E’ stata una Pasqua tormentata come non succedeva da tempo. Nell’incombente scenario da guerra globale, al quale l’opinione pubblica mondiale si è assuefatta e vi convive con crescente preoccupazione, ma anche con evidente impotenza, la diplomazia tace e i governanti sembrano, ogni giorno che passa, sempre più predisposti alla escalation militare. La sola voce controcorrente viene da un capo spirituale, il Papa, che invoca la pace… apparentemente a prescindere, ma entrando, invece, nel merito delle possibili soluzioni negoziate. A cominciare da quella provocatoria perché chiede un gesto di pace senza interferire con lo scenario di guerra: lo scambio dei prigionieri.

Dopo due anni di guerra, di morti e distruzioni, la insensatezza del conflitto, il suo sostanziale stallo e la conseguente obbligatorietà di una mediazione per uscirne, appaiono sempre più evidenti. L’Unione Europea, che ne avrebbe il diritto più di altri, oltre che la necessità, non solo non è protagonista di un percorso di pace, ma, addirittura, sembra suggestionarsi dai crescenti venti di guerra.

Lo storico inglese Christopher Clark, nel bellissimo libro che racconta come, nel giro di poco più di due mesi, l’Europa, un continente in pace, sia precipitato nella devastante prima guerra mondiale, sostiene una tesi affascinante; ovvero che i Monarchi, i governi, i generali di tutti gli Stati europei coinvolti, siano stati colti da una forma politica di sonnambulismo (da cui il titolo del libro: “I sonnambuli”), che ha impedito loro di vedere come le mosse che facevano trascinavano tutti nella spirale di guerra.

Sta accadendo lo stesso ora? Fino ad un certo punto. Le differenze da allora sono rilevanti. Oggi si dispone di una tecnologia sofisticata che permette di analizzare la situazione con razionalità. Allora la tattica militare era ancora ancorata alla mentalità ottocentesca, con protagonista la cavalleria e, quindi, il movimento in campo aperto; mentre quella guerra si dimostrò subito meccanica e di posizione. Con una escalation inattesa nell’utilizzo dei mezzi a disposizione: l’uso dei gas.

Oggi sappiamo bene che c’è una soglia del conflitto sul terreno, quella dell’utilizzo del nucleare, che se superata porta con sé una inesorabile irreversibilità. Peraltro, tutti i governi hanno ben chiaro i precedenti storici, ripetuti per ben due volte nel novecento. Non credo, dunque, che possiamo parlare di sonnambuli, ma, ahimè, forse peggio, di una… vigile follia, dettata dalla idea che il mondo contemporaneo, in crisi di valori, identità e governance, ha bisogno di un nuovo ordine e che ciascuna delle parti in campo si ritiene la depositaria di quello giusto. Insomma è in gioco una nuova idea di egemonia.

E’ in questo scenario che irrompe il terrorismo, che nel disordine attuale si muove con agilità. Come gli avvoltoi sui cadaveri, i terroristi calano silenziosi, rapidi e… clamorosamente indisturbati. È il caso dell’attacco jaidista in Russia. La concentrazione da parte degli apparati statali sugli obiettivi bellici principali distraggono oggettivamente l’attenzione da quello che si è, erroneamente, pensato fosse un pericolo marginale. Di fatto, il conflitto russo ucraino schiera da un lato la Russia di Putin e dall’altro, tramite l’Ucraina, l’Occidente di Biden e Macron. La natura politica totale di questo scontro ha indotto tutti a pensare che di fronte a questa partita a due, ci si schierasse o si qua o di là. “Tertium non datur!”. Non è così.

L’aspetto più rilevante di questa drammatica vicenda è la comparsa esplicita, nel campo politico e bellico (il terrorismo agisce come guerriglia e sabotaggio, ma sempre di un intervento bellico si tratta) di un terzo incomodo, che non sta al gioco dei due, ma ne fa uno proprio. Non è importante, ai fini di questo ragionamento, sapere il peso militare dello Stato Islamico (peraltro resuscitato e da qualche parte ben finanziato), quanto constatare la sua presenza indipendente che persegue lo stesso fine dei contendenti “ufficiali”: creare un nuovo “ordine” mondiale, ma eliminando entrambi gli avversari, approfittando del fatto che, in questo momento, sono in lotta tra loro. Che poi ci siano collisioni o complicità trasversali fa parte del gioco, ma questo è il significato politico dell’attentato in Russia. E le letture di comodo (colpa di Kiev, a Putin conviene…) confondono solo il quadro.

È stata evocata Sarajevo: è evidente la differenza di condizioni storiche tra il gesto di Gavrilo Princip, e la “Mano nera” che lo armò, ma il rischio è lo stesso… Anche ora si tratta di una incursione che sconvolge il quadro internazionale, lacerato anche dalla vicenda mediorientale, innestata proprio da un atto di terrorismo di Hamas, ma aggravata dall’eccesso di autotutela di Israele.

Che effetti può avere tutto ciò? Il successo dell’attentato in Russia, può indurre le varie centrali terroristiche ad osare di più, in una sorta di “terroristi di tutto il mondo unitevi”?
Si pone, dunque, nello scacchiere attuale una nuova priorità: sconfiggere il risorgente terrorismo che approfitta della debolezza istituzionale degli Stati concentrati su un braccio di ferro tra loro, che, però, non presenta vie di uscita. La sua minaccia è senza regole e senza confini; perciò una sua sconfitta stabile è urgente. Ma per riuscirci c’è bisogno di una alleanza globale di intelligence; di una collaborazione tra tutti gli Stati.

Il paradosso che la Storia ci offre, è che se non bastassero tutte le evidenti ragioni di buon senso per terminare la guerra, la priorità della sconfitta del terrorismo renderebbe necessario… fare la pace. Non è certo questo lo scopo che si sono prefissi i terroristi che hanno colpito la Russia, ma la Storia (o la Provvidenza!) a volte ci indica strade impensate (o imperscrutabili!). Non comprenderle e non seguirle è davvero, sì, da… sonnambuli!

(Foto di Sunguk Kim su Unsplash)

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