“Un deterioramento significativo e misurabile, provocato dall’uomo, ai suoli, alle specie, agli habitat e alle aree protette, alle acque superficiali (fiumi, laghi, mare) e sotterranee”. Questa la definizione ufficiale di danno ambientale per l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), ed è a partire da questa definizione che l’Istituto, presieduto da Stefano Laporta e diretto da Alessandro Bratti, ha redatto il primo resoconto nazionale delle istruttorie tecnico-scientifiche aperte da Ispra e dal Sistema nazionale di protezione dell’ambiente (Snpa) nel biennio 2017-2018 su incarico del Ministero dell’ambiente.

30 casi accertati di grave danno o minaccia ambientale, per di questi 10 il Ministero dell’ambiente si è già costituito parte civile

Riporta il documento che “sono 30 i casi per i quali è stato accertato un grave danno o minaccia ambientale: si tratta di 22 procedimenti giudiziari (penali e civili) e 8 casi extra-giudiziari (iter iniziati su sollecitazioni giunte dal territorio e al di fuori di un contesto giudiziario). In 10 di questi 30 casi il Ministero dell’ambiente si è già costituito parte civile o ha attivato il relativo iter: Ispra fornisce le informazioni su località, danni provocati all’ambiente circostante, lavori di riparazione da eseguire e, laddove disponibili, i costi dell’operazione”. In particolare, i casi in questione hanno interessato soprattutto le acque sotterranee (32%), laghi e fiumi (23%), i terreni (19%).

Tra quelli riportati nel documento “Il danno ambientale in Italia: i casi accertati negli anni 2017 e 2018”, Ispra evidenzia “i danni e le minacce concernenti le discariche di Chiaiano e Casal di Principe in Campania, quelle di Malagrotta e Anagni nel Lazio, quella di Bellolampo in Sicilia, le emissioni della Tirreno Power a Vado Ligure e Quiliano, l’interramento di fanghi e scarti di lavorazione a Rende in provincia di Cosenza”.

Ma le 30 situazioni critiche appena citate, non esauriscono l’intero panorama italiano dei disastri ambientali, e purtroppo a dipingere lo scenario nella sua interezza non bastano neanche gli oltre 200 casi segnalati all’Istituto dal Ministero dell’ambiente e per i quali sono nel 2017-2018 sono state aperte 161 istruttorie di valutazione del danno ambientale: 39 per casi giudiziari (sede penale o civile), 18 per extra-giudiziari, 104 istruttorie per casi penali in fase preliminare (nei quali l’accertamento del danno è ancora a livello potenziale). La Sicilia è la Regione dove sono state aperte più istruttorie (29), seguita da Campania (20), Lombardia (14) e Puglia (13). Occorre poi precisare che i casi riportati nella relazione (i suddetti 30) “non rappresentano la totalità di quelli aperti in Italia. Non sono considerati quelli per i quali sono già state avviate azioni di riparazione prima del 2017 (ad esempio i siti di Bussi sul Tirino, Giugliano, Castelvolturno, Taranto e altri), anche sulla base di precedenti istruttorie dell’Ispra”.

Quali sono le attività che possono causare un danno ambientale

Nel Rapporto l’Ispra descrive anche le principali attività che possono portare a danno ambientale, individuando “soprattutto quelle svolte dagli impianti di depurazione e di gestione dei rifiuti, dai cantieri edili e di realizzazione delle infrastrutture, dagli impianti industriali”. Fondamentale, in questo senso, il ruolo di Snap che si occupa dell’accertamento tecnico-scientifico e che costituisce “la base tecnica per la successiva attuazione, da parte del Ministero, delle procedure giudiziarie o extra-giudiziarie di riconoscimento del danno e dell’obbligo di avviare la riparazione”.

L’Italia è il Paese europeo a dichiarare più casi di danno ambientale

Dati allarmanti che, vedono il nostro Paese ai vertici in Europa: l’Italia, infatti, è la Nazione che dichiara più casi in tutto il Vecchio Continente. Tanti, troppi, ma che potremmo leggere in positivo se consideriamo l’elevato numero di dichiarazioni come la conseguenza del fatto che l’Italia ha introdotto il concetto di ‘danno ambientale’ nella propria normativa già da qualche anno (art. 300 Decreto legislativo n. 152/2006, tra i primi in UE), facendo seguito alla direttiva europea del 2004 che ha stabilito una disciplina unica in tema di responsabilità e riparazione.

Lunga e impegnativa sicuramente la strada da fare, duro il lavoro congiunto di Ispra, Ministero dell’ambiente e Snap nello scovare, accertare, punire e porre in essere misure di recupero dei numerosi siti destinati ad allungare quella lista. Ma come spesso dovrebbe essere, se in futuro vorremo vivere in un Paese migliore anche sotto questo punto di vista, una visione di medio-lungo raggio non potrà prescindere da azioni mirate alla sensibilizzazione, al rispetto e alla salvaguardia dell’ambiente e della cosa pubblica, nonché all’accrescimento di quel senso civico che troppo spesso pare latitare nel nostro Bel Paese. Chi i primi destinatari? Facile, i nostri figli!

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