Avremo tempo e modo per un ragionamento compiuto sui risultati e le prospettive del nuovo governo che sarà possibile formare in Europa (lo faremo già il 19 sera alle 21, col professore Feltrin, via web). Ora, a caldo, alcune prime considerazioni.

Sul fronte italiano va detto subito che due leader staccano il gruppo dei partiti in corsa e stabilizzano il loro ruolo. E sono due donne: Giorgia Meloni e Elly Schlein! Meloni migliora il risultato del proprio partito dopo due anni di governo (e non è mai scontato) e stabilisce una distanza incolmabile con gli alleati coi quali governa. A cominciare dalla Lega di Salvini-Vannacci, che ha scelto di coprire uno spazio addirittura più a destra di tutti e che ha però rafforzato la nuova identità estremista del partito, quella proprio di Vannacci, che ha avuto un successo personale, ma che in questi giorni è stata bocciata dal fondatore Bossi. Il buon risultato di Forza Italia, che supera la Lega, non impensierisce Meloni; anzi la rafforza nella ipotesi di una governabilità più autonoma e equilibrata che dovrà obbligatoriamente esercitare nel suo ruolo.

Schlein, dal conto suo, supera abbondantemente l’asticella simbolica del 20% e accorcia la distanza da “Giorgia”. È il merito di una campagna elettorale molto personale, diffusa, determinata, identitaria e unitaria del Partito; battendo su alcuni precisi contenuti e senza cedimenti tattici nei confronti delle altre forze di centro sinistra, quali quelli che si erano visti alle ultime politiche. Il PD doppia i 5 stelle, la cui bolla si sgonfia a livello nazionale, ma il suo pur sempre rispettabile 10% è il frutto di una differenza notevole tra i territori e il risultato del Sud non compensa politicamente il vuoto del Nord.

Il successo, indubbio, della sinistra e Verdi, è un segnale netto della presenza di una sensibilità ambientale e radicale presente nel paese che va più considerata e che è bene trovi una rappresentanza, ma avviene ad una distanza di percentuali dal PD tale che non crea competizione, ma rafforzamento reciproco, tanto più se il Pd non potrà ignorare che nel proprio campo si è consumato un suicidio annunciato di Azione e Stati Uniti d’Europa che, insieme, sprecano un interessante 7% di voti riformisti che che pagano il confitto personalistico dei leader e che hanno bisogno di riferimenti certi.

Il fatto, poi, che il successo principale arrida a due donne non è esterno ad una analisi sociologico politica del voto e conferma un umore profondo presente nel Paese sulla importanza oggettiva della presenza femminile nelle decisioni, che è ancora troppo sottovalutata. Anche se, a ben guardare, la leadership politica femminile, proprio in Europa, si rafforza: von der Leyen, Metzola, Lagarde, Le Pen, Meloni, Schlein e le molte altre donne a capo dei rispettivi paesi, ne sono la testimonianza.

Eppure, proprio guardando ai risultati in Europa, la situazione appare molto più complessa. La crisi politica apertasi in Francia, soprattutto, ma anche in Germania e Belgio, apre una incognita molto rischiosa per le prospettive generali della governabilità europea. Ne è la prova la scelta di Macron che, con straordinario tempismo politico, ha sciolto l’Assemblea Nazionale convocando un voto molto ravvicinato, nella speranza di arginare la piena di Le Pen. Si apre, dunque, uno scenario precario e preoccupante. Ma, attenzione, non definitivo. La composizione del nuovo Parlamento europeo, per come si annuncia dalle prime proiezioni, prefigura inevitabilmente la ricerca di compromessi che porteranno necessariamente a ricercare una alleanza di governo moderata e non estrema. Infatti, la vittoria del Partito Popolare Europeo non basta a formare un governo e nessuna maggioranza è possibile senza il Partito Socialista Europeo.

Non possiamo, infine, ignorare la bassa percentuale dei votanti, soprattutto al Sud e soprattutto tra i giovani. Questa è la sfida più seria per tutti. L’astensione dal voto, dalla principale occasione di partecipazione civica è la minaccia più vera alla democrazia dei singoli paesi e dell’Europa.

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