni attendeva l’esito delle urne per dare la spallata definitiva a Salvini e mettere una seria ipoteca sulla leadership del centrodestra, sicuramente sarà rimasta delusa.

Forza Italia – Berlusconi non molla e rilancia
Chi l’avrebbe detto? Nonostante le sue vicissitudini personali, Berlusconi può dirsi soddisfatto del voto. Forza Italia perde ovunque, il suo candidato Caldoro le busca sonoramente da De Luca, ma a detta dei maggiori analisti politici il 6,8%, che oggi le è attribuito, sarebbe determinante per costruire una maggioranza di centrodestra. E questo con qualsiasi sistema elettorale, sia quello attuale che il Germanicum. Insomma, Silvio dopo Craxi sembra essere il nuovo ago della bilancia. E qualcuno rivela che il Cavaliere sia fortemente interessato a sostituire Mattarella alla fine del settennato. Al Quirinale sono avvisati…

L’effetto-Covid sulla conferma dei 4 governatori
Il consenso riservato ai 4 governatori confermati alla guida delle rispettive regioni (Liguria, Veneto, Campania, Puglia) non è un dato trascurabile. La vittoria di Zaia, ad esempio, va oltre il consenso alla sua persona. È la volontà dell’elettorato leghista di spostare l’attenzione dagli sbarchi e dal problema-immigrazione e di concentrare di nuovo l’azione politica della Lega sui temi più cari al popolo di Pontida, come il federalismo e l’autonomia. Quello per Zaia è un consenso trasversale, indiscusso, andato oltre la competizione per la conquista di Palazzo Balbi: ne sa qualcosa il candidato sindaco di Venezia, Pier Paolo Baretta. L’esponente del Pd, sottosegretario al Mef, è stato autore di una formidabile rimonta nella città lagunare, con una campagna elettorale impeccabile all’insegna dei contenuti, delle proposte, del pragmatismo, del confronto con e tra la gente. Brugnaro pensava di vivere di rendita, di avere vita facile, ma se ha vinto al primo turno, con il 54% delle preferenze, è solo grazie all’effetto-Zaia, significativo anche alle Comunali in Laguna. Un sostegno determinante, perché in caso di ballottaggio nessuno può dire come sarebbe andata a finire. Ma torniamo ai 4 che hanno bissato il successo di 5 anni fa: hanno storie personali e politiche diverse, hanno agito in contesti molto differenti, hanno personalizzato il proprio modo di amministrare. C’è un filo rosso, però, che li lega: la conferma di quanto il governo del territorio incida sui flussi di voto. In tutti e 4 i casi, infatti, i cittadini non hanno voluto rischiare, sono andati “sull’usato sicuro” piuttosto che su un volto nuovo, ma ricco di incognite. E c’è un ulteriore elemento che non va sottovalutato: l’emergenza legata alla pandemia ha sicuramente rafforzato la connessione tra i cittadini e chi li amministra, favorendo i 4 presidenti uscenti. Nella peggiore crisi nazionale del Dopoguerra, insomma, gli elettori hanno rinnovato la fiducia nei confronti di chi già li amministrava, preferendo la stabilità e la continuità. Come ha spiegato il politologo Paolo Feltrin intervistato dal Fatto Quotidiano, “ovunque è cresciuto il consenso verso governanti, capo mondiali, responsabili di un esecutivo. Anche il voto in Veneto va considerato come una Festa del Ringraziamento nei confronti di chi ha fatto il miracolo, visto che gli italiani se la sono cavata meglio di altri. Gli elettori non hanno votato una parte politica, ma hanno manifestato l’adesione a una comunità che è scampata a un pericolo massimo. La campagna elettorale si è giocata ovunque sul Covid”.

L’asso nella manica di Trump
È per i motivi qui sopra esposti che il voto delle regionali, che ha confermato i 4 governatori uscenti, sorride a Donald Trump. Negli ultimi 40 anni, a parte Carter e Bush padre, battuti dopo 4 anni da Reagan e Clinton, i presidenti uscenti sono sempre stati confermati: oltre ai già citati Reagan e Clinton anche Bush figlio e Obama. E Trump? I sondaggi lo danno in difficoltà rispetto al candidato democratico Biden, avanti di ben 7 punti. Ma in pochi credono davvero ad una sua resa. I più ritengono che Trump, di fronte a una emergenza nazionale come quella dell’11 settembre 2001, si appellerà all’unità nazionale. Negli States, la nazione più colpita al mondo dalla pandemia, ad oggi il virus ha provocato la morte di oltre 200 mila persone. Per superare un altro momento tragico e difficile per gli americani, non è escluso che il presidente uscente possa tirare fuori dal cilindro provvedimenti anti-Covid che accontentino un po’ tutti, appellandosi al senso di comunità e all’importanza di restare uniti. Se servirà a qualcosa, lo scopriremo dopo il 3 novembre.     

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