Intervista a Luca Alagna, esperto di comunicazione politica e social media

Abbiamo assistito alla crisi di governo più “social” della storia. Ma alla fine dirette facebook, tweet e algoritmi quanto hanno influito sulle decisioni finali dei protagonisti?
In Italia i social rappresentano una parte importante della politica e del dibattito pubblico già da molti anni, ma non credo che abbiano influito sulle scelte dei protagonisti. Piuttosto si è cercato di utilizzarli come elemento di propaganda, in un tentativo di influenzare l’opinione pubblica. In tutta la crisi la voce dei militanti, degli italiani, è stata spesso rappresentata con quello che emergeva nei social, attraverso i contenuti popolari, i trending topic su Twitter, i meme. Anche la consultazione su Rousseau, che non è un social ma una piattaforma web sui cui votano gli iscritti, è stata oggetto di diverse micro campagne a favore del si o del no. Direi quindi che i social hanno influito in qualche misura sull’opinione pubblica e sul dibattito pubblico, e quindi anche sul giornalismo. Che in pieno agosto, preso quasi in contropiede, si è dovuto riorganizzare e utilizzare anche i social per cercare di capire cosa stesse succedendo e come raccontarlo ai lettori.

Il governo giallo-rosso ha avuto il via libera dal popolo grillino attraverso il voto sulla piattaforma Rousseau. Si è trattato di una “grande dimostrazione di democrazia diretta”, come ha dichiarato Casaleggio, o di un pericoloso precedente? Si possono affidare decisioni così delicate ad un server?
Siamo una democrazia rappresentativa non diretta, ma ogni partito al proprio interno decide le modalità con le quali prendere una decisione. Il punto è che questa decisione dovrebbe essere presa con un metodo democratico, perché è così che sancisce la Costituzione. Questo è uno degli snodi più importanti: come si traduce ‘metodo democratico’ nell’era dei social e della trasformazione digitale? Sulla piattaforma Rousseau, in passato e ancora oggi, sono stati avanzati dei dubbi su molti aspetti che riguardano, ad esempio, la correttezza del voto, il processo di certificazione, la tecnologia, la segretezza del voto. Finché siamo in una democrazia rappresentativa, con regole ben salde, non vedo grossi pericoli all’esterno dei partiti. Tra l’altro la consultazione degli iscritti avviene già in altri partiti nel mondo, con dimensioni persino più rilevanti che con il Movimento 5 Stelle. Non è un unicum, non è un record e non è novità: la Spd e Podemos consultano gli iscritti, e nel mondo ci sono addirittura modalità di voto elettronico, come in Estonia. La vera questione secondo me è la trasparenza nella accountability politica: chi è, poi, il responsabile politico di determinate decisioni? Questa è una questione cruciale nella cosiddetta democrazia diretta, usata come meccanismo all’interno di un partito che prende decisioni rilevanti per tutto il Paese. La decisione di negare l’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini rispetto alla richiesta dei magistrati, che è stata demandata alla piattaforma Rousseau, avrebbe dovuto comportare la designazione di un responsabile politico. Lo ritengo pericoloso, quindi, soprattutto dal punto di vista culturale perché infonde nei cittadini un’idea di democrazia deresponsabilizzata, il contrario di quello che indicherebbe la Costituzione. La democrazia, infatti, è anche responsabilità del proprio voto, delle decisioni, delle azioni. La ‘democrazia deresponsabilizzata’ è l’esatto contrario dell’impegno politico, senza il quale la politica non esiste più, diventa puro sentimento, umore popolare, semplice confronto tra tesi emotive precostituite e potenzialmente manipolabili nell’opinione pubblica.

