La campagna elettorale “balneare”, in vista del voto del 25 settembre, è un unicum nella storia della nostra Repubblica.
Nulla è scontato, viste le tantissime variabili, ma molte sono le preoccupazioni: economiche, sociali e politiche, che la caduta del governo Draghi lascia irrisolte.
In questo momento generale di transizione abbiamo bisogno, più che mai, che il Paese sia guidato in modo autorevole, serio, competente. Le persone e le famiglie si attendono una lotta alla inflazione decisa; una risposta efficace al disagio sociale e alle disuguaglianze;
una tutela generalizzata dell’ambiente, una solida prospettiva europea.
La posta in gioco è alta; nessuno può sentirsi estraneo e noi, ReS, per la nostra storia e il nostro impegno civico ci saremo.
È nota la nostra collocazione di centrosinistra e in quel campo porteremo il nostro contributo di idee e proposte.
Ma, come è nel nostro modo di essere e di fare politica, lo faremo sui contenuti, garantendo, in questo sito, uno spazio aperto a tutti; ospitando coloro che, in chiave costruttiva e dialettica, vorranno dire la loro: politici (o aspiranti tali!), economisti, politologi, cittadini.
Si preannuncia una campagna elettorale dura e agguerrita, senza esclusione di colpi. Noi, a nostro modo, ci saremo!
Apriamo questo spazio con una riflessione di Pier Paolo Baretta, presidente dell’associazione.
Buona lettura!
Da una soluzione onorevole e praticabile della crisi di governo siamo rapidamente passati, in poche ore, ad un cupio dissolvi collettivo che ha portato allo scioglimento anticipato delle Camere.
Come è stato possibile che una classe dirigente cosciente della posta in gioco e delle conseguenze che ne sarebbero derivate sia riuscita in questa clamorosa impresa?
Quel mercoledì al Senato hanno fatto autocombustione cause che covavano da tempo: il calcolo elettorale dei partiti; la “caparbietà” di Draghi; l’assenza di una regia politica.
La anomala maggioranza di unità nazionale che sosteneva Draghi ha retto discretamente fino a che ha dovuto gestire una agenda di pura emergenza: il contrasto alla pandemia più acuta; la necessità di garantire il PNRR; lo scoppio della guerra russo-ucraina.
Quando la tensione dell’ emergenza si è, via via, attenuata (il Covid c’è ancora, ma non presenta più i rischi di un anno e mezzo fa; i soldi da Bruxelles sembrano assicurati e la guerra lampo si è impantanata e non sta nemmeno più nei titoli di prima pagina), il calcolo politico ha preso il sopravvento.
Le elezioni ormai incombevano (questioni di mesi) sicché, da un lato, i partiti più in crisi di consensi (5S e Lega) hanno temuto di arrivare alla primavera prossima troppo logorati da questa compressa coesistenza; dall’altro, la rampante Meloni ha visto la opportunità di raccogliere, il più presto possibile, l’onda positiva.
Questi calcoli hanno provocato un crescente progressivo smottamento, che ha portato al corto circuito che ha sancito la fine del governo e della legislatura, in un clima di confusione ben rappresentata dalla modalità del “voto non voto” con la quale è stato “suicidato” Draghi.
Se non vogliamo però accontentarci della cronaca, che si sofferma sugli errori tattici o strategici dei partiti, sui risentimenti o le vendette personali e le convenienze che hanno ispirato i comportamenti dei leader – tutti aspetti, sia chiaro, che fanno parte di quanto è successo – forse una ragione politica profonda andrebbe ricavata da questa esperienza.
Ed è proprio che, in democrazia, la unità nazionale va utilizzata esclusivamente per affrontare le emergenze più gravi e per lo stretto periodo necessario; ma non è la soluzione istituzionale adatta a fare le riforme.
Le differenti visioni economiche, sociali, ambientali, di collocazione internazionale, che costituiscono le identità delle forze politiche, e sono l’essenza del confronto democratico, sono comprimibili, possono essere accantonate per poco, solo di fronte ad una drammaticità universalmente riconosciuta (la pandemia, appunto; una guerra nella quale si è direttamente coinvolti…).
Il precedente del governo Monti aveva già reso evidente ciò. Ma in politica i precedenti non fanno giurisprudenza!
Dal punto di vista economico-sociale siamo certamente ancora in emergenza, ma non tale da giustificare un governo “di salute pubblica”. Anche dal punto di vista politico certamente siamo in emergenza (due maggioranze opposte e un governo di unità nazionale, in quattro anni); ma non possiamo considerarci in una emergenza istituzionale; perché a rendere “normale” la fase politica è proprio l’imminenza (che ovviamente nessuno ha mai pensato di sospendere…) della più normale ed importante scadenza democratica: le elezioni politiche!
