Se proviamo a leggere con un minimo di distacco l’esito del voto del 25 settembre, la prima conclusione che ne possiamo trarre è che si tratti ancora di un’elezione di transizione. Dopo la fine dell’epoca d’oro del sistema maggioritario (1994-2008) e dopo lo scompaginamento del nostro sistema politico incominciato con quella sorta di commissariamento europeo che fu il governo Monti, le due elezioni del 2013 e del 2018 hanno visto in rapida successione: a) la meteora del partito di Mario Monti (2013); l’ascesa e il declino di Matteo Renzi (2013-2016); b) l’esplosione della Lega di Salvini (2018-2019); c) l’affermazione del movimento di Grillo, i 5 Stelle (2013-2018). Poi, in appena quattro anni, dal 2018 al 2022, Forza Italia è declinata, la Lega è caduta sotto il 10%, i 5 stelle si sono dimezzati, Fratelli d’Italia è esplosa passando dal 4% a oltre il 25%.
Il primo segnale di questa transizione ancora in corso è costituito dal fatto che in queste elezioni un solo partito, Fdi, ha superato il 20% dei voti; 2 soli partiti sono tra il 10 e il 20% (Pd e 5 Stelle); 4 partiti hanno ottenuto tra il 3 e il 10% (Fi, Lega, Azione-Italia Viva, Verdi). La stessa volatilità elettorale che aveva caratterizzato tutte le elezioni nazionali (2013, 2018), europee (2014, 2019), regionali (2015, 2018, 2021) si conferma come la caratteristica principale di queste elezioni. Si tratta di una disponibilità a cambiare voto che non ha eguali nelle democrazie occidentali, frutto -come è noto- della debolezza strutturale dei partiti politici nel nostro paese, ma che segnala anche un’ansia di novità e una speranza di cambiamento davvero sorprendenti per la loro trasversalità nell’intero elettorato del nostro paese.
Vedremo nei prossimi anni se questo provvisorio approdo del nostro sistema politico si consoliderà, tuttavia la prudenza è d’obbligo non fosse altro in ragione delle durissime prove di governo che la coalizione guidata da Giorgia Meloni si troverà fin da subito ad affrontare, a cominciare dall’inflazione, dalle conseguenze della guerra sulle bollette degli italiani, dal rischio concretissimo di recessione. Inoltre, come abbiamo visto, siccome il sistema politico italiano non si è assestato su di un formato tendenzialmente bipartitico ma, anzi, continua a reggersi su coalizioni alternative composte da almeno quattro partiti (nel centrodestra: Fdi, Lega, Fi, Noi Moderati; nel centrosinistra: Pd, 5Stelle, Azione, Verdi), la conflittualità interna ad ogni coalizione appare una costante in grado di mettere in difficoltà il partito maggiore di ogni coalizione, in particolare per chi è al governo.
Un ultimo aspetto di criticità delle elezioni del 25 settembre riguarda la bassa partecipazione al voto (63,8%, nove punti in meno rispetto al 2018), sulla quale tuttavia va segnalato che almeno la metà è dovuto all’astensionismo involontario, ovvero a persone che per vari motivi avrebbero voluto votare ma non lo hanno potuto fare. Si pensi agli elettori lontani dal comune di residenza per motivi di studio, lavoro, turismo, eventi sportivi, cerimonie, etc. Oppure alla farraginosità delle procedure per consentire agli anziani non deambulanti di poter essere accompagnati ai seggi. Oppure, ancora, alle procedure per aggiornare o rifare la tessera elettorale, un documento di cui francamente risulta dubbia l’utilità. Nelle condizioni appena menzionate si trovano almeno 7-8 milioni di elettori, oltre il 15% degli aventi diritto (46.127.514), e bene ha fatto il Governo Draghi a dedicare un apposito Libro Bianco a questa problematica, dove si possono leggere decine di proposte già applicate in altri paesi per favorire la partecipazione al voto.
Se dai fattori di criticità volgiamo ora lo sguardo alle opportunità che queste elezioni indicano al nostro paese, la prima riguarda la solida maggioranza di governo uscita dalle urne: nonostante tutti i mille difetti delle legge elettorale, l’esito del confronto tra le coalizioni questa volta non presenta ambiguità di sorta: oltre il 59% dei seggi alla Camera e quasi il 58% dei seggi al Senato garantiscono la tranquillità necessaria all’azione di governo, fatte salve -ovviamente- le eventuali turbolenze dovute ai potenziali conflitti dentro la coalizione che ha vinto le elezioni.
In secondo luogo il successo di due partiti a trazione centro-meridionale (Fdi, 5Stelle) costituisce una novità assoluta da trent’anni a questa parte, ponendo forse per la prima volta dalla fine della ‘prima repubblica’ (1992-94) il tema di una politica davvero efficace per lo sviluppo del sud. Non va infatti dimenticato che le basse performance dell’economia italiana di questi ultimi decenni sono quasi esclusivamente imputabili al declino meridionale, sia che si guardi alla dinamica del Pil, sia che si valuti la partecipazione al lavoro nelle due grandi aree del paese.
Vi è poi un ultimo aspetto positivo che riguarda il rapporto con le associazioni di rappresentanza degli interessi. Dopo i risultati deludenti della stagione della disintermediazione (Renzi, Grillo, in primis), è maturata la consapevolezza che il paese si governa solo attraverso un dialogo costruttivo tra le istituzioni e i corpi intermedi. Questa nuova disponibilità al confronto si è consolidata durante l’emergenza pandemica (2020-21), quando è apparso evidente anche agli osservatori stranieri -come nel caso di Paul Krugman, premio Nobel per l’economia- come la migliore capacità di risposta all’emergenza Covid da parte dell’Italia rispetto ad altri paesi occidentali fosse da attribuirsi anche al solido tessuto di associazioni di rappresentanza e alla loro capacità di dialogare con le istituzioni centrali e periferiche. Si tratta di una lezione che non va perduta e che le forze politiche, sembrano aver assimilato in via definitiva, specie se si ascoltano le dichiarazioni post-voto, tanto da parte della coalizione di centro-destra che andrà al governo, quanto da parte delle opposizioni.