Venezia, Matera, il Salento, la Riserva Naturale della Feniglia, l’Alto Adige, la Liguria. Sono solo alcune delle località che nelle ultime settimane sono state flagellate da fenomeni climatici definiti ‘eccezionali’. E poi ancora, la strage di alberi nelle foreste dolomitiche tra il trentino e il bellunese, l’alluvione di Casteldaccia (PA) del 3 novembre dello scorso anno nella quale morirono nove persone, quelle in provincia di Alessandria e (ancora) in Liguria, tutte calamità avvenute nel 2018. Frane, smottamenti, esondazioni, temperature fortemente fuori dalla norma, valanghe e slavine sempre più frequenti a minacciare interi abitati. Fermiamoci a questi ultimi due anni e agli eventi menzionati, che purtroppo non esauriscono la totalità dei casi. Ecco, ora smettiamo di chiamarlo maltempo o di parlare di eventi eccezionali: l’Italia è in crisi climatica.

L’acqua alta che ha sommerso Venezia nella notte tra il 12 e il 13 novembre è un sintomo emblematico di quanto la crisi climatica stia incidendo sulla fisionomia dell’Italia. Il sindaco della città, Luigi Brugnaro, lo ha sottolineato così: “Questi sono evidentemente gli effetti dei cambiamenti climatici”. E come conferma il Sottosegretario Baretta, presidente di ReS e veneziano doc, “l’acqua alta oltre misura non è più un’eccezione: sì, lo sono i 187 cm accompagnati da un violento scirocco, ma i 120, i 130, i 150 sono sempre più frequenti, anche senza il vento che scuote”. E allo stesso modo non sono più eccezionali fenomeni di forte intensità, rapidi e violenti, che colpiscono da qualche anno la nostra penisola indistintamente da Nord a Sud.

I dati di Legambiente e dell’European severe weather database sull’impatto dei mutamenti climatici in Italia

Basta accendere la tv e seguire quotidianamente un qualsiasi Tg per avere percezione della frequenza con la quale tali fenomeni, di diversa natura, interessano il nostro Paese. Ma non si tratta di comune sentire, ce lo dicono i numeri, ce lo dicono i dati del Rapporto 2019 dell’Osservatorio di Legambiente sull’impatto dei mutamenti climatici in Italia e quelli dell’European severe weather database. E quello che ne viene fuori è un panorama particolarmente preoccupante.

Secondo Legambiente, infatti, nel 2018 lo Stivale è stato colpito da 148 eventi estremi, che hanno causato 32 vittime e oltre 4.500 sfollati, un bilancio di molto superiore alla media degli ultimi cinque anni. Negli ultimi 9 anni sono in tutto 563 gli eventi registrati in Italia sulla mappa del rischio climatico. Dal 2014 al 2018 le sole inondazioni hanno provocato in Italia la morte di 68 persone. I dati hanno permesso poi di mappare le città più colpite da eventi estremi negli ultimi dieci anni: si tratta di Roma, Milano, Genova, Napoli, Palermo, Catania, Bari, Reggio Calabria e Torino.

Nelle città italiane, inoltre, continua a salire la temperatura media a ritmi maggiori di quanto avviene nel resto del Paese. Secondo le elaborazioni dell’Osservatorio meteorologico Milano Duomo si registrano picchi a Milano con +1,5 gradi, Bari (+1) e Bologna (+0,9) a fronte di una media nazionale delle aree urbane di +0,8 gradi nel periodo 2001-2018. Aumentano gli impatti del caldo in città, in particolare sono le ondate di calore il principale fattore di rischio con rilevanti conseguenze sulla salute delle persone.

Preoccupante anche la situazione che riguarda l’innalzamento dei mari: sono 40 le aree a maggior rischio in Italia, tra cui città come, Trieste, Ravenna, la foce del Pescara, il golfo di Taranto, La Spezia, Cagliari, Oristano, Trapani, Marsala, Gioia Tauro e ovviamente Venezia.

Ancor più allarmanti i numeri dell’European severe weather database (che registra tutti gli eventi estremi come tornado, piogge torrenziali, grandinate eccezionali, tempeste di neve, valanghe) il quale parla di 1.543 eventi estremi verificatisi in Italia solo nel 2019. Un dato inquietante se lo si confronta con quello della Spagna che nello stesso lasso temporale ne ha registrati 248, o il Regno Unito dove gli eventi estremi nell’anno corrente sono stati 190. Di Più, se si guarda alla progressione storica dei tre Paesi in esame la situazione si fa ancora (se possibile) più preoccupante: infatti in Italia nel 2009 si sono verificati 213 eventi estremi, in Spagna 219, nel Regno Unito 47. Nel 1999, in Italia se ne sono registrati 17, in Spagna 24, nel Regno Unito 27, evidenziando una crescita esponenziale notevole.

Italia, hot spot climatico: da noi i cambiamenti sono più rapidi

Per Gianmaria Sannino, responsabile del laboratorio di modellistica climatica e impatti dell’Enea, “per la sua particolare posizione geografica, in mezzo al mar Mediterraneo, l’Italia è da considerarsi uno hot spot climatico, un luogo cioè dove il cambiamento climatico è più rapido”. Un ruolo chiave lo giocherebbe proprio il Mediterraneo: Enea ha previsto che da qui al 2100 ci sarà un aumento del livello del mare di almeno un metro. “Il livello del Mediterraneo si alza più rapidamente rispetto all’oceano, e soprattutto si scalda. Il che libera più energia nel sistema atmosfera-mare e rende più probabile i fenomeni estremi”.

Cambiamenti climatici e danni economici: circa 130 miliardi di euro l’anno già da metà secolo

Infine una nota economica: alle gravi conseguenze facilmente comprensibili di una situazione simile, secondo la relazione 2019 presentata durante gli Stati Generali della Green Economy, “per gli effetti dei cambiamenti climatici l’Italia rischia di avere perdite di alcuni punti percentuali di Pil già a metà secolo e fino al 10% di Pil nella seconda metà, pari circa 130 miliardi di euro l’anno. E, secondo lo studio, i danni economici maggiori in Italia sarebbero proprio quelli causati dalle alluvioni; quelli all’agricoltura per una variazione delle produzioni e una diminuzione delle rese; quelli arrecati al turismo per le ondate di calore, l’avanzamento dell’erosione delle spiagge, la mancanza di neve in montagna, la frequenza degli eventi atmosferici estremi”.

Da dove ripartire dunque? Forse dal prendere atto che si tratta di una nuova normalità e non di eccezionalità. O quantomeno potrebbe essere il caso di comprendere che, come affermano i ragazzi di Friday for Future Italia in una nota, quello che sta accadendo in Italia andrebbe chiamato con nome e cognome: “crisi climatica”, non maltempo.

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