Il confronto sull’evoluzione dell’IA generativa si arricchisce ogni giorno di regolamentazioni normative e nuovi elementi di dibattito. Dopo che il Parlamento europeo il 13 marzo scorso ha approvato il Regolamento europeo sull’Intelligenza artificiale – ne abbiamo parlato sul sito e sul numero di aprile della newsletter di ReS –, l’esecutivo italiano il 23 aprile ha approvato un disegno di legge in materia di IA, che contiene specifici riferimenti agli impatti sul mercato del lavoro, indicando criteri generali sul rapporto tra le opportunità che offrono le nuove tecnologie e i rischi legati al loro uso improprio, al loro sottoutilizzo o al loro impiego dannoso. Il decreto fornisce indicazioni di principio e disposizioni di settore che dovrebbero favorire l’uso dell’IA per migliorare le condizioni lavorative, tutelare l’integrità psicofisica dei lavoratori, aumentare la qualità delle prestazioni lavorative e la produttività delle risorse umane, in un ambiente di lavoro che non deve “in nessun caso” essere discriminatorio, in cui sia perseguita la parità dei sessi e la sostenibilità.

L’istituzione presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali di un Osservatorio sull’adozione dei sistemi di IA è una previsione prevista nel disegno di legge, importante per il monitoraggio di fenomeni che avranno una portata epocale, tuttavia al momento l’Osservatorio, che sarà presieduto dal ministro del Lavoro o da un suo rappresentante e sarà composto di membri che verranno individuati con disposizioni successive, sembra non poter contare su una autonoma dotazione finanziaria. Il decreto stabilisce, infine, che il pensiero critico umano deve sempre essere prevalente rispetto all’uso degli strumenti di intelligenza artificiale, che può riguardare solo le attività di supporto all’attività professionale.

Dunque l’esecutivo italiano si è fatto trovare pronto, giocando d’anticipo, tuttavia la compliance che li attende è lunga e complessa. L’imminente entrata in vigore del regolamento europeo detterà diverse timeline per aziende ed enti pubblici che dovranno attivarsi tempestivamente con una metodologia basata principalmente sulla valutazione dei rischi. Dovranno cioè parametrarsi gli obblighi normativi in modo che, al crescere del coefficiente di rischio («la combinazione della probabilità del verificarsi di un danno e la gravità del danno stesso») crescano le prescrizioni normative, nelle forme di raccomandazioni, requisiti, obblighi e finanche divieti.

Si tratta di un concetto già percorso con la normativa in materia di protezione dei dati personali, forse non l’unica metodologia possibile per regolamentare lo sviluppo e l’utilizzo dei sistemi di intelligenza artificiale, ma certamente questa è stata la scelta dall’Unione europea: partire dalla valutazione del rischio ed interconnetterlo con la visione del ruolo che devono avere i diritti e i valori fondamentali della persona nei rapporti con la tecnologia, operando sempre un bilanciamento con lo scopo di promuovere il mercato digitale.

Dunque la visione umano-centrica è il campo d’azione primario, consapevoli che l’intelligenza artificiale è “la nuova frontiera dell’umanità”, per citare il Santo Padre, “trincea nella quale costruire una nuova antropologia, un nuovo pensiero umanistico nell’era della tecnologia”. Le parole di Papa Francesco conducono in territori impervi, come l’etica, il rapporto tra scienza e fede, la centralità della creatura umana nell’epoca in cui la tecnologia generativa evolve con passo troppo veloce per le capacità scientifiche e tecnologiche attuali. Vedremo quale sarà il contributo che il Pontefice porterà al prossimo G7 dell’IA che si terrà nel mese di giugno al quale è stato invitato a partecipare.

Ma torniamo ai riverberi sul mercato del lavoro.

Lo scorso 16 maggio ReS ha realizzato a Siena un incontro dal titolo La dimensione umana del lavoro nell’era dell’I.A.. nel quale sono emerse una serie di considerazioni. Prima di tutto, la consapevolezza che l’IA è uno dei principali fattori di trasformazione socio-antropologica con portata trasversale ai diversi settori della vita economica e del lavoro, che non trova analogie con quanto accaduto durante le precedenti rivoluzioni tecnologiche. In questo quadro di riferimento i contesti produttivi e di lavoro sono uno degli ambiti in cui l’IA produce i suoi effetti più dirompenti, che si declinano tanto nella dimensione dei mercati del lavoro e delle relazioni industriali, quanto in quella del rapporto individuale di lavoro.

L’IA andrà ad impattare, cioè, sia sui livelli occupazionali e sulla disoccupazione tecnologica, che sulla qualità della composizione del mercato del lavoro.

Rispetto alle occupazioni emerge che, contrariamente al passato, saranno maggiormente esposte a questo impatto le professioni “intellettuali” con elevate competenze, e dunque la classe impiegatizia. Se in alcuni casi si punterà a una maggiore professionalizzazione, con miglioramento di condizioni di lavoro e probabilmente di salario, in altri si dovranno gestire i rischi di una svalutazione di tali professioni. L’impatto sarà, inoltre, differenziato in base agli ambiti territoriali e categorie di lavoratori, che porterà con sé una nuova disparità di genere, dal momento che le donne sono maggiormente occupate proprio nei settori più esposti all’impatto.

Per questo, sarà determinante il ruolo che sapranno esercitare le parti sociali[1], a diversi livelli (internazionale, nazionale, di settore o aziendale) e con i diversi strumenti della sua azione (dialogo sociale, contrattazione collettiva e campagne di sensibilizzazione), tanto con riferimento alle policy relative alla gestione dell’impatto dell’intelligenza artificiale sulle dinamiche dei mercati del lavoro, quanto con riferimento alla sua implementazione all’interno dei contesti di lavoro. Per questo motivo, oltre che nell’ambito delle procedure collettive in caso di licenziamento tecnologico, il loro coinvolgimento sarà necessario per la definizione e la promozione di sistemi di sicurezza sociale e di percorsi di formazione e aggiornamento professionale adeguati alle esigenze dei lavoratori interessati dalla transizione. Il loro ruolo dovrà esprimersi attraverso l’interlocuzione con le istituzioni pubbliche, con l’introduzione di diritti alla formazione e azioni di aggiornamento o riqualificazione professionale direttamente all’interno della contrattazione collettiva, sia ancora nell’ambito delle istituzioni e dei programmi formativi che le parti sociali finanziano e gestiscono.

Dunque, consapevolezza critica e speranza, conoscenza approfondita e confronto tra tutti i soggetti e gli ambiti che sono coinvolti a vario titolo, devono essere interconnessi e dialogare senza preconcetti e schieramenti per affrontare le sfide umane, post-umane e tecnologiche che quest’epoca ci induce ad approfondire.

[1] Per un approfondimento del ruolo delle parti sociali si veda lo studio del CNEL su Intelligenza artificiale e mercati del lavoro – casi e materiali di discussione (n.3 – 2024)

(Foto di Possessed Photography su Unsplash)

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