Ci sarà molto da analizzare di questo voto, ma converrà farlo dentro una analisi della società italiana e dei suoi mutamenti che è mancata non solo in questa campagna elettorale, ma negli ultimi anni; soprattutto nel centro sinistra, di cui questo risultato elettorale è l’esito. Avviamoci, quindi, a questa riflessione più strutturale individuando a caldo alcune prime caratteristiche che le urne ci consegnano.
Ormai da un decennio conviviamo con una mobilità del voto clamorosa, mai vista prima e alla quale non ci siamo ancora abituati, che innalza e abbatte le forze politiche e i loro leader (soprattutto quelli del PD!) con una rapidità impressionante e che rende difficile progettare politiche stabili di governo.
Non da oggi, l’Italia è divisa in due blocchi, centro destra e centro sinistra, che se la giocano per pochi punti nell’ultimo decile e la maggioranza parlamentare oscilla a seconda della affluenza (10 punti in meno sono tanti!) e viene definita, più che dai voti reali, dai collegi uninominali di questa pessima legge elettorale. Insomma, il centro destra vince non perché sfonda sul centro sinistra, ma perché è unito; il centro sinistra perde perché è diviso.
Dentro questa inconfutabile evidenza emergono delle complessità e delle contraddizioni con le quali fare i conti.
La prima contraddizione è insita nel risultato stesso: FdI vince nonostante la fiamma nel simbolo, perché si mangia la Lega; il PD tiene rispetto alle scorse elezioni, ma, poiché non incassa l’avanzamento atteso (perché eroso da 5 Stelle e dai centristi), questa stabilità diventa sconfitta; i 5 Stelle dimezzano i voti, ma vanno meno peggio di quanto previsto, quindi il loro si trasforma in un risultato positivo; un ipotetico terzo polo, nato per caso, risucchia voti di qua e di là, ma meno di quanti ne voleva e, comunque, si prende un po’ di spazio, ma non utile al risultato generale del campo in cui dichiara di collocarsi. C’è, quindi, una lettura congiunturale del risultato che lo estranea da una prospettiva temporale di medio periodo. È comprensibile che sia così, ma il rischio è che la mancanza di prospettiva renda più traumatiche le scelte e più effimere le analisi.
La seconda contraddizione è tutta politica. Si affermano i partiti più ostili al governo Draghi: Meloni è sempre stata all’opposizione; Conte lo ha fatto cadere; pagano pegno quelli che convintamente (il PD) o obtorto collo (la Lega) lo hanno sostenuto e non sfondano quelli che lo hanno evocato anche in campagna elettorale (Calenda). Eppure, sino alla sua caduta il governo Draghi sembrava essere il migliore che avevamo e sembrava godere di ampia fiducia tra gli italiani. Al Meeting di Rimini sono stati applauditi sia Draghi che Meloni.
Ma, alla prova del voto, l’agenda Draghi non ha entusiasmato per niente. Eppure, tra poche settimane il nuovo governo avrà davanti a sé gli stessi problemi che quello vecchio lascia e i nodi dell’inflazione, delle bollette, degli approvvigionamenti, del reddito, del lavoro, del debito pubblico, della pandemia non ancora definitivamente sconfitta, si dovranno misurare con le dure compatibilità, la cui prima prova del fuoco sarà la legge di bilancio. Sappiamo da tempo che vincere le elezioni e governare sono due approcci diversi. È come se l’elettore avesse chiaro questo aspetto e sapesse che chi vince le elezioni dovrà fare scelte complicate, ma che non spetta a chi vota farsene carico. A chi vota tocca scegliere chi lo convince di più sulla base di promesse che in parte saranno comunque deluse. Ma intanto…
La terza contraddizione è sociologica. L’interpretazione degli elettori non coincide più con le categorie politiche ancora in voga. Se è vero, come è vero, che il 26% degli italiani che hanno votato FdI non possono definirsi fascisti e, quindi, il loro voto a FdI prescinde dalla storia e dai simboli, vuol dire che la tradizionale accezione “destra” è molto meno ideologica di quanto si pensi. Al tempo stesso non si può dire che il voto ai 5 Stelle sia un voto di sinistra; semmai ciò vuol dire che la “sinistra” non è più tale nella coscienza collettiva. Non siamo oltre la destra e la sinistra, siamo oltre la identificazione che queste due collocazioni hanno ancora nel dibattito politico e da qui bisogna ripartire.
Lo stesso polo di centro non coincide con l’idea di moderatismo abitualmente utilizzata come il “luogo” nel quale si decide la vittoria. Infatti, vincono FdI e 5 Stelle, due forze estreme, radicali, davvero alternative, fino a poco tempo fa, addirittura al “Sistema”.
Tutto ciò significa che è cambiata la società, che i bisogni, le aspettative, le domande non sono riconducibili negli schemi ideologici o culturali tradizionali. Non mi piace questo risultato, ma di fronte ad una disoccupazione irrisolta e alla povertà diffusa, soprattutto al sud, la spinta al voto per il reddito di cittadinanza non può essere letta solo come una opzione di comodo, visto che è rimasta la risposta più convincente, ancorché sbagliata nei suoi eccessi, senza alternative credibili e percepite. Così come non c’è una volontà eversiva o fascista nella scelta dei piccoli imprenditori che di fronte alla bolletta energetica, pesante quanto la pandemia per la tenuta delle loro imprese, delusi dalla Lega, hanno guardato a Meloni. E così via. Sono tutte argomentazioni opinabili, ma resta il fatto che l’insoddisfazione generale per la fase storico politica che attraversiamo rende molto più urgente chiedersi quale sia la prospettiva, soprattutto per chi ha perso.
