Venezia capitale della sostenibilità, la città più antica del futuro: con questa denominazione degna di un titolo per un racconto distopico, il primo cittadino della città ha salutato in un discorso importante in molte sue parti, i ministri dell’Economia e Finanza e i governatori delle Banche Centrali degli Stati membri riuniti in città per il G20 dell’economia. 

“In questi giorni siete stati chiamati a prendere decisioni fondamentali per la ripresa dell’intera economia mondiale e, di conseguenza, per la vita di molti cittadini – ha detto il sindaco Brugnaro – Per questo a Venezia guardiamo al futuro con la consapevolezza di non poter ignorare questa situazione e in questi anni abbiamo lavorato molto per essere un luogo dove lo sviluppo e la tutela ambientale sono al centro del nostro programma e dove le persone possono venire a investire.” 

E, ancora: “la nostra gente vuole lavorare, vivere meglio, crescere le proprie famiglie in un mondo migliore e più verde. Dobbiamo creare le condizioni giuste per farlo. Abbiamo un sogno, ma vogliamo realizzarlo: Venezia può essere la “capitale mondiale della sostenibilità – ha concluso – Oggi avrete l’opportunità di dimostrare che da Venezia, la più antica città del futuro, si può inviare un vero messaggio di speranza alle generazioni future”.

E’ stato un bel discorso ufficiale, fin troppo facile! D’altronde chi non condivide e vorrebbe che la propria città diventi la capitale mondiale della sostenibilità, e pure sede di una Fondazione, così da poter dare il ritmo e segnare il passo al mondo su questo tema così rilevante che è, anzi l’unico motore attorno a cui ogni altra attività umana del futuro ruoterà. Purtroppo, però sono mancate le parole cruciali, quelle che, solo a pronunciarle, ti fanno intravedere che dietro c’è un nuovo corredo mentale per affrontare le alte aspettative che il momento storico richiede. La parola sostenibilità ha molte sfaccettature che la compongono, è poliedrica e allo stesso tempo unica nel suo approccio olistico di contenere e comprendere più livelli e più declinazioni.  Soprattutto la vera sfida è adattare la sostenibilità ai grandi numeri, estenderla come una grande opportunità educativa e di responsabilità.

Il cambiamento climatico (climate change) è l’aspetto più insostenibile che ci sia e da cui tutti i problemi   generano: economici, sociali, politici e Venezia, splendida città antica candidata del futuro, lo sa bene.  Si sa che nei discorsi di benvenuto ci si lascia prendere la mano e si proclamano auspici che non sempre sono all’altezza delle possibilità reali, contingenti. Venezia non è solo la città lagunare, blindata nella sua architettura e bellezza naturale, che quest’anno compie un compleanno di 1600 anni, ma è pure l’aggregato di altri territori che in una sola parola si definisce terraferma, e che presentano aspetti meno regali e storicamente meno importanti della città di acqua.

Allora, volendo di nuovo far risuonare il discorso  del sindaco all’interno delle realtà  periferiche e  di working class di immigrati di prima e seconda generazione, di terraferma,  si può cogliere una eco lontana di frattura tra significato e significante, si può sentire stridere uno iato tra l’attuale degrado ambientale, sociale, economico della variegata  realtà di terraferma che crea un vuoto molto ampio da colmare con azioni che devono andare nella direzione delle persone, e  le parole belle, lucenti, che esasperano  la prontezza di una  città che, ahimè, spesso è usata come ribalta,  come contenitore per ospitare enti e istituzioni internazionali di facciata, ma c’è anche il suo retroscena, perché Venezia è il  Comune più multi-territoriale che ci sia, che  non è per nulla già in rampa di lancio verso il pianeta della sostenibilità.

Sarebbe stato troppo bello invece, se per una volta, davanti a un tema ampio e serio come quello della sostenibilità, si fosse potuti uscire allo scoperto raccontando quanto siamo lontani da qualsiasi transizione, cogliendo l’occasione per esplorare la distanza che c’è rispetto agli obiettivi globali dell’Agenda 2030, per misurare sinceramente  processi già lentissimi che si sono definitivamente bloccati a causa della pandemia, per affermare una volta tanto, che non siamo per nulla pronti ad accogliere investimenti se questa città ha sacche sociali di marginalità e fenomeni di ghettizzazione che discriminano zone povere, non integrate e diseredate all’interno della città di Mestre, per esempio.

