Gli 800 mila ignorati

Da alcuni anni in tutta Italia centinaia di migliaia di persone si stanno prendendo cura dei beni pubblici presenti sul loro territorio, sia esso un quartiere cittadino o uno dei tanti borghi che costellano il nostro paese, con la stessa attenzione e la stessa passione con cui si prenderebbero cura delle proprie case o dei propri giardini.

Secondo le stime di Labsus (Laboratorio per la sussidiarietà) fondate su 15 anni di interventi sull’intero territorio nazionale e su centinaia di incontri con cittadini, associazioni e amministratori locali, sono oltre 800 mila i cittadini che, nella quasi totale indifferenza dei media, si prendono cura dei beni pubblici. Possono sembrare pochi, se paragonati al totale della popolazione italiana, ma bisogna considerare che questi cittadini attivi sono spesso leaders nelle rispettive comunità, sono cioè persone in grado di influenzare le scelte ed i comportamenti di decine di loro concittadini. I cittadini potenzialmente attivi non sono dunque 800 mila, ma molti, molti di più.

E comunque, anche se fossero “soltanto” 800 mila, sarebbero uno straordinario segnale dal punto di vista politico, culturale, sociale, perché dimostrerebbero con i fatti che ci sono italiani disposti ad uscire dalla logica della delega per assumersi la responsabilità della cura dei beni di tutti come se fossero i propri. E questo, in un Paese come il nostro, dove da sempre i beni di tutti sono beni di nessuno, alla mercé di chi vuole predarli e saccheggiarli, è straordinario.

Regolamento e Patti di collaborazione

I cittadini attivi spesso operano in maniera del tutto autonoma, al di fuori di qualsiasi regola e senza alcun sostegno da parte delle amministrazioni locali, anzi, spesso ostacolati da queste ultime che li considerano come intrusi fastidiosi, anziché come alleati preziosi.

Ma da sei anni migliaia di cittadini attivi operano invece all’interno di un quadro di regole chiare e semplici, contenute in un Regolamento comunale-tipo redatto da Labsus insieme con il Comune di Bologna e messo gratuitamente a disposizione di tutti i comuni italiani sul sito di Labsus il 22 febbraio 2014. Il Regolamento ha avuto un successo che è andato al di là di ogni aspettativa, tant’è che ad oggi è stato adottato da 210 comuni, grandi e piccoli, al nord come al sud (qui l’elenco completo). Il “motore” del Regolamento sono i patti di collaborazione, atti amministrativi assimilabili ad accordi, con i quali i cittadini e le amministrazioni concordano tutto ciò che è necessario per la cura dei beni comuni oggetto dei patti.

Ad oggi sono state stipulate diverse migliaia di “patti ordinari” per la cura dei più svariati beni pubblici: parchi, piazze, strade, aree abbandonate, scuole, beni culturali e molti altri beni pubblici materiali e immateriali (nel sito di Labsus si possono trovare centinaia di patti). Ma ci sono anche “patti complessi” per la rigenerazione e gestione in maniera economicamente sostenibile di beni immobili abbandonati o sottoutilizzati.

Costruire comunità, liberare energie

I patti non sono soltanto atti amministrativi. Essi sono soprattutto un “luogo” di incontro, di socializzazione, di integrazione. Con il “pretesto” di prendersi cura dei beni comuni del proprio paese o del proprio quartiere gli abitanti escono di casa, scendono in strada, si incontrano, discutono, si organizzano, lavorano insieme con gli altri cittadini e con l’amministrazione producendo senso di appartenenza, senso civico, coesione sociale, liberando le infinite energie positive nascoste nella nostra società.

I cittadini attivi prendendosi cura dei beni comuni “fanno comunità”, aiutano ad uscire dalla solitudine e dall’individualismo, producono capitale sociale. Questo è il vero valore aggiunto dei patti!

Una responsabilità condivisa

Ma come si distinguono i beni comuni dagli altri beni? Ogni volta che i cittadini sottoscrivono un patto di collaborazione e poi si attivano per la cura di un determinato bene pubblico presente sul loro territorio si crea un legame non soltanto materiale, ma anche giuridico, fra quei cittadini e quel bene pubblico.

Il legame materiale si fonda sul fatto che essi utilizzano per curare quel bene risorse proprie, private, spesso difficili da quantificare ma comunque preziose, come il tempo, le competenze, gli strumenti di lavoro, la conoscenza del territorio, le relazioni e altre risorse ancora.

Il legame giuridico fra loro e il bene nasce invece in quanto essi si assumono una responsabilità per la cura di quel bene sia nei confronti dell’amministrazione, sia degli altri cittadini.

Il bene di cui essi si prendono cura continua naturalmente ad essere pubblico, quindi continua ad essere di responsabilità dell’amministrazione che ne è proprietaria, ma dal momento in cui i cittadini sottoscrivono il patto di collaborazione anch’essi diventano co-responsabili di quel bene, pur non essendone i proprietari.

Da beni pubblici a “beni di comunità”

Nasce così una terza categoria di beni. Ci sono beni pubblici di cui è responsabile unicamente l’amministrazione, beni privati di cui sono responsabili ovviamente solo i proprietari privati e infine beni pubblici di cui sono responsabili insieme amministrazione e cittadini sulla base di un patto di collaborazione per la cura del bene.

In questo modo questi beni pubblici diventano beni comuni, perché comune (pubblica e privata) è la responsabilità della loro cura. Il meccanismo di assunzione di responsabilità da parte dei cittadini che nasce dalla stipula di un patto di collaborazione agisce con qualsiasi bene pubblico, materiale e immateriale. Questo significa che l’elenco dei beni che potenzialmente possono diventare beni comuni è lunghissimo, in quanto sulla base di un patto di collaborazione quasi tutti i beni pubblici possono diventare beni comuni.

Assumendosi la responsabilità della cura di un bene pubblico una comunità lo identifica, molto concretamente, come bene comune. Detto in altro modo, intorno ad ogni bene comune c’è una comunità. E’ l’azione di cura della comunità sulla base di un patto di collaborazione che trasforma il bene pubblico in bene comune.

Cura, non manutenzione!

Anche per questo noi di Labsus non usiamo mai, per descrivere quello che fanno i cittadini attivi, il termine “manutenzione” ma sempre il termine “cura”, perché ci si prende cura di qualcosa di fragile, come può essere un cucciolo, un bimbo o, appunto, un bene pubblico “consumato” dall’uso e dall’inciviltà di molti. Fra la manutenzione di un parco pubblico fatta dai giardinieri comunali e la cura di quello stesso parco da parte dei cittadini attivi non c’è una gran differenza dal punto di vista materiale. C’è invece una grandissima differenza qualitativa, perché cambiano totalmente la qualità del rapporto con il bene, le motivazioni di chi agisce e gli effetti sulla società.

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