Il Partito democratico, superando una sua prima fase di vita, sommariamente percepita da molti come una fusione tra cattolici e comunisti, ha vissuto nell’ultimo decennio un ricambio generazionale del suo ceto politico. La nuova dirigenza ha quindi condotto il partito ad assecondare innovazione tecnologica e razionalità del libero mercato, ma anche a perdere in vitalità di riferimento ai cambiamenti e ai costi sociali della globalizzazione e della rivoluzione digitale. Per tempi e vie diverse e per il ricambio degli uomini s’è verificato, così, un drastico arretramento delle principali culture politiche fondanti del Pd, caratterizzate da quel solidarismo e/o antagonismo sociale che avevano sostenuto i grandi partiti popolari del Novecento. Della conclusione di quelle culture occorre oggi prendere atto, non come della semplice fine di un’epoca, ma per cogliere l’eredità di una storia che dia senso a una politica in grado di rispondere al divenire della società.
Non è solo la componente cattolico-democratica ad aver attraversato quel critico passaggio. Prima ancora, furono l’esperienza e la cultura del Pci a essere rimosse, forse senza sufficiente elaborazione, per non dire dell’autoestinta tradizione di un già snaturato socialismo italiano. Come il Pci, la Dc era stata un partito dell’età industriale, fiancheggiato da organizzazioni collaterali di massa insediate nel territorio e proprie di un’economia che stava passando dalla terra alla fabbrica. Nel Novecento la Dc, avvalendosi della pedagogia sociale cattolica, ha governato sviluppo e modernizzazione del Paese, modulandone gli effetti dirompenti su contadini, lavoratori autonomi, operai e ceti impiegatizi, ma anche su intere aree territoriali svantaggiate sotto il profilo economico e delle opportunità culturali. Le donne furono fra i soggetti del consenso popolare di cui poté godere quel partito, essendosi esse organizzate e mobilitate per rivalutare le istanze della famiglia e della vita personale nella ricostruzione postbellica, riequilibrando lo strapotere politico ch’era invalso con il fascismo. I giovani cattolici, interpretando le istanze del futuro, furono ben presenti nella vita pubblica, dalla Liberazione e dalla fase della Costituente fin oltre gli anni Sessanta. La Chiesa, rinnovatasi con il Concilio Vaticano II, prese atto dell’irreversibilità della secolarizzazione, fiduciosa nell’avvento di un nuovo umanesimo, nella modernità, nella laicità dei cristiani e nella forza di un cattolicesimo aperto alla società industriale e a dinamiche e culture che la caratterizzavano.
Il cattolicesimo sociale aveva inciso non come semplice corpus dottrinale della Chiesa ma come movimento etico e prepolitico attivo nelle trasformazioni, a vantaggio politico della Dc, fino alla crisi della coesione sociopolitica del Paese. Venute meno o, meglio, trasformatesi le organizzazioni cattoliche e finito il loro collateralismo democristiano, il binomio “Evangelizzazione e promozione umana”, adottato dalla Conferenza episcopale italiana negli anni Settanta, indicava una nuova via diretta della presenza della Chiesa nella comunità nazionale, più rispettosa dell’autonomia della sfera politica e civile e attenta ai problemi degli strati popolari più colpiti da povertà ed emarginazione. Ne scaturì anche una stagione di nuovi movimenti e gruppi religiosi capaci di agire per una reintegrazione sociale, dati le frammentazioni e i contraccolpi prodotti dalla fine epocale della cosiddetta età dell’oro, ossia della lunga crescita economico-industriale del XX secolo. La Chiesa italiana, sulla spinta del pontificato di Giovanni Paolo II, lanciava poi un proprio progetto culturale, accentuando la linea di una valenza immediata della fede rispetto alle lacerazioni del tessuto valoriale, alle conseguenze estreme della secolarizzazione e alle grandi questioni della bioetica, già poste dalle nuove frontiere della tecnologia. Non v’è dubbio che, ai nostri giorni, la Chiesa e il cattolicesimo hanno perso la centralità del passato e che ogni loro possibilità di costituire un riferimento etico e culturale per qualsivoglia formazione politica non può prescindere dalle condizioni socioreligiose di fatto che ne segnano la crisi e le marcate diversità interne.
La galassia cattolica, accanto alla tradizionale configurazione territoriale delle parrocchie, è composta oggi da movimenti neosacrali e da comunità attive in modi differenziati nella vita civile. Alcuni di questi possono anche cercare proiezioni politiche proprie, perché tentati dalle opportunità di potere offerte dai deficit dei partiti. Altri si prestano a fiancheggiare gruppi politici interessati a fomentare populismi e declinazioni identitarie e conservatrici o anche reazionarie della religione. A queste tendenze il cattolicesimo può esporsi come apparente soluzione all’evanescenza delle relazioni interpersonali indotta dalla tecnologia informatica e dalle nuove forme dell’attività produttiva e della comunicazione di massa. È operante, però, anche un vasto e vitale movimento del solidarismo cristiano, che segue i valori della laicità e della legalità e la cultura dei diritti umani. Un organismo rilevante, pur nella disomogeneità anche religiosa del campo cattolico italiano, è la Caritas, che agisce nella crisi del Welfare, curandosi delle grandi povertà che investono il Paese, e si colloca in un punto cruciale di convergenza tra volontariato e istituzione ecclesiastica. Né vanno dimenticati i gruppi e le associazioni che si attivano come centri di studio e di formazione di ceti intellettuali e classi dirigenti e che hanno generato personale politico e figure culturali di rilievo del cattolicesimo democratico. È finito, però, il tempo dell’organica coesione del mondo cattolico in Italia e della sua conseguente capacità d’incidere sul sistema politico. L’accentuazione che il Pd ha dato ai diritti civili, riferendosi alle identità di genere e alle unioni affettive diverse dalla famiglia tradizionale, indica con chiarezza il ridimensionamento che la Chiesa e la sua dottrina hanno subito come fattori di un’etica condivisa e maggioritaria.