Per questo si può sostenere, se vogliamo col senno di poi, ma non è una giustificazione, che qualche campanello d’allarme c’era stato: penso alla discussione sui balneari, sui tassisti, sullo ius scholae; nonché dalla scissione di Di Maio (motivata per ragioni di collocazione internazionale) e, non da ultimo, dalla evidente incapacità di cambiare la legge elettorale. Ed è questo il motivo che ha indotto Berlusconi a mettere nel conto la uscita di personalità di primissimo piano, pur di non perdere la possibilità di contrattare con Meloni e Salvini sui collegi uninominali.
Che Draghi ci abbia messo del suo è evidente, Non nei termini quasi offensivi con i quali ha descritto l’esito della vicenda Berlusconi, ma nelle caratteristiche proprie del personaggio.
Draghi ha fatto al Senato un discorso di apertura molto bello, pulito, netto nei contenuti, senza sconti per nessuno. E questa è, appunto, la sua forza e la sua debolezza. Sta nel carattere della persona, nell’orgoglio del lavoro fatto, nella risposta alle polemiche dei giorni precedenti, nella indicazione esplicita di una strada di innovazione. Anche le ultime frasi, sia pure dette con toni non propriamente diplomatici verso i partiti (“non dovete dirlo a me, ma agli italiani!) erano una apertura a continuare.
Dopodiché egli ha lasciato, per il resto della giornata, il campo ai “politici”, in attesa dell’esito. Non risulta che abbia sviluppato il lavorio, tipico di quei frangenti, per smussare… “sopire, troncare”.
E’ un limite? Forse sì; ma questo è l’uomo. Che, però, era lo stesso nel momento in cui i partiti hanno scelto, un anno e mezzo fa, di dargli la fiducia. Sapevano con chi avevano a che fare, quali sono le sue capacità e le sue… spigolosità. Quindi sono del tutto fuori luogo i commenti che lo criticano rimproverandogli di non essere diverso da come è.
E’ pur sempre il cuore di un banchiere centrale quello che pulsa nel suo petto, come egli ha detto accomiatandosi dal Parlamento. Lo ha detto per replicare con ironia ad una battuta, ma, volente o meno, ha espresso chiaramente tutto ciò.
Draghi era la persona giusta per guidare il Paese e perderlo è un grave danno, superiore alle caparbietà soggettive.
Ma, anche qui, per dare un senso ad una storia che sembra non averne, il problema non è la psicologia del Presidente, ma i contenuti del suo programma a determinare la fine del suo governo. Un programma obbligatoriamente divisivo. Le innovazioni giuridico amministrative non piacciono a tutti e i contenuti sociali sono insufficienti per altri.
Ecco perché non ha senso, in campagna elettorale, parlare di agenda Draghi, dividendosi tra favorevoli e contrari. Il punto, per il Paese, è esattamente quello che ha portato alla crisi: come conciliare , tenere insieme, perseguire una politica di riforme liberali, necessarie e coerenti con gli obiettivi di transizione ambientale e digitale del PNRR, con la contemporanea necessità di rispondere alle crescenti condizioni di difficoltà sociali delle famiglie a causa di una inflazione fuori controllo.
In questo contesto, ciò che è apparso clamorosamente evidente nel corso del caotico evolversi della giornata nera di palazzo Madama è la totale assenza di una regia politica che tenesse le briglia dell’imbizzarrimento generale. Ma anche qui il problema era già da tempo evidente: lo scontro tra i partiti era ormai prevalso sulla collaborazione e, di conseguenza, nessuno dei leader era legittimato a fare di più di quanto gli prescrivesse la propria rappresentanza. Di Draghi si è detto: è un attore protagonista, non un regista. L’unico vero regista di cui il Paese dispone è Sergio Mattarella, che, però, era al momento istituzionalmente fuori gioco; pronto ad intervenire, come ha fatto, non solo per prendere la decisione più difficile, ma anche per stabilire, con il suo intervento, quando ha annunciato lo scioglimento delle Camere, la vera agenda politica dei prossimi mesi.
