ReS continua a guardare con interesse gli esiti delle tornate elettorali che hanno coinvolto molti Paesi in tutto il mondo.

Dopo i risultati “amari” usciti dalle urne dell’India, ora è la volta del Sudafrica, che a 30 anni da quel 1994 delle prime elezioni libere e della fine dell’apartheid, è andato al voto tra forti incertezze e timori sugli esiti, consapevole del sentimento di forte disillusione dei suoi cittadini dovuto a tre decenni di scandali, ad un alto tasso di disoccupazione, a frequenti blackout di energia ed all’evidente inefficienza di governo.

Il Sudafrica è un Paese di grandi contraddizioni: con uno dei più alti livelli di disuguaglianza di reddito e di ricchezza al mondo, con servizi pubblici di base pressoché inesistenti, con il potere e la ricchezza ancora nelle mani di una piccola minoranza, mentre la povertà estrema lo rende tra i più pericolosi paesi al mondo.

Ne avevamo già parlato, ma va ricordato che il Sudafrica è la seconda economia dell’Africa subsahariana e la terza del continente per dimensione (dopo Nigeria ed Egitto), con un PIL di 405 miliardi di dollari, è anche la più avanzata e diversificata, nonché il primo partner commerciale dell’Italia a sud del Sahara: in un contesto in cui gli scambi di Roma sono fortemente sbilanciati verso i Paesi del Nord Africa, il Sudafrica è l’unico Paese non mediterraneo a comparire tra i primi cinque partner di Roma nel continente (ai primi posti Algeria, Libia, Tunisia ed Egitto), contando per il 7,2% dell’interscambio complessivo.

Viceversa il primo partner commerciale di Pretoria è l’Unione europea, con un valore pari a 48 miliardi di dollari nel 2022, il secondo la Cina con un interscambio che si attesta sui 40 miliardi di dollari. Seguono poi gli Stati Uniti (17 miliardi di dollari), l’India (14) e il Giappone (10).

Per quanto la crescita economica sudafricana sembri destinata a stagnare, o quasi, anche nel prossimo futuro il Paese manterrà il ruolo di centro di gravità all’interno della regione. Questo anche come primo Paese africano di destinazione dei flussi migratori che originano soprattutto dal resto dell’Africa meridionale, ma coinvolgono anche le regioni orientali del continente.

I risultati, annunciati la sera del 2 giugno dalla commissione elettorale indipendente che ha gestito le elezioni, sono stati quelli paventati: per la prima volta l’African national congress (ANC), il partito che fu di Nelson Mandela, ha perso la maggioranza in parlamento, ottenendo poco più del 40% delle preferenze, ben al di sotto della maggioranza necessaria, portando a casa solo 159 seggi su quattrocento, contro i 230 della precedente legislatura. Ora sarà costretto a stringere accordi di coalizione quanto meno inediti per rimanere al governo.

Il 21% dei voti, invece è andato al partito più popolare, Alleanza democratica (DA), alla guida di un blocco di 11 partiti, più noto come Multi-Party Charter, che si era guadagnato numerosi apprezzamenti per la gestione di Città del Capo e della provincia del Capo Occidentale, che ha ottenuto 87 seggi. Considerato il secondo partito del paese, la DA è attualmente la principale forza di opposizione. John Steenhuisen, il suo leader, ha promesso di “salvare” il Sudafrica dalla cattiva gestione dell’ANC, ma sconta il fatto di essere l’unico leader bianco del panorama politico sudafricano, percepito dunque da molti come espressione degli interessi e dei privilegi della minoranza.

La terza forza politica, quella degli Economic Freedom Fighters (EFF) – i combattenti per la libertà economica – di Julius Malema, ex leader dell’ala giovanile dell’ANC, espulso dal partito un decennio fa, contrariamente alle previsioni è stato quello più severamente colpito dagli esiti del voto ed ha ottenuto solo il 9% dei voti. Il suo è un partito nazionalista, populista e antioccidentale che trova grande seguito nella popolazione giovane e nera.