La “Bestia” messa in piedi dallo staff di Salvini sembra ferita e incapace di reagire a dovere. C’è da aspettarsi una nuova ondata social di Morisi&co., con una opposizione durissima al governo giallo-rosso?
Nel meccanismo della propaganda legata ai social, alla community di fan o di attivisti della Lega, probabilmente si sta chiudendo una fase e se ne sta aprendo un’altra. La fase precedente era quella della grande crescita, della spinta per far arrivare i contenuti davvero a chiunque, anche a persone che non si occupano di politica, che non militano. E si può dire che sia riuscita. In questo nuovo passaggio, dettato dal passo falso di Salvini, che si è sfilato dal proprio stesso governo, forse la strategia sarà differente. Anche perché la notorietà di Salvini online e nel dibattito pubblico, anche a livello di celebrity, è arrivata a saturazione. Potremmo assistere a una nuova fase comunicativa più mirata e politica contro il nuovo governo, agendo sui temi tradizionali populisti o su temi leggermente differenti. Anche il consenso è arrivato a saturazione e si sta livellando, come si vede dagli ultimi sondaggi, una cosa simile accadrà anche online, soprattutto ora che i due populismi si sono separati. Finora era stato un po’ come nel film ‘Ghostbusters’, nel quale si avverte di ‘non incrociare i flussi’. Nel governo giallo-verde i flussi erano stati incrociati, i due populismi facevano propaganda insieme, le due community online quasi si confondevano. E spingendo insieme determinati temi si creava un effetto valanga enorme. Questo elemento social veniva poi utilizzato anche a livello di mass media, e quindi le dirette Facebook di fatto son diventate dirette televisive sui canali all news e nei telegiornali. Ora i due populismi sono separati, probabilmente si scontreranno l’uno con l’altro. Qualcuno dovrà cambiare strategia o tattica, anche perché la situazione è diversa, alcune presenze e alcuni temi, come l’immigrazione, sono giunti anch’essi a saturazione nella testa degli italiani.

I retroscena parlano di una “manina russa” a favore della comunicazione di Salvini. In particolare si fa riferimento ad aiuti economici e all’utilizzo di falsi profili sui social per diffondere i suoi messaggi. Fake news o c’è qualcosa di vero?
Si tratta di un tema complesso, che è stato spesso generalizzato negli ultimi tempi e mai affrontato a dovere nel discorso pubblico e mediatico. Sulla questione dei finanziamenti preferisco non commentare, ci sono inchieste giudiziarie ed è prudente aspettarne gli sviluppi. Sui cosiddetti ‘troll russi’ dobbiamo cercare di essere più precisi possibile, per evitare di creare a nostra volta mitologie o cattiva informazione sul tema. Io ritengo che in ogni caso una macchina social ben oliata come quella di Salvini, che da 5 anni produce una enorme quantità di contenuti efficaci online, non abbia bisogno di un aiuto operativo esterno di questo tipo. Stesso discorso per i 5 Stelle. Se parliamo di geopolitica, invece, sappiamo bene che alla Russia interessa inserirsi e giocare un ruolo negli scenari internazionali e in quello UE anche rimanendo dietro le quinte. In altri paesi europei non è detto che un aiuto diretto non ci sia ma per quanto riguarda l’Italia, a livello macroscopico, di impatto e di visibilità, questo fenomeno per ora non è stato così evidente. I risultati online di Salvini non sono inspiegabili senza aiuto esterno, sono evidentemente frutto di un lavoro costante per 5 anni su Facebook, dello sfruttamento senza scrupoli dei suoi algoritmi su temi “di pancia” mentre gli altri politici andavano più o meno a corrente alternata. Un lavoro che richiede, ovviamente, un investimento consistente.