Il fatto che gli eventi si siano svolti senza un luogo, una persona, un gruppo, in grado di tenere insieme la trama e di condurla verso un esito, rappresenta un serio problema anche per il futuro. Se è vero, infatti, quanto abbiamo affermato all’inizio, che c’è una soglia oltre la quale è impossibile tenere tutti dentro lo stesso recinto, è altrettanto vero che, anche nella competizione, nello scontro, un “mossiere” che tenga il canapo fino al via ci vuole. Toccava a Draghi in quanto premier o toccava ai segretari dei partiti? Draghi ci ha rinunciato e Letta ci si è dedicato; ma, essendo uno dei corridori del Palio (per restare nell’esempio senese, peraltro a lui consono) e non il mossiere, aveva bisogno che anche gli altri fantini condividessero che corsa fare…
Ma ormai siamo oltre… e, proprio come in piazza del Campo, la corsa è partita senza preavviso e di slancio. Ma, assegnato il Palio e distribuiti i premi, il problema si porrà di nuovo; perché, quale che sia l’esito del voto, anche la transizione politica, come le altre, è ben lungi dall’essere compiuta… Pertanto, a futura (neanche troppo) memoria, è bene ricordarsi che il problema esiste ed è irrisolto.
QUESTA CRISI CREA ANSIA E SCONCERTO PER COME IN POCHI GIORNI SIAMO PRECIPITATI IN QUESTO CLIMA DI INCERTEZZA ISTITUZIONALE.
LA CAMPAGNA ELETTORALE RISCHIA DA BEL GIOCO DEMOCRATICO DI DIVENTARE PIENA DI TATTICISMI E SENZA ESCLUSIONE DI COLPI.
L’ACCOSTAMENTO AL PALIO DI SIENA DI PPB PER COME SI E’ GENERATA LA CRISI E’ AZZECCATA MA AL PAESE MANCA LA COESIONE E LA COMPLICITA’ DI CUI E’ DOTATA SIENA PUR NELLE CONFLITTUALITA’ BELLIGERANTI DELLE CONTRADE.
STA A NOI CONTRIBUIRE A RICOSTRUIRE UN CLIMA DI FIDUCIA E ORIENTARE IL POPOLO VERSO UNA VISIONE STRATEGICA DI CRESCITA NON SOLO ECONOMICA MA ANCHE SOCIALE.
NON DOBBIAMO LASCIARE AL CENTRODESTRA GLI ARGOMENTI FORTI COME IL LAVORO, LE PENSIONI, LA GESTIONE DELLE GRANDI TRANSIZIONI, LA FAMIGLIA, L’IMMIGRAZIONE, ECC…OCCORRE UNA CAPACITA’ PROPOSITIVA E DI SINTESI SU QUESTI TEMI, ALTRIMENTI LA COSTRUZIONE DEL NS. CAMPO, IL PIU’ AMPIO POSSIBILE, RIMANE STERILE E NON COMPRESA.QUINDI DIREI PIU’ CONTENUTI E PIU’ GIOCO DI SQUADRA IN QUANTO PER VINCERE OCCORRONO PIU’VISIONE , PIU’ COMPLICITA’ EMENO PERSONALISMI E SCHERMAGLIE DI SCHIERAMNETO.
E’ DAVVERO AUSPICABILE QUELLA TRANSIZIONE POLITICA DI CUI PARLA PPB , MA SE LA SFIDA E’ COSI’ ALTA NON E’ FORSE IL TEMPO DI COSTRUIRE UNA CASA CHE VADA OLTRE LE NS. SIGLE E FORSE ANCHE OLTRE IL PD, MAGARI PARTENDO DAL PD,MA APPUNTO PER ANDARE OLTRE ALTRIMENTI PER LA DESTRA CI SONO PRATERIE SCONFINATE SU CUI PASCOLARE A FORZA DEI PROCLAMI POPULISTI CHE SONO GIA’ INIZIATI.
E’ DISGUSTOSO QUESTO DIBATTITO NEL NS. CAMPO CON I DIKTAT OGGI DI CALENDA DOMANI DI RENZI DOPODOMANI DI SPERANZA ECC..MA PARLIAMO DI CONTENUTI E COSTRUIAMO UNA PROPOSTA CREDIBILE E AFFIDABILE TUTTI ASSIEME NON SOLO PER VINCERE MA ANCHE PER GOVERNARE…
A MIO AVVISO C’E’ OGGI LOPPORTUNITA’ DI RESETTARE E DI RICOSTRUIRE MA SERVE VISIONE E SLANCIO…. NON POSSIAMO RIMANERE PRIGIONIERI DEI NS, RECINTI….
LA STRADA CE L’HA DETTA GIA’ IL NS. PRESIDENTE MATTARELLA E CE LA DICE TUTTI I GIORNI PAPA FRANCESCO…STA A NOI CAPIRLA E INTERPRETARLA.
BUONA ESTATE A TUTTI