Le spese militari di tutti i governi del mondo stanno aumentando, e sono in tutte le agende internazionali a dispetto della incapacità di indirizzare fondi per la prevenzione e mitigazione della crisi climatica. Ogni dollaro speso per l’acquisto delle armi aumenta le emissioni di gas serra e devia l’attenzione da quella che oggi è la più grande minaccia esistenziale per l’umanità. La domanda che nasce è: come mai di fronte alla reale esperienza delle devastazioni e dei pericolosi impatti a cui la crisi climatica ogni anno ci espone, a noi spaventa di più la guerra tanto da registrare gli aumenti in spese militari? La risposta potrebbe essere che noi esseri umani possiamo fronteggiare un grave pericolo alla volta, e diamo importanza a quello più vicino a noi e, più mediatizzato: insomma è sempre una questione di come si raccontano le cose e quanto tempo si dedica a raccontarle! Le televisioni e la carta stampata mondiale lo sanno bene.
Se si disegnasse una traiettoria delle le spese militari e delle emissioni di gas serra si scoprirebbe che sono nello stesso punto critico della stessa traiettoria verso la rovina, è come mettere benzina sul fuoco del cambiamento climatico. Tanto la spesa militare cresce e si allarga globalmente, tanto poco si trovano risorse per affrontare il tema climatico. Tra il 2013 e il 2021 sono stati spesi 9,45 trilioni di dollari in spese militari, con un aumento complessivo, dal 2013, del 21,3%. I Paesi più ricchi stanno spendendo 30 volte in più per le armi di quanto non spendano per attivare una seria finanza climatica che sia di aiuto a loro stessi oltre che ai Paesi più vulnerabili: in ordine di magnitudo sia di spesa che di emissioni, ci sono Cina, Russia, Regno Unito, Francia, Giappone, Germania, ma non se la cavano male in spesa militare nemmeno Arabia Saudita, India e Sud Corea. La spesa militare di un anno da parte dei Paesi sopra menzionati, pagherebbe i finanziamenti internazionali per il clima per 15 anni.
La coscienza ogni tanto rimorde e, così alcuni Paesi si vantano di dire di avere basi militari che vanno ad energia rinnovabile, con pannelli solari, o della sostituzione di armamenti tecnologici senza alimentazione fossile: è più una montatura al limite del pubblicitario che reale sostanza, però! Le spese militari, le armi, la guerra non sono green e lo stiamo vedendo nel conflitto in atto in Ucraina. Il dominio militare non può essere compromesso per affrontare il cambiamento climatico, questo pare essere ormai chiaro in diversi piani di sicurezza nazionale.
Quando si tratta di obiettivi militari e relativi budget (gli Stati Uniti per il 2023 hanno approvato un budget militare record di 840 miliardi di dollari; la Commissione Europea prevede un aumento della spesa da parte
dei suoi Stati Membri di almeno 200 miliardi di euro), gli obiettivi climatici sono presto buttati fuori da ogni agenda, perdono qualsiasi priorità e altri panorami sul collasso climatico si aprono. Ovviamente non tutti gli armamenti servono per la guerra in Ucraina, molte armi sono esportate dai Paesi più ricchi verso altri Paesi alimentando conflitti: c’è un delirio in atto poiché molti dei paesi che ricevono e comprano armi hanno regimi totalitari, di solito, e sono pure climaticamente vulnerabili come, per esempio Repubblica Centroafricana, Somalia, Sudan, Yemen, Zimbabwe, ma non dimentichiamo l’Egitto, che a sua volta compra armi (da Russia 41%, Francia 21%, Italia 15%) e che ha recentemente ospitato il vertice annuale sul clima COP27, pur non brillando né per piani di efficienza climatica (ma come avrebbe potuto visto che i soldi finiscono in armi?), né per l’aperta repressione degli attivisti per il clima e la democrazia durante il periodo del COP27.
Anche questo summit climatico, sebbene nel solco della consapevolezza crescente dell’immediatezza della crisi climatica, si è pericolosamente concluso senza prese di posizione, senza ambizioni e azioni significative. La guerra ancora in atto in Ucraina e la corsa agli armamenti non aiutano a decarbonizzare, anzi stanno rallentando le azioni necessarie per affrontare i punti critici planetari. Al contrario della guerra e della corsa agli armamenti, porre l’attenzione all’ambiente e al clima è, in realtà, un antidoto potente contro i rischi di fallimento della democrazia, contro ogni regime autocratico, perché i modelli organizzativi basati sulla transizione ecologica possono essere in grado di gestire i beni comuni, dagli ecosistemi a quelli umani, servendosi di alleanze tra le forze sociali, imprenditoriali e le forze politiche. Non esisterà nazione sicura senza un Pianeta messo al sicuro.