Per la maggioranza il compito è chiaro: governare. Non sarà facile, ma tocca a loro. Per l’opposizione si apre un’alternativa secca: o la conferma della attuale divisione e ognuno per conto proprio o la apertura di un nuovo cantiere insieme. Ma sono davvero in alternativa queste due strade? Non credo.
Che ciascuno dei partiti che non andranno al governo abbia la necessità di ridefinire una propria fisionomia è inevitabile. Letta ha parlato di “nuovo” PD e ha annunciato di voler passare la mano ad una generazione più giovane; purtroppo è un modo corretto e serio di affrontare la crisi, a patto che nel Pd si riconosca che la responsabilità di questa situazione è ben condivisa dall’intero gruppo dirigente e che si capisca che il destino inesorabile del Pd, pena la sua estinzione, è far convivere anime diverse. Renzi fallì quando tentò di farlo diventare un partito a egemonia moderata; D’Alema falli quando volle farlo diventare un partito a egemonia di sinistra. Credo che stavolta non ci saranno tante ulteriori possibilità di appello.
Mentre questa ricerca avviene, nelle aule parlamentari si porrà immediatamente il problema di come gestire l’opposizione alle scelte del centro destra e sarà inevitabile lavorare insieme agli altri partiti. Basta non rifare l’errore che ha portato a questo risultato. Per riprovare a ricostruire un terreno comune, che sarà obbligato, ci vorrà del tempo e dovranno smaltirsi rancori e non serviranno reciproche promesse di matrimonio (le cosiddette alleanze strategiche di Bettiniana memoria). Basta cercare risposte comuni sui problemi e darsi, intanto, come obiettivo di provare a votare insieme il più possibile. Niente più di una buona opposizione favorisce relazioni e condivisioni che una politica di governo può rendere divisive.
Pierpaolo, Ciao
Ti leggo sempre con attenzione perché ammiro la tua lucidità analitica. Capisco il tuo commento post voto, molto appropriato per un dirigente del PD, ma spero che nelle sedi deputate il tuo contributo possa essere profondamente critico, perché credo che solo con una revisione profonda, strategica (non tattica) e senza alibi (tutta colpa del Segretario, cambiano Segretario!) il PD possa uscire da questa crisi di rappresentanza. Conto su di te per non morire “meloniano”. Grazie Patrizio
Mandare a scuola chi non sa cosa sia la legge elettorale…..
Ha vinto chi agita la paura per vendere sicurezza…..
Ha perso chi presenta un passato che non vede futuro……
Basta col gioco di rimessa. È perdente.!!!
CONDIVIDO L’ANALISI DI PIER PAOLO E AGGIUNGO CHE OGGI PIU’ CHE MAI ABBIAMO BISOGNO DI FAR EVOLVERE IL PD IN UN SOGGETTO DOVE LE DIVERSE ANIME SI SENTONO PARTECIPI DI UN PROGETTO CONDIVISO.
IN QUESTO PERCORSO NON AIUTA CHI OGNI SANTO GIORNO ALIMENTA CONTRASTI E DIVERGENZE ED E’ MALATO DI EGOCENTRISMO.
MI AUSPICO CHE IL RINNOVAMENTO NEL PD FAVORISCA L’AFFERMAZIONE DI UN NUOVO GRUPPO DIRIGENTE CHE SIA IN GRADO DI FEDERARE LE VARIE ANIME DEL CENTRO SINISTRA , ANDANDO ANCHE OLTRE AL PD, PER GUARDARE PIU’ ALLA SOCIETA’ REALE CHE AGLI ASSETTI PARTITICI.
OCCORRE MOLTA UMILTA’ E NON ESISTONO RICETTE RISOLUTIVE MIRACOLOSE , NON E’ IL CASO DI DEPRIMERSI PERCHE’ NON E’ STATA UNA DISFATTA IN TERMINI DI RISULTATO ELETTORALE MA E’ STATO UN DISASTRO DI STRATEGIA POLITICA NEL SENSO CHE IL CAMPO LARGO TANTO AUSPICATO NON SI E’ CONCRETIZZATO.
SE SAREMO IN GRADO, RIPETO, DI FEDERARE E NON ULTERIORMENTE DI ALIMENTARE DIVISIONI IL CAMPO AVREMO SUCCESSO E IL GOVERNO DI DESTRA DURERA’ POCO…
ORA COME IERI SERVONO DIRIGENTI ALL’ALTEZZA DI QUESTO COMPITO E IL PERCORSO DI ENRICO LETTA CHE SIGNORILIMENTE E GIUSTAMENTE C’HA INDICATO PUO’ ESSERE INCARNATO SOLO CON UNA VISIONE STRATEGICA DI NUOVA APERTURA ALLA SOCIETA’ NUOVA