Qual è il tuo giudizio sul discorso di Conte al Senato, quello dell’attacco a Salvini, seduto al suo fianco?
Mi è sembrato un riscatto, una forma di resistenza. Mi spiego: Salvini aprendo questa crisi ha di fatto scommesso sulla debolezza delle istituzioni e del Parlamento e ha perso. Conte si è fatto interprete di questo sussulto istituzionale. Forse è stata la prima volta in cui i due esponenti più importanti del governo, il capo e il suo vice, si scontrano direttamente in Parlamento in questo modo, con questa durezza. Salvini forse si aspettava di vincere senza giocare, di innescare un mesto addio, ma la resistenza di Conte di cui parlavo ha dato l’avvio a tutto il processo sfociato poi nella costituzione di un nuovo governo. Il merito di Conte è quello di aver contribuito a ‘parlamentarizzare’ la crisi, in un momento storico in cui la politica si faceva al ‘Papeete Beach’, in diretta su Facebook o sui quotidiani. Paradossalmente nell’era dei social si è assistito ad un improvviso recupero della politica tradizionale, e proprio a partire da chi guida un governo con una forza di maggioranza che ha fatto dell’antipolitica la sua bandiera. Lo stesso Di Maio ha detto che il Movimento 5 Stelle è garante della stabilità del paese: un salto enorme rispetto ai tempi del ‘Vaffa’ e del ‘Tutti a casa’. Il gesto di Conte in qualche modo ha restituito dignità alla politica, questo è innegabile.

Dal punto di vista comunicativo, come vien fuori il Pd da questi giorni infuocati?
Il Partito Democratico ha fatto una scelta difficile rispetto alla sua storia recente. Dar vita al governo con i grillini è stata una scelta travagliata all’interno, ma questo è normale che accada in un grande partito in cui convivono diverse posizioni. Il fatto di aver trovato una linea unica, dal punto di vista dell’opinione pubblica pagherà, perché il Pd di recente è stato sempre visto e raccontato come un partito diviso, un insieme di correnti. Adesso la questione comunicativa più rilevante è come il partito si appresta a gestire i prossimi anni al governo. L’esperienza ci dimostra come i 5 Stelle al governo abbiano continuato a fare una comunicazione forte, in linea con le loro tematiche. Allo stesso tempo il Pd ha bisogno di colmare il gap, di attivare una comunicazione sulle cose fatte al governo e sull’ascolto, oltre a difendersi dagli attacchi e dalla propaganda che avrà contro che sarà senza dubbio molto forte e particolarmente furiosa. Questo implica una certa organizzazione, insieme ad attività molto specifiche e particolarmente calibrate sullo scenario italiano che resta uno dei più competitivi per quanto riguarda la comunicazione politica.

1 commento

  1. Molto equilibrato e professionale il contributo di Luca Alagna al dibattito sulle prospettive della comunicazioni politica.
    Quanto al Pd, la sua comunicazione dovrebbe guardarsi dalla tentazione di seguire l’andazzo sguaiato e sgangherato che è andato finora di gran moda.Su quel terreno infatti, esso è preceduto, in maniera inarrivabile, dai suoi competitori.
    Il Pd invece insista nel proporsi come partito istituzionale e “di sistema”. E non tema il linguaggio della “ragion politica” classica. Copra cioè uno spazio che potenzialmente rappresenta il 40 per cento dell’ elettorato : una minoranza, cero, ma “di blocco”, in un quadro di sistema rappresentativo che il Popolo Sovrano ha scelto (coscientemente o no, poco importa) quando ha bocciato il referendum renziano nel dicembre del 2016. Un referendum che , di fatto, ha riportato il sistema non genericamente alla Prima Repubblica, come vuole certa vulgata, bensì al 1952-53 , quando la maggioranza degli elettori bocciò un maggioritario che avrebbe dato stabilità alla coalizione centrista , solo se avesse raggounto il 50 + 1 dei voti.
    Se quel tentativo fu definito come Legge Truffa dal Pci di Togliatti… figuratevi altri tentativi di forzature fondati sulla quantità inferiori a quella soglia, per far scattare soglie di premi di maggioranza…
    Il Popolo non lo sa. Ma i politici devono sapere che si è riaperta un’era di estrema frammentazione delle rappresentanze… e dunque di “trasfotmismo” su cui nessuno avrà il diritto di scandalizzarsi.

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