Infine, a erodere consensi al partito di governo è stato il nuovo partito uMkhonto weSizwe (MK), fondato da Zuma, che ha ottenuto un inaspettato 14% dei voti, corrispondenti a 58 seggi.

Le trattative successive alle elezioni   – un inedito per i leader, ma anche per il pubblico e i media sudafricani – hanno iniziato subito a muoversi nella direzione di una coalizione tra l’Anc e la Da, sottolineando l’intenzione di lavorare “per il bene del paese”, con la precisa volontà di riproporre la nomina del presidente uscente Cyril Ramaphosa (salito al potere nel 2017 al posto di Zuma dopo un duro scontro interno al partito) e tenendo fuori dall’esecutivo Mk e Eff. Una coalizione “centrista” tra Anc e Da escluderebbe per la prima volta dalla maggioranza le forze che rappresentano le frange più povere e radicalizzate della popolazione nera sudafricana, rendendo, a parere di molti esperti, il nuovo governo più vulnerabile “a sinistra” di quanto non fossero mai stati gli esecutivi espressi finora dall’Anc. Questa preoccupazione potrebbe spingere ad allargare ulteriormente la maggioranza, includendo qualcuno dei piccoli partiti presenti in parlamento, portando il nuovo governo ad enfatizzare la dimensione sociale del proprio programma.

Dunque il Sudafrica si trova in un momento cruciale per il “consolidamento” della giovane democrazia sudafricana, mentre l’ANC dovrà confrontarsi con i potenziali partner anche sulla politica estera.

Non va dimenticato che il governo uscente ha contribuito ai negoziati di pace nella guerra tra Russia e Ucraina ed ha presentato una causa per genocidio alla Corte internazionale di giustizia contro l’invasione di Gaza da parte di Israele. Riguardo a quest’ultima, per quanto popolare, la mossa contro Israele potrebbe aver diviso i sudafricani.

Negli ultimi tre decenni la comunità internazionale ha imparato però a conoscere la posizione del Sudafrica sulle principali questioni geopolitiche: come attore chiave nel riallineamento del potere globale, in parte anche grazie alla sua appartenenza al gruppo Brics – Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica; come portavoce dell’Africa tutta e del più ampio Sud globale; soprattutto dopo la pandemia di Covid-19, quando si è espresso contro quello che ha definito apartheid vaccinale.

In ogni caso le alleanze di governo saranno complicate anche dai rispettivi programmi elettorali sulla politica internazionale. L’Alleanza Democratica (Da) ha espresso apertamente di essere pro-Ucraina e anti-Russia, moderatp su Israele e scettico nei confronti del gruppo Brics.

Il partito Economic Freedom Fighters (Eff) sostiene una maggiore integrazione continentale, sostiene i palestinesi, ma è anche favorevole a fornire armi ad Hamas.

Il partito uMkhonto weSizwe (Mk) è più moderato. Prevede un governo che garantisca che la politica estera del Sudafrica rifletta i suoi interessi e valori nazionali, sostenendo l’equità e il rispetto reciproco nelle relazioni internazionali. Esprime solidarietà alla Russia, a Cuba e alla Palestina nelle loro lotte contro le forze imperialiste occidentali. Chiede inoltre una revisione degli accordi internazionali, compresa l’adesione del Sudafrica alla Corte penale internazionale, apparentemente per ripristinare la sovranità del Paese.

Le consultazioni per formare una coalizione di governo dovrebbero concludersi il 16 giugno, mentre il presidente Ramaphosa si è rivolto al Paese dopo l’apparente sconfitta del suo stesso partito, offrendo una diversa lettura dei risultati, che a suo parere «rappresentano una vittoria per la democrazia, per l’ordine costituzionale e per tutto il popolo sudafricano». Comunque andrà, gli analisti ci dicono che il Paese non rinuncerà ad essere ambizioso politicamente, economicamente ed a livello internazionale.

(Foto di John-Paul Henry su Unsplash)

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here