Fra i tanti temi globali contemporanei interrelati tra loro, due di cui difficilmente se ne vede la connessione sono da una parte la grave situazione della nutrizione, e dall’altra la crisi ambientale. Non intervenendo come fosse un unico tema connesso, non si sposta l’attenzione e non si riesce, dunque, a pensare a come ricavarne un potente strumento di modifica delle abitudini per influenzare l’ecosistema.

Ci si potrebbe perfino domandare cosa hanno a che fare persone che si sanno nutrire con abitudini sane, in un pianeta che sta soffrendo e subendo modifiche irreversibili (dal clima impazzito con frequenti eventi sempre più estremi in ogni parte del mondo, alla perdita di biodiversità).

Sfortunatamente per ora i temi importanti continuano a restare disconnessi tra loro e affrontati, di volta in volta, singolarmente, come appunto il tema del cibo, della salute e della sostenibilità, senza cercare ponti tra queste dimensioni della vita degli esseri umani mirando a un benessere condiviso.

Modificare le abitudini alimentari porta con sé la ridefinizione del sistema alimentare, dell’agricoltura e dei sistemi intensivi di allevamento, significa mirare direttamente agli obiettivi di produzione e consumo sostenibile, di fine della fame, di sicurezza alimentare, azione per il clima, cura della vita sulla terra, della vita sott’acqua, e salute e benessere (SDG 12, 2, 13, 14, 15, 3).

Oggi l’agricoltura estensiva è responsabile di oltre il 20% delle emissioni totali di gas ad effetto serra, secondo i dati di ricerca della Quantis Italia. I piccoli agricoltori devono essere supportati per poter promuovere colture indigene e, vista l’estensione ridotta delle coltivazioni rispetto a quelle industriali, stimolati a usare soluzioni naturali, sostenibili, senza chimica nelle loro piantagioni. Purtroppo i piccoli agricoltori sono anche i più vulnerabili, esposti agli shock economici e agli eventi estremi causati dal cambiamento climatico. La precarietà economica ormai sta entrando a far parte delle regole del gioco che noi stessi abbiamo creato in anni di inattese aspettative.

Ripensare alla dieta alimentare può portare mano nella mano salute e sostenibilità: promuovere un sistema agricolo basato su agricoltori con coltivazioni su piccola e media scala, favorisce la diminuzione dell’acidificazione degli oceani insieme all’abbattimento delle emissioni di CO2, evitando quella produzione per esempio di frutta e ortaggi in cargo frigo aerei, a favore di una economia locale che soddisfa un fabbisogno in linea con la produzione del momento stagionale, riducendo anche il packaging di trasporto. Infine, comprare in un negozio di vicinato prodotti di stagione contribuisce a razionalizzare gli acquisti di cibo evitando sprechi alimentari.

La produzione di cibo è talmente alta da poter sfamare la popolazione mondiale, attualmente di circa sette miliardi e mezzo di persone, ma una fetta di quasi un miliardo di persone (815 milioni circa) sono sotto nutrite o soffrono proprio la fame, e la situazione nell’ultimo anno di Covid-19 è anche peggiorata.

La sfida globale è far fronte all’insicurezza alimentare. Una delle principali cause è la perdita di cibo, a livello mondiale, legato alla fase post-raccolto, l’immagazzinamento precario, per esempio, in Paesi in cui le regole standard igieniche richieste sono scarse, o ci sono infrastrutture inadeguate. L’altra causa è lo spreco di cibo: 931 tonnellate di cibo, nel 2019, sono finite nella spazzatura. Lo spreco di cibo tocca un po’ tutti i Paesi del mondo e riguarda le famiglie, i rivenditori, e altri servizi alimentari, inclusi i ristoranti. I dati del nuovo Food Waste Index Report 2021 del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep) registrano che sono le famiglie, in primis, che buttano via l’11% degli alimenti, mentre a valle della filiera del consumatore (servizi e punti vendita al dettaglio) si spreca dal 2% al 5%. Ridurre questo spreco porterebbe a un conseguente taglio delle emissioni di gas serra, oltre che all’aumento della quantità di cibo in circolazione.

Per avvicinarci all’obbiettivo dello Sviluppo Sostenibile numero 2 (Fame zero) come proposto dall’Agenda delle Nazioni Unite, non si tratta di produrre di più, ma di produrre e consumare meglio, intervenendo su sistemi iniqui e sulle diseguaglianze, per non lasciare quasi un miliardo di persone, affamate. La fame e la malnutrizione sono connesse alla povertà, che può rendere difficile l’accesso all’acqua, e che probabilmente porta anche ad una bassa qualità di assistenza sanitaria, compromettendo il sistema immunitario e favorendo malattie.

In termini di dieta alimentare, un altro responsabile di emissioni di gas serra è l’attività di produzione di carne che con gli allevamenti intensivi rappresenta il 17% delle emissioni totali dell’UE, più di tutti i furgoni e le auto in circolazione. La revisione delle abitudini alimentari carnivore è imperativo. Può, forse, essere motivo di riflessione chiedersi come nutrirsi di cibi la cui produzione inquina e impoverisce altamente l’ambiente, possa risultare un bene per la salute degli esseri umani a loro volta.

La filiera della carne è, ormai, da molto tempo un sistema iniquo di sfruttamento sia degli animali che delle persone, che del pianeta. Si tratta di una industria dall’impronta innaturale e insostenibile che deforesta pesantemente, rilascia centinaia di migliaia di gas serra ogni anno, tormenta gli animali e tratta condizioni di lavoro al ribasso.

Oggi si è arrivati a produrre una quantità di carne, rispetto agli anni sessanta, cinque volte maggiore. Sostituire 1 kg di carne a settimana fa risparmiare 1.872 CO2 equivalenti in un anno, mentre sostituire una lampadina da 60 W con una a basso consumo ne fa risparmiare 26 (fonte LAV- www.lav.it).

Dove l’uomo non riuscirà a ridurre notevolmente e con rapidità il consumo di carne, modificando le usanze alimentari, ci penserà la tecnologia e la scienza che da anni sta già mettendo a punto la cosiddetta agricoltura cellulare, con lo sviluppo di cellule staminali animali in vitro per creare una carne commestibile, ma diversa!

E’ una delle tante soluzioni tecnologiche a cui si dovrà ricorrere per porre rimedio alla dissennatezza umana. Se l’uomo sceglie di continuare a vivere sul pianeta Terra, ci abitueremo alla nuova normalità.

Con la soluzione della coltivazione in vitro della carne, gli allevamenti intensivi non avranno più motivo di esistere: si abbasserà il livello di inquinamento, si ridurrà il consumo di suolo e la perdita di biodiversità, si potranno favorire le aziende agricole più piccole con sistemi biologici ed estensivi e si potrà raggiungere anche la quota di benessere animale auspicato per un futuro sostenibile in un mondo diverso.

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