La verità è che c’eravamo già fermati prima dell’emergenza sanitaria, che il rallentamento in termini di diritti sociali e del lavoro risale ad anni fa, che il metro di valutazione principale per ogni idea nuova cioè, vedere se fa soldi, oggi risulta essere controproducente in uno scenario così mutato. Ci siamo dunque, ritrovati, nel 2020, imbambolati e prigionieri dentro la rete a maglie strette che ci siamo costruiti nel tempo: il Covid 19 ci ha dimostrato che le persone contano. E che ci sono tante persone nel mondo, anche a Venezia, di cui ci siamo dimenticati, perché vivevano nascoste e si andava troppo veloci per poterle notare. Un anno e mezzo di pandemia ci ha fatto risvegliare dalla dimensione interpersonale a quella globale, ci ha presentato il conto di quello che chiamerei il Sud Globale, che non si può più non tenere presente, soprattutto quando durante un G20 dell’economia leggiamo ancora discorsi con parole patinate senza costrutto, che non tengono conto anche dei profondi cambiamenti percettivi, dei disagi emotivi e del disorientamento conseguente. E’ finito il tempo del sogno, ora è il tempo del fare e, rimandare l’azione equivale al suicidio del caos perché la relazione tra le persone e i loro governi (a qualsiasi livello) è cambiata a causa di una crisi che era già in atto e che la pandemia ha accelerato. Gli spazi fisici si sono improvvisamente ristretti nel tempo di una notte. Gli spazi civici si sono pure deteriorati: chiusi nelle case in molti si sono riversati nell’arena digitale a disposizione (Facebook, Instagram, Twitter…) creando false lotte di potere, impoverimento di linguaggio e esclusione sociale attiva, favorendo così i semi di futuri conflitti.

La città ha mutato faccia. La comunità che pareva dovesse uscire, secondo i migliori e più positivi pronostici, la vincitrice di questo periodo oscuro ha virato verso lo smembramento fino ad una timida comparsa, a tratti, della sua natura collettiva. La disgregazione sociale urbana ha preso il suo posto: i luoghi della città hanno cominciato ad essere occupati da povertà, esclusione, droga, devianza, abbandono e solitudine, rivendicazione e rabbia. Insomma, la città si è trasformata in una grande unica periferia, è scomparso il cosiddetto centro città o meglio tutto è centro e tutto si muove e vive alla luce dello stesso sole. L’emergenza sanitaria sembra aver sconvolto ogni altra emergenza e, mi chiedo perché dovrei abituarmi a vedere nello stesso momento, nella stessa mattina, sia l’impiegato che va al lavoro che il ragazzo che si droga e si accascia a terra per entrare nel suo trip! Tutto questo deprime e accorcia il respiro di ripresa che la città può esprimere, le poche aree verdi sono abitate non dai bambini e dalle famiglie felici ma da persone nel buco nero delle dipendenze.

Ad oggi Venezia e il suo Comune è solo la capitale italiana della droga,  dello spaccio  e di tutta l’alienazione che ne consegue. Forse, si è lavorato per favorire investimenti in laguna, come recita il discorso pronunciato dal sindaco della città, ma di sicuro non si è lavorato per rendere la città e la sua terraferma vivibile ai suoi cittadini, per soddisfarne i bisogni (tra l’altro, collante per stare dentro una comunità) e nemmeno si è lavorato da dentro per affrontare la piaga del degrado sociale ed urbano (altro che “veder crescere i nostri figli nel verde!”). Come si può parlare di Sostenibilità senza aver chiaro che questa è prima di tutto un obiettivo di miglioramento, non prescindibile, sul piano della povertà e della marginalità urbana. La povertà stessa non è solo economica, oggi abbiamo molte forme di povertà come quella educativa, sociale, culturale, sanitaria, energetica: questi sono i temi prioritari per poter ambire a uno sviluppo economico equo ed in armonia col pianeta e poter parlare a ragion veduta di sostenibilità.

Tutti gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite sono importanti e collegati tra loro, nessuno di questi può essere tralasciato, fra questi SDG 16 è uno di quelli centrali perché riguarda le persone e i loro governi: l’obiettivo 16 riguarda proprio da vicino le istituzioni delle nostre città, la dimensione più vicina a ciascuno di noi in cui la vita delle persone, che queste città abitano, dovrebbero andare nella direzione del benessere pieno e dell’inclusione.  Non serve continuare a fare discorsi con parole che i fatti smentiscono subito, oramai nessuno crede più alle promesse altisonanti, il tempo è solo ora, le cose si devono cambiare ora e, i mezzi per farlo devono essere chiari e a disposizione ora. Serve invece, un governo trasparente della città, attivo e proattivo che sappia mettere cause sociali al primo posto, perché questo è il tempo in cui le persone contano e possono riprendersi la scena, sono i giovani, le donne e  gli uomini che possono prendere decisioni ridisegnando  le modalità del loro vivere insieme: bisogna stare attenti, però che questo momento non si tramuti nell’emersione di una forza opposta  che rinforza le diseguaglianze e l’instabilità.

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