Nei giorni scorsi si è svolta l’Assemblea annuale dei fondi pensione negoziali che, quest’anno, coincide con il ventennale della costituzione di Assofondipensione, l’Associazione che ne rappresenta 32, presenti nei principali comparti produttivi. Nel 2022, le adesioni ai fondi negoziali, crescendo del 10,1% rispetto al 2021, arrivano a 3.806.000, principalmente grazie all’apporto di quelle contrattuali con l’iscrizione automatica dei nuovi assunti e il versamento di un contributo minimo a carico del datore di lavoro, a cui si sono aggiunte, di recente, le adesioni al Fondo Perseo Sirio, attraverso il meccanismo del silenzio-assenso per i neo-assunti del pubblico impiego.

Nonostante la crescita dei numeri, si conferma, però, il quadro degli anni precedenti e le distorsioni che da sempre caratterizzano l’intero sistema della previdenza complementare continuano a persistere: tra i giovani al di sotto dei 34 anni di età, la percentuale di iscritti è minima; il tasso di partecipazione delle donne è inferiore a quello degli uomini così come l’entità della contribuzione; l’adesione è marginale tra i lavoratori delle piccole e piccolissime imprese; i versamenti contributivi nel Mezzogiorno sono pari alla metà di quelli del Nord. La maggior parte degli aderenti si concentra, infatti, nelle classi di età centrali (34 -54 anni di età) con rilevanti tassi di crescita soprattutto tra i lavoratori con più di 54 anni che, prossimi al pensionamento, sono maggiormente consapevoli dell’utilità di avere un secondo pilastro previdenziale – e nelle aree più ricche del Paese con una partecipazione, in media, tra il 35% e il 40% della forza lavoro.

I fondi pensione – è evidente – accolgono sostanzialmente platee di lavoratori forti, mentre le donne, i giovani e i lavoratori del Sud – cioè proprio quelle figure che, più fragili dal punto di vista lavorativo, avrebbero effettivamente bisogno di costruirsi un futuro previdenziale – continuano ad essere più assenti. Le ragioni di ciò, ormai note, trovano le loro radici nell’instabilità occupazionale e retributiva che caratterizza, in particolar modo, la condizione lavorativa di queste categorie, ma sono causate anche da una scarsa informazione da parte dei lavoratori sulle coperture previdenziali che il pilastro obbligatorio potrà effettivamente offrire. L’Istat ci dice che l’evoluzione demografica della popolazione italiana porterà ad una forte crescita degli over 65 anni – nel 2050 rappresenteranno il 34,9% della popolazione contro il 23,5% del 2021 – e ad una progressiva diminuzione della popolazione tra 15 e 49 anni, dovuta all’ingresso nella vita adulta di generazioni sempre meno numerose a causa della denatalità: invecchiamento della popolazione e denatalità, uniti a tassi di occupazione ancora insufficienti rischiano, quindi, di rendere insostenibile l’attuale sistema pensionistico.

I dati riportati nel X Rapporto sul bilancio del sistema previdenziale italiano redatto da Itinerari Previdenziali mostrano, si, un miglioramento del rapporto attivi/pensionati, ancora lontano, però, dalla soglia minima di 1,5 necessaria per garantire stabilità ad un sistema pensionistico a ripartizione come quello italiano. A tal fine, secondo quanto emerge dallo studio, è necessario agire con decisione e con una visione chiara su vari fronti. In questa direzione vanno le richieste che Assofondipensione, ma anche Covip e gli stessi fondi pensione hanno rivolto alla politica e al Governo. Innanzitutto, una massiccia campagna di informazione per accrescere la consapevolezza sull’importanza di aderire alla previdenza complementare, ma anche per evitare che il TFR lasciato dai lavoratori in azienda confluisca, per quelle con più di 50 addetti, nel Fondo di Tesoreria Inps dirottando somme per un valore di circa 5 miliardi l’anno alle spese correnti piuttosto che alla previdenza complementare. Poi, la previsione di strumenti idonei a sostenere finanziariamente le piccole imprese che conferiscono il TFR dei propri dipendenti alla previdenza complementare, con un accesso al credito agevolato per compensare la relativa perdita di liquidità.

Sicuramente, l’avvio di un nuovo semestre di silenzio assenso per favorire, così come è accaduto nel 2007, le adesioni ai fondi pensione sia tra i nuovi assunti che tra i lavoratori già occupati, ma anche una riduzione del prelievo fiscale del secondo pilastro, soprattutto sui rendimenti degli investimenti dei fondi pensione (oggi, al 20%), con il superamento del criterio pro rata nella tassazione delle prestazioni (come già avvenuto per la RITA) e l’incremento del limite di deducibilità, almeno per i redditi più alti e per chi effettua versamenti anche per i soggetti fiscalmente a carico. Ugualmente i Sindacati, chiamati in causa anche per il loro ruolo di parti
istitutive dei fondi pensione negoziali, chiedono al Governo con il quale si confronteranno nelle prossime settimane, oltre alla revisione della Legge Monti Fornero per il pilastro obbligatorio, il rilancio delle adesioni alla previdenza complementare negoziale che deve essere resa effettivamente
accessibile anche a chi lavora nelle piccole imprese e alle fasce di età più giovani, appunto poco presenti tra gli attuali iscritti.

Come dimostra un recente studio condotto da Previndai, il fondo pensione dei dirigenti industriali, basterebbe “un caffè al giorno per farsi la pensione di scorta”: un semplice slogan per dire che, a fronte di un impegno economico minimo, un giovane che aderisca alla previdenza complementare, alla fine della propria vita lavorativa potrà contare su un “salvadanaio previdenziale” molto più consistente di quello che potrebbe accumulare lasciando, invece, il TFR in azienda. E proprio per la grande importanza che riveste, il tema di come creare nuovo risparmio previdenziale per poter garantire reddito, cure e assistenza ad una popolazione che vivrà sempre più a lungo, riscuote molto interesse anche nel mondo accademico e finanziario.

Sembra particolarmente originale, infatti, l’idea, nata da un gruppo di esperti, di un “patto sociale” tra cittadini, consumatori e Stato per la creazione di un nuovo fondo pensionistico pubblico integrativo – “fondo cash forward” – alimentato dalle spese di consumo: l’aumento dell’1% dell’aliquota sugli acquisti di beni e servizi con mezzi di pagamento elettronici, a fronte della destinazione da parte dello Stato del doppio del gettito ottenuto all’accumulo di risparmio previdenziale, investito e gestito da intermediari finanziari, vincitori di gara pubblica, consentirebbe al cittadino-consumatore di accumulare nella previdenza integrativa il 2% del valore speso.

Qualunque sia la strada scelta, l’importante è che non si attenda ulteriormente, che non si accumulino altri ritardi e che l’impegno dei fondi pensione e delle Parti sociali profuso in questi anni sia sostenuto, ora, da un vigoroso intervento da parte dello Stato per rendere effettivamente concreto quello che il legislatore aveva prefigurato come necessario già negli anni ’90 per la tutela del futuro previdenziale dei lavoratori italiani.

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