Non è difficile rintracciare, tuttavia, nella cultura dei democratici elementi che hanno caratterizzato il cattolicesimo sociale nella modernità e che possono offrire loro una laica ispirazione per una rinvigorita assunzione di responsabilità. Punti di forza, in questo senso, sono dati dal personalismo cristiano e da quelle libere formazioni comunitarie che, orientate, al tempo stesso, dalla fede e da una cultura della cittadinanza e alimentando solidarismo e partecipazione, contrastano l’individualismo indotto dal dissolversi delle soggettività collettive e degli stessi luoghi dell’organizzazione sociale come l’avevamo conosciuta nel passato. L’impoverimento del lavoro, avvenuto anche a fronte della crescita produttiva, le diseguaglianze, una finanza che diverge dall’economia e dalle sue finalizzazioni umane, la sostenibilità dello sviluppo, la crisi climatica e ambientale, i nuovi e grandi movimenti migratori, le guerre e lo stato dell’ordine mondiale sono tutte questioni che esigono visioni del bene comune, quali quelle che possono essere suggerite e ispirate da una Chiesa “esperta in umanità”, come già l’aveva definita Paolo VI nella Populorum progressio. Un partito, per definizione, non può non assumere nella sua funzione di rappresentanza democratica punti di vista di parti sociali, ancor più quando si tratti di larghi strati popolari. Data, ormai, l’evidenza di diffusi bisogni e istanze di sottoccupati, sottopagati e precari e di chi patisce lo stato della sanità, della scuola e di tutti i servizi necessari alla dignità della vita, il Partito democratico, dopo una lunga fase di esercizio del governo, sollecitato dal grande astensionismo elettorale, è chiamato oggi a riassestare i suoi onnicomprensivi programmi di riavvio del sistema economico, focalizzando e puntando a compensare gli squilibri sociali che ne sono derivati.
È significativo che due delle parole chiave che titolavano l’ultima Assemblea nazionale del Pd, “persone” e “comunità”, rimandino al cattolicesimo sociale, come si ritrova riflesso in parti importanti della Carta costituzionale, e che la terza parola, “pianeta”, richiami la dimensione globale dei problemi che incombono sulla nostra vita e l’esigenza di esaltare il valore della fraternità, secondo le linee del magistero di papa Francesco. Alla crisi dell’istituzione ecclesiastica, presa tra corruzioni della curia e difesa della morale cattolica, il pontificato di Bergoglio risponde, non con organiche visioni dottrinali, ma con la propagazione universale e popolare del messaggio evangelico, immediatamente riferito agli uomini e al tempo storico che viviamo. Il realismo di questo rinnovato cristianesimo sociale e le forze volontarie che esso suscita spingono, dunque, a non soggiacere allo stato delle cose. Il Partito democratico, erede delle grandi aggregazioni politiche che hanno guidato fino al 1989 il percorso dell’Italia, è così chiamato a superare non più tanto i riflessi condizionati delle vecchie appartenenze, quanto le ricadute in un piatto pragmatismo, recuperando la forza convincente di chi osa guardare a un mondo nuovo, nel quale gli Stati cooperino sui problemi della fame, del buon uso comune delle risorse e della libera coesistenza nella pace. Un partito che sappia coniugare concretezza di governo e capacità di rappresentanza non può non ricercare un orizzonte di culture politiche e di fattori etico-sociali che diano senso alla convivenza fra gli uomini. Il tratto popolare del cattolicesimo sociale del XX secolo è una delle indicazioni del passato da non tralasciare se s’intende veramente garantire il futuro della democrazia.
Buono. Non so contribuire con quello che tuttavia mi sembrerebbe necessario: l’indicazione di nomi, sigle, luoghi, istituzioni, che possono esemplificare un percorso lungo il quale avviare qualche pratica e iniziativa concreta.
L’analisi di Roberto Violi è di ampio orizzonte e richiama puntualmente le grandi sfide globali che si pongono al mondo di oggi. Certo, il PD può assumere ispirazione dal popolarismo e il solidarismo di papa Bergoglio, e sembra anche che ora in qualche misura lo stia facendo. Ma sarebbe interessante capire come l’infrastruttura sociale costituita dai variegati soggetti associativi, culturali, caritativi, facenti capo sia alla Chiesa in senso proprio, sia ai laici, possa far giungere messaggi più concreti e condivisi a un mondo della politica ancora percepito come “distante” (nell’articolo si richiama giustamente la bassa percentuale di votanti alle elezioni). Può cambiare il PD, tra i partiti, rispetto alla società civile? Può ricomporsi la galassia cattolica intorno ad alcuni valori e messaggi? E con quali strumenti?