La presenza del Papa al G7 ha rappresentato un evento storico per almeno tre motivi: il fatto in sé; l’argomento per il quale Francesco è stato chiamato a parlare; i messaggi contenuti nel discorso.

Il fatto in sé. La presenza fisica di un Papa ad un consesso politico rimanda ai tempi lontani del potere temporale. Quando i papi agivano come capi di Stato; con in più, l’autorità di rappresentare in terra quel Dio che legittimava i Re. La differenza, oggi da allora, è clamorosamente evidente nell’incontro pugliese. Nei tempi recenti è abituale che un Papa incontri i capi di Stato e di governo, sia quando visita i loro Paesi, sia nelle udienze vaticane. Inoltre, a partire dal famoso discorso di Paolo VI all’Onu, tutti i papi successivi hanno parlato in quella sede e, in alcuni casi, anche nei parlamenti nazionali. Ma la presenza di un Papa seduto a fianco, alla pari dei potenti (né sopra, né a lato…); formalmente “ospite”, ma sostanzialmente “componente”, riconosciuto, del tavolo, è un inedito che apre una stagione nuova nel sistema di relazioni internazionali. Spesso, infatti, sembrano privi di effetto gli appelli accorati alla pace, alla giustizia, alla solidarietà, che sentiamo pronunciare all’Angelus domenicale o in altre occasioni pubbliche. Prive, cioè, di … sbocco politico. Affidate, semmai, alla azione discreta, per quanto molto importante, della diplomazia vaticana; ma ininfluente nei luoghi formali delle decisioni. Quanto è avvenuta al G7 fa evolvere questa situazione verso un nuovo protagonismo diretto della santa sede, pur senza restare invischiata nelle dinamiche interne alle relazioni politiche, come era in passato. Un equilibrio non semplice quello tra “ospite” e “partecipante”; ma necessario per garantire la autonomia vaticana e al tempo stesso accrescerne l’influenza diretta. Francesco sembra a suo agio in questo ruolo… I colloqui bilaterali che il Papa ha avuto, in sede G7, coi leader in maniche di camicia o davanti ad un caffè, hanno ben altro effetto delle udienze nelle quali vige ancora il protocollo sul colore degli abiti delle consorti.

L’Intelligenza Artificiale è l’argomento sul quale il Papa è stato chiamato a intervenire, che è, come egli stesso l’ha definito, “affascinante e tremendo”. Assieme alla pace e alla disuguaglianza è la principale sfida dell’oggi e del futuro. Siamo di fronte ad un salto tecnologico, dalle conseguenze inedite, che cambia il pensiero e la prassi. È stata una brillante idea quella di aver dedicato, nel G7, una sessione a questo tema e di aver chiesto che ne parlasse, in quella sede politica, la massima autorità morale, non scientifica, non politica! Invischiati (ed impotenti) di fronte all’esplosione delle due grandi guerre in corso nel Nord Europa e nel Nord Africa e incerti sulle questioni ambientali ed economiche, i “grandi” si sono visti richiamare ad una responsabilità ancora maggiore: disegnare il futuro. Vedremo nel tempo se la semina pugliese darà frutto.

Infine, il contenuto del messaggio. Non riprendo, qui, le argomentazioni di merito esposte dal Papa sulla IA, che necessitano di un approfondimento specifico e per conoscere le quali è opportuno leggere il testo integrale del discorso e non la versione “breve”. Argomentazioni di merito, talvolta anche di dettaglio, come la elencazione di vantaggi concreti che la IA può apportare (dalla scrittura delle sentenze, al superamento dei lavori usuranti), ma anche delle complicazioni (la assenza di soggettività nel prendere decisioni…). Riprendo, invece, alcuni concetti più generali esposti da Francesco e che fanno da cornice e da asse portante al ragionamento specifico.

La frattura tra scienza e fede, apertasi col processo a Galileo e già ricucita dai precedenti papi post conciliari, viene, qui, definitivamente superata con l’affermazione, netta, che tutto il progresso umano, di cui la tecnologia (dalla pietra levigata alla IA) è parte decisiva, è l’esito del “potenziale creativo che Dio ci ha donato”. Questo approccio positivo verso la scienza non è nuovo per la chiesa contemporanea, ma il contesto nel quale viene qui ribadito ne rafforza il significato. Tanto più in quanto la rivoluzione “cognitivo-industriale” prodotta dalla IA provocherà “la creazione di un nuovo sistema sociale”, che potrebbe, al tempo stesso, accrescere la conoscenza, ma anche aumentare le disuguaglianze tra le Nazioni ricche e quelle povere e tra “ceti sociali dominanti e i ceti sociali oppressi”.

Il concetto viene poi sviluppato con l’affermazione che la propensione del genere umano di dotarsi di strumenti che lo aiutano a vivere non è la compensazione di una “mancanza” umana, ma la prova di “una condizione di ulteriorità rispetto al nostro essere biologico; siamo esseri sbilanciati verso il fuori-di-noi, anzi radicalmente aperti all’oltre”. In tal senso, la tecnologia si inserisce pienamente nella condizione umana (tra libertà e responsabilità). Quindi, parlare di tecnologia “vuol dire parlare di etica”.

Si arriva così al nocciolo della questione: la differenza tra la macchina e la persona. Dice testualmente Francesco: “Ciò che la macchina fa è una scelta tecnica tra più possibilità e si basa o su criteri ben definiti o su inferenze statistiche. L’essere umano, invece, non solo sceglie, ma in cuor suo è capace di decidere. La decisione è un elemento che potremmo definire maggiormente strategico di una scelta e richiede una valutazione pratica. A volte, spesso nel difficile compito del governare, siamo chiamati a decidere con conseguenze anche su molte persone”…

La consapevolezza di questa distinzione tra scelta e decisione propone a noi tutti, in particolare a chi ha responsabilità pubbliche – e il Papa, mentre pronunciava queste parole, aveva di fronte il top dei decisori – un parametro, un criterio, un comportamento a cui rifarsi nell’agire quotidiano. Ma nemmeno la decisione è in sé sufficiente. Deve diventare “decisione etica”. Ovvero capace di tenere: “conto non solo degli esiti di un’azione, ma anche dei valori in gioco e dei doveri che da questi valori derivano”. Che tradotto – e qui il Papa… affonda il discorso su un piano pienamente politico – vuol dire avere chiaro che: “la società mondiale ha gravi carenze strutturali che non si risolvono con rattoppi o soluzioni veloci meramente occasionali. Ci sono cose che devono essere cambiate con reimpostazioni di fondo e trasformazioni importanti”.

C’è, in questo discorso un filo conduttore che, attraverso l’analisi del tema dell’Intelligenza artificiale, parla dell’uomo e della sua prospettiva. L’uomo integrale, sociale, aperto agli altri, curioso scopritore di novità, carico di responsabilità.
Tutto ciò, però, non avviene spontaneamente, ma necessita di indirizzi, mappe, rotte, guide… Ecco perché la conclusione del discorso, quasi ovvia, vista la sede, ma per niente rituale, bensì ammonitrice, Francesco la dedica alla politica. Richiamando Paolo VI che la definì la “forma più alta di carità”, Bergoglio conclude che: “Solo una sana politica potrebbe averne la guida” ed “incanalare tale energia in mondo nuovo”.

Il futuro, per il Papa, è già cominciato.

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